Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #2 Egizi. La scrittura è un dono degli dei

geroglifici egizi

Verso il 2000 a.C., gli accadi (antenati semiti degli arabi e degli ebrei) dominano l’intera Mesopotamia.
La scrittura cuneiforme è una scrittura vera e propria, consente di lasciare traccia della lingua parlata ed è un altro modo di comunicare ed esprimersi e in questo periodo viene utilizzata per mettere “nero su bianco” le più svariate cose: dalla corrispondenza fino agli inni religiosi.

La scrittura moltiplica i suoi usi, ma resta un’arte di pochi: i maestri di scrittura costituiscono una casta aristocratica molto potente.

I segni cuneiformi non sono però gli unici sulla piazza: nel vicino Egitto e nella lontana Cina nascono altri sistemi di scrittura.

La scrittura geroglifica, rispetto a quella cuneiforme, è poetica e viva, composta com’è da disegni stilizzati in modo splendido.
Le prime iscrizioni geroglifiche risalgono al III millennio a.C., anche se pare che tale scrittura fosse già in uso nei secoli precedenti.

Gli Egizi hanno elaborato un sistema grafico che può esprimere ogni cosa e sono in grado di riprodurre quasi completamente la lingua parlata.

L’originalità di questa scrittura risiede nel fatto che è composta da tre tipi di segni:

  • pittogrammi, disegni stilizzati che rappresentano oggetti o esseri animati, con delle combinazioni di segni che esprimono le idee;
  • fonogrammi, gli stessi disegni o altri che rappresentano dei suoni.
  • determinativi, segni che permettono di sapere di quale categoria di oggetti o di esseri animati si tratta in quel contesto.

In gran parte dei casi, i geroglifici si leggono da destra a sinistra, seguendo l’orientamento delle teste di uomini o uccelli.

A volte, però, le cose non sono così semplici: un’iscrizione posta in prossimità di una statua di un dio importante o di un faraone, costringerà i profili delle iscrizioni a girarsi verso di essa, comportando una mutazione nella direzione della lettura, e questo complica non poco l’interpretazione.

Il problema del verso di lettura non è una questione trascurabile: i geroglifici possono andare dal basso in alto o alternativamente, una riga da sinistra a destra e la successiva al contrario. Questo tipo di scrittura viene definito bustrofedico (ricorda il movimento del bue che procede avanti e indietro sui solchi del campo).

C’è di che farsi venire il mal di testa!

In ogni caso questi segni possiedono una bellezza che va al di là del loro significato: uno spettacolo per gli occhi anche oggi, a distanza di tanti secoli.

Dai primi esempi di utilizzo quotidiano, gli Egizi passano a usare la scrittura per raccontarci la loro storia: gli avvenimenti importanti, le battaglie, i matrimoni.

La loro letteratura è molto ricca: massime morali, romanzi d’avventura, poesie, fiabe, trattati di arte, magia, medicina, cucina.

Vi consiglio di non leggere i testi nella stesura originale e soprattutto, di non provare qualche loro ricetta di cucina, senza prima aver almeno consultato la stele di Rosetta o un esperto di geroglifici.

la storia continua…

Lezioni di creatività #1 L’idea, il piacere di scrivere e il metodo

brodo e forchetta

Perché qualche volta è meglio prenderla alla lontana: impariamo a scrivere le nostre storie scoprendo la struttura narrativa del fumetto.

Il come ve lo spiego io, il perché dovete saperlo voi.

L’IDEA, OVVERO COME NUTRIRE LA PROPRIA CREATIVITÀ.

L’interesse per la sceneggiatura è figlio diretto della voglia – bisogno – di scrivere storie. Inutile dire che volete farlo perché vi piace raccontare: quello che cambia radicalmente è il modo, che qui chiameremo metodo. Ciò che non cambia affatto, invece, è il bisogno di curare il giardino più prezioso che possedete, quello della vostra immaginazione. Di certo possedete già i vostri sistemi, ma bisogna stabilire quanto siate consapevoli del materiale con cui venite a contatto.

Insomma, se vi ritrovate a cercare di sorbire il brodo con una forchetta, possiamo dedurne che l’intenzione è corretta ma lo strumento è sbagliato.

Ecco, la mia intenzione è fornirvi gli strumenti per poter passare dall’intento al risultato pieno, ma l’unica cosa che non posso offrirvi (e, poiché sono un essere acido e malevolo, nemmeno voglio) sono le idee. Quelle dovete imparare a riconoscerle ogniqualvolta si presentano. E non uso il termine riconoscere a caso, perché è proprio così che funziona: gli spunti narrativi sono ovunque e noi dobbiamo solo imparare a coglierli, con una sorta di antenna interiore che a forza di essere educata comincerà a vibrare in maniera autonoma.

Fondamentale è rendersi conto che le idee sono patrimonio inestimabile, per chi scrive; quindi la cosa più sciocca che si può fare è mostrarsi pigri.

Rassegnatevi subito: quando vi viene in mente qualcosa (e, siatene certi, due volte su tre accadrà in un momento poco appropriato) non potete pensare “la scrivo domani” o “adesso dormo, tanto faccio in tempo anche dopo”. Dopo quasi sempre l’idea si sarà dissolta in maniera misteriosa, proprio come era arrivata. Sono consapevole che non sempre si possa correre a prendere appunti, specie se siamo in ufficio o in fabbrica, ma dobbiamo farlo appena possiamo e non un secondo dopo.

Nel lasso di tempo che intercorre da quando veniamo colpiti da un’epifania letteraria alla possibilità di scrivere tre righe di promemoria, dobbiamo crearci una sorta di post-it mentale.

Quest’esercizio vi aiuterà a richiamare alla mente con molta lucidità quello che volete fissare su carta, anche se sotto forma di appunto. Visualizzate la vostra mano che scrive su un foglietto (o, meglio ancora, una grande lavagna) tre-quattro parole legate alla vostra idea: attenzione, all’idea di partenza, non allo sviluppo che potrebbe avere in seguito…

Continua…

Scrittura #7 I “mobili” sentimenti

divano

E poi cominciò a chiedersi che ne sarebbe stato di quel divano. […] Lo immaginò fuori, sulla strada serpeggiante, in attesa di qualcuno che lo volesse, sotto il sole cocente dell’isola che ne esaltava i segni d’usura. Immaginò i suoi nonni mentre lo compravano. Si figurò l’angusto negozio di mobili a Fira […] sua nonna che indugiava sui colori e suo nonno con l’espressione dolce e niente da dire“.
(Ann Brashares, Quattro amiche per sempre)

Gli oggetti recano impressi i segni del ricordo, se ne impregnano… semplicemente, come un odore che resta persistente nella trama di un tessuto.

Il ricordo impigliato finisce per far parte dell’oggetto, ne diventa un tratto distintivo e osservarlo o toccarlo ci consente di fare un tuffo nella memoria.

Questi oggetti, vere e proprie macchine del tempo, recano tracce profonde e i loro caratteri così noti e cari ci procurano nell’atto dell’abbandono lo stesso dolore e la vaga nostalgia di quando un amico si allontana.

Sedeva al tavolo di cucina del loft. A casa di sua madre il tavolo in cucina era fatto di pino o ciliegio o un altro legno. Aveva mille nodi e scalfitture, ma era caldo. Questo tavolo, come il resto nella loro cucina, era di acciaio inossidabile. Si poteva ripulirlo da ogni macchia, ma era duro sotto le sue braccia, duro e freddo“.
(Ann Brashares, Quattro amiche per sempre)

Si possono esprimere emozioni attraverso gli oggetti: due tavoli da cucina messi a confronto possono, ad esempio, essere la chiave di lettura di due scelte di vita molto diverse.

Scrittura #6 Le scene di Simenon

Pipa con ombraSi incamminò verso il Café de la Marine, e quando ne varcò la soglia le voci tacquero di colpo. I battellieri erano tutti in cerchio attorno alla stufa di ghisa. Il guardiano della chiusa stava appoggiato al banco, vicino alla figlia del padrone, una ragazza alta, con i capelli rossi e gli zoccoli ai piedi.
I tavoli ricoperti di tela cerata erano ingombri di bottiglie e bicchieri e cosparsi di chiazze.
‘Allora è proprio sua moglie?’ finì col chiedere il padrone facendosi coraggio.
‘Sì! Mi dia una birra! Anzi, no! Qualcosa di caldo… Un grog’.
A poco a poco i battellieri avevano ripreso a discorrere. La ragazza, nel portare a Maigret la bevanda bollente, gli sfiorò la spalla col grembiule“.
(Georges Simenon)

Appena entra Maigret, la scena si congela.

Simenon descrive le rispettive posizioni dei personaggi che si trovano all’interno del locale e grazie a una rapida occhiata che va dall’alto dei capelli rossi della figlia del padrone al basso dei suoi zoccoli, ci fornisce una pennellata rapida di colore e al contempo, ci consente di seguire lo sguardo del commissario che ha percorso la stanza e osservato tutti i presenti, soffermandosi su alcuni dettagli e tralasciando, ad esempio, di descrivere i battellieri: una massa indistinta che fa cerchio attorno alla stufa.
Il lettore può così ricostruire mentalmente il “Café”, gli uomini e le donne presenti e anche il mobilio della stanza.

L’autore fornisce tutti gli elementi affinché chi legge possa entrare fisicamente nella scena e al tempo stesso ci dice che l’entrata del commissario ha provocato un’interruzione.

I personaggi devono assorbire la nuova presenza nella stanza, ma è sufficiente il tempo di una rapida descrizione e un breve scambio di battute tra Maigret e il padrone del locale perché il flusso vitale della scena riprenda il suo normale corso: i battellieri proseguono i loro discorsi interrotti e la ragazza dai capelli rossi sfiora con il grembiule la spalla del commissario.

La contemporaneità è un’altra caratteristica delle scene di Simenon.

Maigret si accese la prima pipa della giornata e andò ad aprire alla ragazza che portava il caffè. Poi diede un’occhiata dalla finestra al Southern Cross, su cui non si scorgeva ancora alcun segno di vita. In quel momento stava passando una chiatta, e il battelliere, appoggiato al timone, guardava lo yacht con ammirazione mista a invidia“.

‘E così è venuta fuori una bella storia… Vuole che l’aiuti, capo?…’
In effetti Maigret stava facendo sforzi disperati per afferrare le bretelle che gli pendevano lungo le gambe
“.

Attraversarono la banchina ed entrarono nel locale, dove c’era soltanto la cameriera che stava pulendo i tavoli.
‘Aspetti!… Che cosa prende?… È giusto l’ora dell’aperitivo!… […] Julie, va’ pure in cucina, resto qui io…’
Poi, con un’occhiata d’intesa al commissario:
‘Alla sua salute!… L’ho vista da lontano e, siccome avevo qualcosa da dirle…’.
Andò ad accertarsi che la ragazza non stesse origliando dietro la porta. Poi, con un’aria sempre più enigmatica […] tirò fuori di tasca qualcosa“.

Mentre un personaggio racconta alcuni fatti, l’altro è occupato in altre faccende: osservare fuori dalla finestra, dove sta accadendo qualcos’altro; vestirsi o coinvolgere altre persone nella situazione.

Tutto allo scopo di interrompere il racconto e far lievitare la curiosità.

Il lettore, per conoscere gli sviluppi della storia, sarà costretto ad attendere. Inoltre, l’autore, in questo modo, ha creato anche un effetto prospettico: la scena si allarga, acquisisce realismo e profondità, consentendo a chi legge di ampliare nella sua immaginazione la visione del quadro narrativo.

Scrittura #3 Clara Sánchez: la descrizione ‘emozionale’ dei personaggi

Penna e taccuino

Minuzioso, ed ‘emozionale’ il modo di descrivere di Clara Sánchez.

Il personaggio di Verònica ci giunge attraverso gli occhi e le sensazioni dell’altra co-protagonista: Laura ed è un vero e proprio racconto, dal ritmo incalzante.

Una ridda di particolari che si susseguono come se chi osserva e definisce la ragazza sia colto dalla sua forte vitalità che s’impone alla vista e fluisce nelle parole usate per descriverla.

Era una di quelle persone che ti rimangono in testa anche se le guardi appena. Con alcune devi fare uno sforzo sovrumano per ricordarne il viso o il nome, e invece altre ti sembra di averle conosciute in un’altra vita più intensa. Non era quello che si dice una bella ragazza, e neanche brutta, ma tutto quello che aveva era molto forte: la brillantezza dello sguardo, la lucentezza dei capelli, la forma del naso, le guance, il rosa della bocca, l’ombra marcata delle occhiaie, le spalle, le mani, le cosce tese sotto i jeans, la voce roca come quella di una cantante nera. L’energia che sprigionava era così densa che si poteva vedere e toccare“. (tratto da: ‘Entra nella mia vita‘)

In un evolversi di elementi sempre più incalzanti: i capelli, il naso, le guance, la bocca, ecc. arriviamo alla frase conclusiva, dopo una corsa tra sostantivi e aggettivi accumulati a bella posta per farci sentire tutta la carica vitale di Verònica.
La Sánchez chiude il suo miniracconto con una frase che interrompe il flusso ritmico precedente e ci porta di colpo all’interiorità del personaggio, come se ogni elemento esteriore di questa ragazza scaturisca dalla sua anima e da essa sia modellato e reso palese a chiunque la osservi.

Sì anche a te che leggi le sue pagine, soprattutto a te…

Scrittura #2 La descrizione dei personaggi: Agatha tu mi stupisci

Agatha Christie

Un’autrice che descrive con grande rapidità e precisione è Agatha Christie.

I suoi personaggi sono un insieme di indizi.

Quadri in miniatura: suggeriscono ai lettori fisionomia e tratti caratteriali dei soggetti della storia.

A voler definire in una sola parola il signor Jesmond, questa sarebbe stata “discrezione”. Tutto, in lui, era discreto. Gli abiti di ottimo taglio ma non vistosi, la voce garbata e ben educata che raramente si alzava in toni che si staccassero da una piacevole monotonia, i capelli castano chiaro che cominciavano a diradarsi alle tempie, la faccia pallida e grave“.

La signora Lacey era vicina alla settantina, dritta come un bastone, con i capelli candidi come la neve, le guance rosee, gli occhi azzurri, un nasino spiritoso e il mento risoluto“.

I signori Baker […] ci stavano aspettando. Erano una coppia simpatica. Lui tutto rattrappito e con le guance rosse, come una mela raggrinzita, e sua moglie una donna di vaste proporzioni e con la calma della gente del Devonshire“.

Niente è superfluo nelle sue descrizioni.

Come nelle sue storie, dove ogni cosa va al suo posto e ogni particolare trova la giusta collocazione e una successiva spiegazione, anche i protagonisti dei suoi gialli vengono definiti con la stessa logica ed essenzialità.

La scrittura di Ed McBain e i “cambiamenti climatici”

nuvole
“In una bella giornata di primavera la gente non pensa alla morte”.

Questo è l’incipit di “Lungo viaggio senza ritorno” di Ed McBain.
Ho appena terminato di leggerlo e uno degli aspetti che più mi ha colpito di questo libro sono le condizioni atmosferiche che per contrasto introducono e scandiscono l’azione: quella dell’assassino.

Quest’uomo che imbraccia un fucile e uccide dai tetti della città, misterioso e letale, a dispetto delle magnifiche giornate primaverili, continua ad uccidere anche se “è l’autunno il tempo adatto a morire, non la primavera. L’autunno stimola i pensieri lugubri, invita alle fantasie macabre, favorisce i desideri di morte, con lo spettacolo malinconico del declino della natura […] Muore tanta gente, in autunno. Tutti i giorni“.

Dopo una tirata iniziale che coinvolge persino il Codice Penale, additando come un crimine ulteriore la “Morte in primavera“… avviene il primo omicidio di un ignaro buon cittadino che non pensava alla morte in quella splendida giornata che per lui sarà l’ultima.

Ovviamente, non è l’unico scrittore che utilizza l'”espediente climatico” per favorire una storia, per creare l’atmosfera.
Qui per contrasto, in altri casi, il tempo “va a braccetto” con i sentimenti o le emozioni dei personaggi della storia oppure serve a preannunciare qualcosa di misterioso o terribile che sta per accadere.
Chi non ricorda il fortunato tormentone:

Era una notte buia e tempestosa…

L’assassino va in scena: tra le note di Mozart e le vie di Salisburgo

Insegna cover assassino va in scenaMozart è il filo conduttore di una serie di efferati omicidi.
Saverio, un famoso organista, si trova coinvolto nelle indagini, ad aiutarlo un prezioso amico e un simpatico cane.
I tre detective in erba e Schneider, il tenace ispettore di polizia, dovranno districarsi tra dettagli curiosi e cifrari segreti, immersi nella stupenda cornice della città di Salisburgo che non si limiterà a fare da sfondo a questa intrigante storia.

Questi sono i punti salienti del mio giallo che è nato da un’immagine: un Papageno morto con un Glockenspiel accanto.

Papageno, uno dei personaggi chiave del Flauto magico di Mozart mi ha indicato la strada da seguire per quella che considero un’affascinante avventura “scrittoria” che si è conclusa da poco.

L’ambientazione è, appunto, Salisburgo, non solo perché è il luogo di nascita di Mozart, ma anche perché l’ho vista con i miei occhi e mi ha letteralmente affascinato.
Un piccolo gioiello incastonato fra le montagne e, a sua volta, la città, in un gioco quasi di matrioske, incastona nel suo mezzo il Salzach, il fiume che divide o se preferite unisce le due parti di Salisburgo: quella nuova (Neustadt) e quella vecchia (Altstadt).

Ho pensato che fosse il posto giusto per lo svolgersi dei miei eventi: un luogo racchiuso e delicato come una pietra preziosa, la presenza invisibile ma costante della musica gioiosa e vitale di Mozart, contrapposti alle tracce oscure del male, un contrasto fantastico e affascinante.

La musica in questa storia ha una grande importanza perché, come per Saverio, il protagonista della mia storia, anche per me occupa un posto di rilievo nella mia vita: ha seguito e segue ogni mio passo come una fedele amica e lasciarsi guidare dai suoi suggerimenti mi ha sempre portato fortuna.

Buona lettura.

I personaggi: gioie e dolori del mestiere di scrivere

mano che scrive

Ho terminato di scrivere il mio primo giallo e ho già iniziato a lavorare al secondo.

In questo momento sono in una fase di sedimentazione: mi sono immersa nelle ricerche e nella documentazione; adoro questa parte del lavoro, così come lo scrivere in scioltezza quando le idee sono chiare e hanno bisogno solo delle dieci dita per essere trasferite su “carta”.

Inoltre, mi sto concentrando sui personaggi.

Ho letto o sentito da qualche parte che sono loro a condurre il gioco, la storia, insomma.
Un tic, un accessorio dell’abbigliamento un po’ vistoso, una piccola mania o una passione inconfessata possono produrre significativi cambiamenti in una storia.

In un libro, a differenza di ciò che accade nella vita, si riesce a creare un mondo “controllato”, dove gli incastri sono dettati dalle piccole differenze o similitudini che si riescono a trasferire sulla pagina, ma a volte, anche in questo “recipiente”, sarebbe meglio dire bicchiere, possono avvenire delle “tempeste” non previste.

Elementi fondamentali della scrittura: Punteggiatura… Mon Amour

segni punteggiatura

“Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto. Senza contare quello che può fare una virgola”. (Isaak Babel‘)

Leggendo il libro “Questo è il punto” di Francesca Serafini ho riscoperto la magia della punteggiatura.

Quegli umili semplici segni che costellano le pagine regolandone il ritmo, la vivacità, la vita stessa a volte.

La punteggiatura assolve con dedizione al suo compito di rendere la pagina scritta vicina al parlato, ma la sua aspirazione più elevata è quella di rendere possibile la comunicazione, evitando fraintendimenti e nel libro ne vengono mostrati diversi di questi possibili “inconvenienti”, dove un punto o una virgola fanno davvero la differenza per quanto riguarda il significato di una frase.

Consiglio a lettori e scrittori di salpare per questi lidi a volte dimenticati, quelli dei “segni d’interpunzione”, quali novelli esploratori.
Il viaggio non sarà di certo noioso e consentirà di vivere nuove e inaspettate avventure…