1° Appuntamento con il giallo: Presagio mortale

cover Presagio mortaleParigi.
Durante una mostra di Aline Fournier dedicata a tre serial killer, Constance Bernard, famosa medium, preannuncia la morte della pittrice come l’inizio di una serie di delitti per mano degli spiriti.

Mentre la profezia si avvera con il primo omicidio, un gruppo di inafferrabili rapinatori mette a segno colpi in diverse gioiellerie.
Il commissario Lambert indaga, aiutato dal “professore”, Edmond A. Picard, astuto criminologo.

Riusciranno insieme a districare l’elaborata tela dell’assassino, mentre ombre dal passato tornano nella vita di Edmond a turbare il presente e le sue indagini?

Jazz e scrittura: scene da un matrimonio

jazze e scritturaAlcune sere fa ho assistito a un concerto jazz.
Mentre le note si susseguivano in seducenti costrutti sonori i miei pensieri scivolavano dentro e fuori la musica.

L’associazione musica-scrittura è scattata in un baleno.

Credo che ogni input esterno possa far scaturire nuove idee e la musica è sempre stata un’ottima amica degli scrittori: alcuni, come Thomas Mann, l’hanno corteggiata in lunghe descrizioni, arrivando persino a costruire romanzi dove la musica occupa un ruolo fondamentale.

Sempre a caccia di stimoli da tradurre in storie, di consueto, viaggio accompagnata da un taccuino su cui annoto nuove idee, impressioni, sensazioni embrionali, associazioni di parole o frasi accattivanti.

Mi arrampico tra metafore estemporanee e guizzi d’intuito e a volte, qualche buon inizio cresce e diventa storia.

Così, durante il concerto ho trasformato quanto accadeva davanti a me, bypassando gli eventi sonori dal mondo magico della musica a quello fatato della scrittura.

Gli assolo sono diventati storie inconsuete e piene di fascino con un incipit fulminante, un climax e una conclusione.
Brillanti variazioni: insistenti tentativi di nuovi intrecci.
Leitmotiv: personaggi interessanti con curiose sfumature caratteriali.

Ogni elemento musicale trovava il suo corrispettivo letterale nella mia mente, persino il dialogo tra i due musicisti si trasformava nell’intima conversazione tra due… amanti.

Social, Acquisti online, e-mail e… quant’altro

social acquisti online emai quantaltroSarà capitato anche a voi…

Canta Mina nella famosa Zum, zum, zum, parlando di un’ossessione musicale che le è spuntata in testa.

A me invece capita di essere sempre più spesso ossessionata dalla rete.

Per motivi di lavoro, di studio, di ricerca e di diletto, mi ritrovo a fare i conti con mareggiate di e-mail, carrelli virtuali, post, commenti, “mi piace” più o meno consapevoli, tweet, miriadi di video sempre più fantasiosi e sciami di  emoticon che tentano con ogni mezzo di esprimere le mie emozioni più profonde con sempre nuove faccette.

Sprofondata a inseguire link e rimandi su un topic, inciampo su query e tento vanamente di formulare nel frattempo pensieri legati alla scrittura, mentre le informazioni si gonfiano, si moltiplicano a dismisura e io finisco per avvertire una gran confusione in testa e mi ritrovo con poche, ossute e spigolose parole da mettere in fila per costruire un personaggio, una trama o un umile canovaccio.

Flussi di dati e onde di pensiero… un intreccio, quasi una musica che quando smetterà di suonare, mi auguro di riuscire a tirare i remi in barca e, rigorosamente offline, di iniziare a riflettere e programmare il mio prossimo libro, sperando di riuscire a tradurre, senza fare e farvi confusione, quanto accumulato in questo tempo sospeso, in cui vivo da un po’, con il mio Zum, zum, zum quotidiano e tanti “quant’altro” da mettere in ordine.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #8 Scritture indiane

Scrittura indianaLe scritture indiane hanno probabilmente la stessa origine del nostro alfabeto.

Nel III secolo a. C., nella penisola indiana si usavano due scritture principali: il kharosti e il braminico, oltre a numerose variazioni sorte per trascrivere la moltitudine di lingue parlate nel Paese.

Totalmente alfabetica, la scrittura braminica è all’origine del devanagari, con cui si trascrive la lingua sacra di gran parte dell’India, il sanscrito, lingua indoeuropea, e anche una delle lingue più diffuse: l’hindi.

Gli storici ritengono che queste lingue siano nate altrove, dalla trasformazione dell’alfabeto fenicio.

L’india, infatti, era luogo di passaggio e commercio tra i popoli del Mediterraneo orientale e gli abitanti della penisola e si verificavano costanti contatti anche con la penisola arabica, le coste fenicie e la Grecia.

Panini, un indiano di Salatura, è considerato il primo grammatico linguista e intorno al IV secolo descrisse il funzionamento delle consonanti e delle vocali del sanscrito.

Le principali lingue dell’India si leggono da destra a sinistra e si basano su una vocale principale, la A. Le lettere sono legate tra loro, al di sopra di una linea immaginaria, da una barra orizzontale. Questo particolare andamento dà a tale scrittura una bellezza plastica.

Sul modello delle scritture indiane si sono successivamente sviluppate le scritture usate tuttora in Tibet e in molti Paesi del sud-est asiatico: Laos, Thailandia, Cambogia e Birmania.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #7 Il “mistero etrusco”

etruschiAlfabeto simile a quello greco, L’alfabeto etrusco si componeva inizialmente di 26 lettere, ridotte poi a 21-20 lettere.

La scrittura etrusca ha di regola un andamento da destra a sinistra ed è documentata sin dal VII secolo d.C., grazie a brevi iscrizioni sepolcrali e ad alcuni testi più lunghi, come quelli scritti sulla benda che avvolge una mummia del museo di Zagabria, sulla cosiddetta “tegola di Capua”, sulle lamine d’oro rinvenute nel 1964 a Pyrgi.

Il liber linteus di Zagabria, come viene chiamato perché era in origine un libro scritto su tessuto di lino che si leggeva srotolando, fu tagliato in bende e posto a copertura di una mummia egiziana. Portato a Zagabria, dove è tuttora conservato il testo, è stato ricostruito accostando le bende. In sostanza, questo documento è un calendario che indica in quali giorni compiere le offerte religiose per onorare le divinità.

La tegola di Capua risale al V o IV secolo a.C. ed è un testo di carattere religioso, una specie di formulario per i riti funebri.

Le lamine di Pyrgi sono tre documenti incisi su lamine d’oro, rinvenute a Pyrgi (oggi Santa Severa, in provincia di Roma), sono di notevole interesse storico-linguistico per l’archeologia etrusca e sono conservate a Roma, presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

I tentativi d’interpretazione della scrittura etrusca si sono basati su vari metodi.
La grande maggioranza dei testi epigrafici è traducibile, si conoscono vocaboli riferiti alle divinità e al culto: ais (dio); thaur(a) (tomba), phersu (maschera); tin (giorno); zichuch (scrivere), ma il lessico che ne deriva è ridotto a pochi elementi grammaticali sicuri, quindi, i testi più lunghi restano per buona parte oscuri.

Gli Etruschi non usarono un sistema di scrittura uniforme in tutto il territorio da loro occupato: esistono piccole differenze a seconda dell’area geografica.
In origine le frasi venivano scritte senza soluzione di continuità: le parole erano poste una dopo l’altra, senza spazi a separarle, e le lettere erano di forma spigolosa e irregolare.

Dopo il VI secolo a.C., la scrittura si stabilizzò: i tratti erano più regolari, lettere arrotondate e, infine, comparvero dei punti o più raramente dei trattini per separare le parole. Questa sorta di punteggiatura rendeva il testo più semplice da leggere.

La civiltà etrusca ha visto nascere al suo fianco la città di Roma, e i romani hanno imparato molto dai loro vicini, ma dopo un periodo di convivenza pacifica, gli etruschi hanno dovuto arrendersi alla loro avanzata e a quella di altri popoli del nord e del sud Italia, che, gradualmente, li inglobarono sotto il loro dominio.

Tuttavia l’influenza della civiltà etrusca si fece sentire anche dopo la perdita dell’autonomia politica. La cultura, l’amore per il lusso e per le cose belle, i gusti raffinati e alcune pratiche religiose furono trasmesse ai romani, contribuendo al loro sviluppo. La lingua etrusca continuò a essere parlata fino al I secolo d.C. e il suo sistema di scrittura si diffuse in larga parte d’Italia, dando origine a vari alfabeti italici.

Quando ti salta la mosca al naso

 pesca a mosca

Il più delle volte inizio a scrivere partendo da un’immagine sorta in modo spontaneo nella mia mente.

Nel giallo “La firma dell’assassino” ho visualizzato questa scena:

“Lasciati guardare… Sfumature morbide, ali nell’esatta angolazione… perfetta. Ora, possiamo andare a pesca”.
L’uomo posò con delicatezza il piccolo ‘insetto’, un capolavoro di fili e piume, sul tavolo insieme agli attrezzi e poi, fissò la parete tappezzata di ritagli di giornale, alcuni più vecchi, altri più recenti: un muro d’odio allestito con cura e caparbietà.
Ogni tassello era al suo posto, non restava che uccidere.

Mi sono quindi documentata sulla pesca a mosca e soprattutto sulle “mosche”, argomento affascinante e coinvolgente.
Ho passato diverse serate a leggere riviste del settore corredate di immagini molto belle e ho intuito la passione che c’è dietro questo “sport” singolare.

La sfida che pescatore e pesce mettono in atto è davvero intrigante.

Il pescatore a mosca deve usare tutta la sua abilità per convincere il pesce ad abboccare e le mosche artificiali sono solo uno dei tanti stratagemmi che impiega per raggiungere il suo scopo.

Pazienza, passione e una buona dose di astuzia sono alcuni degli elementi che possono condurre a buon fine una giornata passata lungo il fiume.

Dalle mie letture ho concluso che i pesci sono come le persone: ognuno ha il suo carattere e le sue esperienze.
Sono certa che alcuni sono più furbi di altri, più difficili da ingannare e quindi, da catturare. Del resto, la cattura, per i “veri” pescatori a mosca, dura solo pochi istanti: il tempo di una fotografia, da mostrare poi con orgoglio agli amici del circolo.

Ho voluto trasferire alcune di queste qualità nel mio personaggio che ha deciso di uccidere invece che limitarsi a pescare.

Se volete scoprire perché e come finisce questa avventura in giallo, non vi resta che leggere tutta la storia, altrimenti, godetevi questo piccolo cammeo dedicato alla pesca a mosca.

 

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #6 Alfabeto greco: arrivano le vocali

Vaso greco

Tutte le scritture derivate dal fenicio fanno uso di sole consonanti.
In Grecia però, si parla una lingua diversa che non può essere trascritta con gli alfabeti allora esistenti.

Così i Greci prendono a prestito dall’aramaico molti segni (consonanti ignote al greco) per trascrivere le vocali.

Verso il V secolo a.C. esiste già l’alfabeto greco che comprende 24 lettere: 17 consonanti e 7 vocali. Inoltre, questo alfabeto prevede l’uso di maiuscole e minuscole, le prime venivano utilizzate per incisioni su pietra, le seconde per scrivere sui papiri o sulle tavolette di cera.

Dal V-VI secolo a.C., con la scrittura greca compare una letteratura molto ricca e noi siamo gli eredi di quella letteratura e della scrittura che ha consentito di diffonderla.

Il greco ha dato origine a molte scritture, come l’armeno, il copto e il georgiano, ma ha condotto anche alla nascita dell’alfabeto latino, la storia di questo passaggio è complessa e ancora non del tutto chiara, ma è probabile che i Greci, grandi navigatori, possano aver trasmesso la loro scrittura agli Etruschi che vivevano nell’odierna Toscana.

la storia continua…

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #5 Scrittura araba: multiforme e decorativa

Moschea decorazione soffitto

Verso il 650, i primi testi del Corano, vengono trascritti in arabo.

Nel Corano, la scrittura è di per se stessa “scrittura di Dio” e la si onora, senza neppure leggerla né comprenderla.

Come l’ebraico, l’arabo si scrive e si legge da destra a sinistra e ugualmente, non trascrive le vocali. Comprende 18 lettere che associate a dei punti diventano 29.

La caratteristica geniale di questa scrittura è la sua capacità di prestarsi a innumerevoli forme.

Grazie a questa sua singolare caratteristica, la scrittura araba è diventata elemento decorativo essenziale delle moschee e degli altri monumenti e costituisce la base dell’arte degli “arabeschi“.

La calligrafia araba ha conosciuto fino a oggi stili di una varietà infinita e di una fantasia illimitata.

Nelle regioni meridionali dell’Arabia sino all’Etiopia si sono sviluppati molti altri tipi di scrittura, tutti nati dal fenicio e per la maggior parte scomparsi.

Sono sopravvissute solo la scrittura etiopica e quella dei tuaregh: il tifinagh contraddistinta da caratteri dalla forma geometrica.

Caso raro nella scrittura, il tifinagh è appannaggio delle donne e qui, come altrove, possedere la scrittura significa avere un certo potere.

la storia continua…

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #3 La scrittura cinese: un esempio di coerenza

lanterne cinesi

Mentre ci si avvia al II millennio avanti Cristo, la scrittura cuneiforme ha quasi raggiunto il suo assetto definitivo; in Egitto gli scritti geroglifici si moltiplicano; a Creta e nella Grecia continentale si sviluppano scritture che sono dei veri rompicapo per gli studiosi.

In Cina, in questo stesso lasso di tempo, nasce la scrittura cinese, codificata e strutturata tra il 200 a.C. e il 200 d.C., ed è la stessa che i cinesi leggono e scrivono ancora oggi.

Ovviamente, agli albori, i caratteri cinesi venivano tracciati con pennello e inchiostro; oggi i caratteri stampati hanno perso la finezza e la precisione di quelli originari, ma la scrittura è rimasta fedele a se stessa, pur semplificandosi col tempo.

Se per gli egizi la scrittura era un dono degli dei, per i cinesi la sua nascita è leggendaria.

All’origine della scrittura vi sarebbero tre imperatori, uno di essi, Huang Che, pare abbia tratto i caratteri dallo studio dei corpi celesti e dalle impronte degli uccelli e degli animali.

La scrittura veniva usata anche a scopi divinatori: i sacerdoti scrivevano domande su un lato delle scaglie di tartaruga, poi avvicinavano il rovescio a un fuoco acceso a est e traevano le risposte dalle fenditure causate dal calore.

Gli inizi della scrittura sono simili per molte civiltà: i primi tentativi sono stati ovunque, disegni, pittogrammi o combinazioni di pittogrammi.

Esempi di queste prime fasi hanno somiglianze notevoli tra loro, pur essendo state prodotte da civiltà molto diverse.

I pittogrammi poi, evolvendosi, hanno acquisito una sempre maggiore stilizzazione, ma i caratteri cinesi consentono tuttora, di ravvisare le sembianze degli antichi pittogrammi da cui si sono originati, fornendo a questa scrittura una dimensione poetica.

La lingua e la scrittura cinese hanno una particolarità importante: a seconda della grafia, uno stesso suono può significare più cose.

In Cina, la scrittura è un elemento di unità linguistica perché la lingua parlata è totalmente differente dal nord al sud.

Se pensavate fossero complicati i geroglifici, ora sarete sopraffatti.

Ogni carattere si deve inscrivere in un quadrato perfetto. In generale, è composto da: una chiave che fornisce il senso e una parte, fonetica, che dà indicazioni sulla pronuncia. Inoltre, bisogna seguire un ordine preciso per tracciare i tratti che compongono i caratteri stessi.

Il cinese quotidiano si legge da sinistra a destra, ma quello colto e la poesia dall’alto in basso e da destra a sinistra.

Tenete pronta un’aspirina perché…

la storia continua…

Chi ha paura della pagina bianca?

typewriter macchina da scrivere

Leggendo un post su Van Gogh e il suo rapporto con la tela bianca ho ripensato a Mallarmé e alla sua pagina vuota.

Alla paura che si scatena quando ci si trova di fronte a un compito creativo e si teme di fallire, di non produrre niente di buono o di non riuscire proprio a produrre nulla.

Van Gogh scrive a suo fratello Theo in proposito.

Tu non sai quanto sia paralizzante fissare una tela vuota che dice al pittore: tu non puoi fare nulla.

Quindi, il pittore esorta a non avere paura di fare cose sbagliate, se si vuole essere attivi.

Mallarmé in modo non dissimile, lotta contro l’angoscia della pagina bianca: il foglio di carta che resta vuoto, difeso dal suo stesso candore.

O notti! Né il chiarore deserto del mio lume
Sulla pagina vuota che il candore difende
 (Stéphane Mallarmé).

Blocco dello scrittore, paura del foglio bianco: definizioni diverse per un unico dilemma.

Non ci sono ricette infallibili o formule magiche per superare l’impasse e uscirne vittoriosi, solo un costante lavoro ci consente di portare a termine con successo il compito che ci siamo prefissi.

Bisogna prepararsi bene.
Nel caso di chi scrive, leggere molto (un mantra che vi sarete stancati di sentire, ma che è sempre bene ripetere); scrivere con costanza quotidiana; riflettere; fare schemi, se necessario; lavorare sui personaggi, studiandoli fin nei minimi dettagli (immaginare con chiarezza come sono vestiti, quali sono le loro caratteristiche, i tic, la loro storia, osservarli muoversi); documentarsi a lungo per le ambientazioni, se non sono luoghi che si conoscono.

Questo lavoro faticoso dà sempre buoni risultati, inoltre, la mente, se stimolata nel modo corretto, continuerà a elaborare idee, tracce, soluzioni, anche quando saremo occupati a fare ben altro che scrivere: stirare, pulire, camminare, persino dormire.

E in un momento di relax, o durante il sonno arriveranno le idee migliori.

Nel mio caso si tratta di immagini, scene di partenza da cui di solito inizio a tessere una trama che si dipana sempre più chiara, a mano a mano che fisso su carta le idee.

Il lavoro dello scrittore non è semplice, a volte bisogna ragionare a lungo sui personaggi, spesso si resta impantanati in una situazione che sembra non avere una soluzione, ma ho riscontrato che la prima immagine che abbiamo di una trama è per lo più corretta e va difesa da successivi cambiamenti legati alle vicissitudini della storia.

È la scintilla che dà fuoco alle polveri e ci consente di vincere la resistenza della pagina bianca e di proseguire.

Un faro nel buio di una storia appena nata che ci guida a destinazione, tra mille peripezie, ma non bisogna avere paura di sbagliare, perché spesso i percorsi meno battuti sono i migliori o comunque ci aiutano a trovare quello giusto.

In molti casi, è necessario tornare indietro per riprendere il filo, cancellare, rivedere, affilare i nostri strumenti e ripartire con coraggio.

Scrivere è una sfida continua e non ci si può arrestare, perché, citando il titolo di un film di Totò e Peppino, chi si ferma è perduto.