La Turandot di Puccini entra nella schiera delle opere al nero, grazie alla crudeltà della protagonista e alla scia di sangue che si lascia alle spalle.
Il soggetto dell’opera di Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924) ha origini difficili da individuare sia cronologicamente sia geograficamente.
Si è potuti risalire a una Turandot (pers. Tūrāndokht “fanciulla del Tūrān”), eroina di una novella iraniana che, almeno inizialmente, è anonima e compare nel poema “Heft Peiker” di Niẓāmī (sec. 13°).
Successivamente, la prima menzione della principessa sanguinaria nella letteratura europea è contenuta nella raccolta di materia narrativa orientale “Les Mille et un jours” (I mille e un giorno, 1710-12) di François Pétis de la Croix (1653-1713; orientalista francese), dove la storia è menzionata come di origine cinese, mentre studi filologici ci indirizzano verso una possibile origine turca.
Più avanti ancora, il soggetto fu divulgato in Italia attraverso la celebre fiaba teatrale, “Turandot”, (1762) di Carlo Gozzi (1720 – 1806; drammaturgo e scrittore italiano), verseggiata poi da Schiller (1802) e più volte musicata: Carl Maria von Weber (1786 – 1826; compositore, direttore d’orchestra e pianista tedesco) compose delle musiche di scena su questo tema nel 1809; Ferruccio Busoni (1866 – 1924; compositore e pianista italiano, considerato uno tra i più grande geni pianistici italiani) scrisse una suite orchestrale op. 41 (eseguita per la prima volta nel 1906 e poi trasformata in opera lirica, rappresentata nel 1917).
Il libretto della Turandot di Puccini, fra tutte le varie fonti si ispira, liberamente, alla traduzione di Andrea Maffei (1798 – 1885; poeta, librettista e traduttore italiano) dell’adattamento tedesco di Friedrich Schiller (1759 – 1805; poeta, filosofo, drammaturgo, medico e storico tedesco) del lavoro di Gozzi.
L’idea di scrivere un’opera sulla fiaba di Turandot venne a Puccini, dopo un incontro a Milano, nel marzo 1920, con i librettisti Giuseppe Adami (1878 – 1946; drammaturgo, librettista, giornalista, scrittore, biografo e critico musicale) e Renato Simoni (1875 – 1952; critico teatrale, giornalista, commediografo, poeta, librettista, regista e sceneggiatore).
In estate, quello stesso anno, Puccini che era a Bagni di Lucca ascoltò un carillon con temi musicali provenienti dalla Cina e alcuni di questi temi si trovano nella partitura, ad esempio, la canzone popolare “Mo Li Hua”.
La trama della Turandot e semplice da riassumere. In tutte le elaborazioni della sua storia, la crudele principessa propone degli enigmi ai suoi pretendenti e manda a morte quelli che non sanno scioglierli. Solo un pretendente, il principe Khalaf, sarà in grado di risolvere i quesiti e alla fine, otterrà l’amore di Turandot.
L’opera di Puccini è articolata in tre atti e cinque quadri. Il compositore la lasciò incompiuta e fu completata più avanti da Franco Alfano (1875 – 1954).
La prima rappresentazione della Turandot di Puccini, ebbe luogo alla Scala di Milano, il 25 aprile 1926, nell’ambito della stagione lirica del teatro.
Gli interpreti di quella serata furono: Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta, Maria Zamboni, Giacomo Rimini, Giuseppe Nessi e Aristide Baracchi. A dirigere l’opera c’era Arturo Toscanini (1867 – 1957) che bloccò la rappresentazione a metà del terzo atto, alla morte di Liù, due battute dopo il verso “Dormi, oblia, Liù, poesia!”, in pratica dopo l’ultima pagina completata da Puccini.
Le sere successive la Turandot fu messa in scena con il finale rivisto di Alfano e diretta da Ettore Panizza (1875 – 1967).
L’incompletezza di Turandot ha fatto discutere gli studiosi. Il problema fondamentale di questo dramma che Puccini tentò inutilmente di risolvere era la mutazione della principessa che da algida e sanguinaria si trasforma in una donna innamorata.
Oltretutto, Puccini riteneva già la scena della morte di Liù un finale soddisfacente, poiché la considerava perfettamente in grado di suggerire al pubblico il resto della storia, appunto, il cambio di carattere di Turandot, dopo il sacrificio d’amore della sua ancella. Quindi, secondo questo punto di vista, l’opera di Puccini si può ritenere narrativamente completa anche se bruscamente interrotta.
In copertina: particolare della locandina di Turandot del 1926