Intervista a Flaminia Mancinelli: un’amica e una scrittrice

Flaminia Mancinelli scrittrice

Flaminia Mancinelli è una scrittrice, ma per noi è prima di tutto un’amica, per questo abbiamo deciso di dedicarle una breve intervista in concomitanza con la pubblicazione del suo secondo romanzo con la casa editrice Newton Compton.

Raccontaci qualcosa di te
Nata a Roma e cresciuta a libri e scritture!
Ho fatto mille studi e quasi altrettante professioni. Dagli studi di filosofia e teologia al lavoro nel cinema, e poi la libraia, la giornalista, ecc…
Mi sono mossa molto su e giù per lo “stivale” e poi mi sono trasferita nel nord della Francia, dove ora vivo in aperta campagna, insieme a tutta la mia biblioteca.

Quando hai sentito il bisogno di passare dallo scrivere solo per te alla pubblicazione?
Davvero tu credi che si scriva per se stessi?
La scrittura, come la parola, è una forma di comunicazione. Estremizzando così come chi parla da solo ha qualche problema, anche chi scrive per infilare tutto in un cassetto a me sembra un po’ “strano” o… se la racconta. Dopo aver scritto un testo congruo io ho sempre fatto fatica ad andare a bussare alla porta degli editori, e difatti mi stupiscono quegli autori che raccontano di aver mandato i loro romanzi a decine di editori prima di trovarne uno disposto a pubblicarli. A me è successo sempre per caso. Non credo che avrei avuto la testardaggine né l’insistenza di provare e riprovare.
Mi piaceva il Self publishing perché non è necessario… bussare…

In base alla tua esperienza, quali sono i vantaggi e gli svantaggi che hai rilevato quando sei passata dall’autopubblicazione alla pubblicazione con una casa editrice?
In realtà io ho fatto il cammino inverso: all’inizio ho pubblicato il mio primo romanzo con una casa editrice romana, ma era stata un’esperienza tutt’altro che esaltante, quindi quando ho scritto La Profezia della Stella, l’ho stampato per conto mio. Era il “lontano” 2008 e Amazon e gli scrittori indie erano ancora all’inizio. Dal 2011 ho iniziato e leggere eBook sul Kindle e dopo qualche mese, dopo aver ripubblicato La Profezia in elettronico ho continuato così fino al 2016 quando…
… È una storia un po’ lunga, spero di non annoiarti…
Dunque nel 2016 avevo autopubblicato numerosi testi, di vario genere, e uno di questi (Omicidi all’ombra del Vaticano), dopo aver conquistato le vette della classifica di Amazon, ha attirato l’attenzione della Newton Compton che mi ha proposto di entrare a far parte della loro squadra di autori. Ho accettato e così ho riprovato le vie dell’editoria tradizionale.
La difficoltà maggiore per me, che sono uno spirito molto indipendente (con una buona tendenza all’anarchia) è dover rinunciare alla libertà cui sono avvezza. Ma è naturale, se si fa parte di una squadra devi sottostare alle regole degli altri. In cambio hai indubbi vantaggi. Ad esempio mi sono liberata dell’impaginazione e della grafica della cover, che erano senz’altro compiti impegnativi. E poi con questo secondo libro l’editore mi ha affiancato un Editor davvero valido, che mi sta facendo rivalutare questa figura professionale.
Insomma un po’ meno libertà ma in cambio molte professionalità utili a darmi una mano.

Parlaci del tuo ultimo romanzo e delle tua esperienza lavorativa come scrittrice in generale.
Senza movente” nasce, per molti aspetti, dalla mia esperienza personale. Sono nata a Roma e vivo in Francia, quindi mi è venuto spontaneo creare una duplice trama ambientata sia nella Capitale sia nelle regioni francesi della Bretagna e della Normandia. Ma dalla mia vita passata ho tratto anche diversi personaggi con i quali ho popolato le pagine di questo mio ultimo romanzo. Non solo “personaggi” positivi, anzi… Alcuni, purtroppo, attraversati da una tragica vena di follia. Tutto ciò generato dalla mancanza di amore.
Tutta la vita ho scritto. Ho iniziato a 9 anni. Mia madre mi propose di fare un regalino al mio fratellino e io gli scrissi una favola, illustrandola con orribili disegni (non sono affatto dotata in questo settore della creatività!). Ho sempre scritto considerandolo un secondo lavoro, al quale mi sono dedicata sempre più assiduamente a mano a mano che crescevo, ed ora lo faccio a tempo pieno. Gran bel mestiere, ma che purtroppo molto di rado consente la sopravvivenza economica.
È molto frustrante se si considerano il tempo e l’impegno necessari a creare un prodotto professionalmente valido.

Cosa pensi dell’ebook?
All’inizio tutto il bene possibile. Ho iniziato a leggere in formato elettronico nel 2011.
Comodo (soprattutto quando le librerie di casa hanno ormai alzato bandiera bianca!), praticissimo in viaggio e in vacanza (puoi avere con te decine di libri con un ingombro minimo). Ma poi a questa tecnologia si è affiancato il fenomeno dell’autopubblicazione. Così, visto che tutti si considerano scrittori, siamo stati invasi da milioni di manoscritti. Troppi. Molti sono lavori approssimativi, tirati via e sgrammaticati. E questo ha penalizzato in generale il libro elettronico. Molti lettori, dopo essere incappati in brutti libri, hanno preso le distanze da Self ed eBook.
Occorrerebbe una certa selezione, ma chi potrebbe farla? Per Amazon gli scrittori Indie rappresentano uno splendido business e quindi lo alimentano senza porsi questioni di qualità, e gli altri market plance seguono a ruota l’esempio del gigante di Seattle.
Peccato…

Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato e in bocca al lupo per i tuoi futuri lavori!

Pubblicazioni dell’autrice

Personaggi in cerca di autore o Autore in cerca di personaggi?

Principe ranocchioPersonaggi e autore hanno un rapporto complicato che non si limita alla penna e al foglio di carta. I personaggi di un libro sono per il suo autore degli amici, dei compagni di viaggio e spesso i rapporti con loro non sono semplici.

In realtà, lo scrittore intraprende con i suoi personaggi delle vere relazioni, a volte di amicizia, a volte di amore e odio.

Quando alcuni autori sostenevano di litigare a volte con i loro personaggi o di essere costretti a determinate scelte per “soddisfarli”, non volevo crederci.
Continuando a scrivere, devo riconoscere che ho dovuto ricredermi, e non poco…

Negli ultimi racconti “gialli” scritti, ho affrontato situazioni simili: un personaggio a cui pensavo di assegnare un ruolo secondario, per fare risaltare un altro del quale credevo di avere in testa una perfetta caratterizzazione, sorprendentemente si è preso a forza una quantità di spazio che io non avevo immaginato in alcun modo di dargli.
Con rassegnazione, ho dovuto lasciarlo fare.

Il suo carattere si è definito a mano a mano che procedevo con la scrittura e, di storia in storia, la sua particolare personalità ha finito per lasciare in ombra il personaggio a cui avevo destinato un ruolo di primo piano.

La conferma di questa inversione di piani e parti rispetto a quanto avevo preventivato mi è giunta dalla recensione di un lettore che nell’occasione aveva trovato il personaggio che doveva essere, nei miei intenti, “secondario”: “più riuscito e interessante”.

Nell’ultimo racconto che sto ultimando, devo contrastare la veemenza di un altro similare personaggio che, nonostante i miei tentativi di soffocarne le ambizioni, di fatto mantiene in una certa subalternità tutti gli altri. Osservo con una certa preoccupazione che sono sempre più numerosi i personaggi che riescono ad imporsi, presentandosi con arroganza sulla scena, e mi impongono una revisione nella pianificazione degli eventi e intrecci, tanto da cambiare la storia che avevo in testa.

Perciò, mi sono chiesta se in effetti non siano i personaggi a cercarci, mettendo a disposizione le loro vite, piuttosto che noi scrittori a crearli, illudendoci di aver inventato un personaggio e la sua storia.
Non mi stupirei, a questo punto, che un ranocchio diventasse un principe o viceversa…

Scrivere storie semplici: un interessante progetto in lingua tedesca

scrivere storie semplici

Da un po’ di tempo scorro con interesse gli articoli sulla Deutsche Welle e traduco dal tedesco per fare esercizio.

Leggere e tradurre è molto utile per chi, come me, sta imparando una nuova lingua ed io cerco di leggere in tedesco il più possibile, per accelerare l’apprendimento di questa lingua che mi affascina moltissimo.

Il desiderio di studiarla a fondo è nato ai tempi dell’università, allora, ammiravo alcuni dei miei insegnanti che conoscevano piuttosto bene il tedesco (nello studio della musicologia, conoscere il tedesco è importante, considerato il numero elevato di compositori di lingua tedesca, così come per gli stranieri è utile conoscere l’italiano, specie per gli amanti e gli studiosi dell’opera lirica), quindi, ho inseguito questo sogno, lasciandolo lì, ad aspettare tempi migliori che, finalmente, sono arrivati.

Tra gli articoli che ho letto, ne ho trovato uno che riguarda un progetto molto interessante realizzato dalla Literaturhaus Frankfurt (Istituto culturale di Francoforte) che ha proposto a 6 scrittori una sfida: scrivere dei testi semplici e comprensibili, per favorire la lettura a chi ha difficoltà di comprensione della lingua tedesca, pare, infatti, che in Germania siano davvero in tanti ad avere problemi sia di lettura che di scrittura.

I 6 autori che hanno aderito al progetto si sono dati 11 regole da seguire per la stesura dei testi: dovranno fare riferimento a eventi, luoghi, persone o oggetti della storia di Francoforte; possono anche essere inventati; letti ad alta voce non devono durare più di 20 minuti; parole e frasi usate devono essere semplici; se si usano figure retoriche, queste dovranno essere spiegate; i salti temporali vanno evitati; il racconto avverrà da un unico punto di vista; la struttura del testo sarà suddivisa in modo chiaro; si dovranno usare pochi sostantivi e molti verbi.

Affascinato dal progetto ha aderito anche lo scrittore tedesco-islandese, Kristof Magnusson che è stato intervistato e ha spiegato alcune delle sue personali scelte riguardo al suo breve racconto: “Die billige Wohnung” (L’appartamento a buon mercato).

Kristof ha scelto come argomento un fatto di cronaca: l’omicidio di una prostituta di Francoforte, Rosemarie Nitribitt, avvenuto nel 1957.
La particolare scelta è dovuta al fatto che la storia era nota a tutti; inoltre, tematiche come sesso e violenza sono facilmente comprensibili per chiunque.

Magnusson ha fatto una scelta anche riguardo alle parole straniere: farne un uso ridotto e dove sono proprio necessarie far sì che vengano chiarite dallo stesso io-narrante, evitando spiegazioni didascaliche.
La storia è narrata in prima persona da una giovane donna che si esprime con frasi semplici, per la maggior parte costituite da un’unica affermazione.

Nel complesso trovo il progetto molto interessante e sarei curiosa di vederlo attuato anche in Italia.
Sarebbe molto utile, considerata la presenza massiccia di stranieri nel nostro paese e l’alfabetizzazione in preoccupante diminuzione.
Potrebbe essere una valida iniziativa per aiutare chi vuole leggere e incontra difficoltà di comprensione, magari, potrebbe anche invogliare chi, invece, semplicemente, legge poco.

Scrittura: alcuni semplici ingredienti per rendere una storia più realistica

Ingredienti ricetta cucina

Linguaggio comune, spezzoni in semi-dialetto, scene e gesti quotidiani sono alcuni degli ingredienti che aiutano a rendere una storia più realistica e piacevole, oltre a fornire un sistema infallibile per far entrare il lettore nella storia e coinvolgerlo con più efficacia nel corso degli eventi.

Mentre rifletto su questi “espedienti”, penso a Maurizio de Giovanni e ai suoi gialli ambientati a Napoli negli anni ’30. Nelle sue storie l’umanità “la fa da padrone”, a cominciare dai personaggi e dalle loro vite semplici con risvolti a volte comici e a volte dolorosi.

Prendiamo ad esempio, il commissario Ricciardi che osserva dalla finestra (riguardo alle finestre e alla loro particolarità: finestre fonte insolita di ispirazione) la sua dirimpettaia di cui è innamorato, mentre la donna riordina la cucina o ricama: un appuntamento serale, la cui semplice e irrinunciabile regolarità è una garanzia nella vita tormentata dell’uomo.
Oppure il brigadiere Maione che vive in simbiosi con il suo superiore e che non manca di mostrare il suo lato umano attraverso battute colorite o gesti di delicatezza e rispetto rivolti alla sua famiglia e spesso, anche agli estranei.
O ancora, il medico legale, Bruno Modo e le sue scaramucce con il commissario o con il brigadiere condite di ironia e sarcasmo che fanno da contrappunto all’orrore e alla violenza, mitigando il clima in cui i tre uomini lavorano costantemente.

Mentre leggo e seguo con attenzione le storie e i loro interessanti intrecci, mi ritrovo a valutare molte altre cose che possono essere d’aiuto alla scrittura, ad esempio, elaborare una narrazione più aderente alla realtà, per far sentire il lettore sempre più coinvolto mentre scorre le pagine.

Non credo ci sia una ricetta valida per tutto e per tutti, penso invece sia indispensabile raccogliere briciole lungo la strada per raggiungere l’obiettivo, quello di scrivere bene, di essere chiari e interessanti al tempo stesso.
Queste briciole sono un po’ dovunque nelle letture che facciamo e occorre grande attenzione per trovare gli ingredienti giusti per una buona scrittura e per capire come assemblare il tutto nel modo più efficace.

Ognuno deve trovare la propria ricetta, ma studiare “i piatti cucinati dagli altri” quelli eccellenti, ma anche quelli mediocri aiuta: per imparare, per crescere, per sviluppare il proprio talento. Quindi, leggete e soprattutto, meditate su quello che leggete…

Finali: quanto sono importanti in una storia?

macchina da scrivere con foglio

Se è vero quello che diceva la mia insegnante di danza sui finali, allora, noi scrittori, e non solo noi, dobbiamo essere molto accorti.

Lei sosteneva che gli spettatori ricordano maggiormente le ultime cose viste, quindi, errori nel finale avrebbero compromesso tutto il lavoro precedente, insomma, l’intero saggio di danza.

Poche sere fa ho rivisto il finale di un film che mi era piaciuto e mi aveva divertito molto e mi sono resa conto che sì, la mia insegnante di danza aveva ragione.
Il film che ha contribuito a convincermi era “Mr. Crocodile Dundee“.

Il finale della divertente e avventurosa storia d’amore in questione ha la giusta dose di tensione.
Lui sta per andarsene, lei lo insegue: ha saputo che intende lasciare New York e non vuole perderlo.
Dopo l’inseguimento, lei lo raggiunge in un’affollatissima metropolitana, lo vede, ma sono separati da tutte le persone stipate in attesa dei treni.
Due provvidenziali estranei (la gentilezza degli estranei è sempre gradita nei film) consentono ai due di parlarsi, grazie a una specie di telefono senza fili, e lui, ovvio, non se ne va più. Immagino conosciate il resto.

Non intendo fermarmi qui nel resoconto di finali altrettanto memorabili.
Chi non ricorda il finale di “Dirty Dancing“?
Lui che dice: “Nessuno può mettere Baby in un angolo” e poi, dopo aver afferrato la sua ragazza e consumate le poche battute di rito, c’è l’accattivante ballo finale.

E “Il laureato“?
Che cosa mi dite della fuga dall’altare, la lotta con i genitori e i parenti inferociti, la corsa, il balzo sul provvidenziale autobus di passaggio e poi la risata liberatoria e lo sguardo scambiato tra i due fuggitivi e i passeggeri del mezzo pubblico sbalorditi?

Non credo di dover continuare per dimostrare che il finale, che si tratti di quello di una serie di numeri di danza o di un film o appunto di un libro (era qui che volevo arrivare), è fondamentale.
La chiusura è un sigillo magico, è ciò che resta per ultimo nel cuore di chi assiste a uno spettacolo o legge un libro e per questo deve essere della lunghezza giusta: non troppo breve, come se si avesse fretta di liquidare la storia, e neppure troppo lungo da far desiderare di anticipare l’ultima riga o l’ultima immagine.

Il finale deve avere la giusta lunghezza, ogni storia ha la sua.
Deve riassumere ciò che si è visto, spiegare ogni cosa se ce n’è bisogno e se poi, c’è anche il giusto crescendo e il tanto atteso climax è anche meglio.
Non importa se lo spettatore o il lettore si prefigura già come andrà a finire la storia: l’importante è come lo si conduce fino alla parola fine.

Finestre: fonte insolita di ispirazione per la scrittura

finestreIeri sera ho visto in TV “Il giovane favoloso“, film dedicato alla figura di Leopardi.
Il giovane poeta era spesso mostrato mentre studiava o scriveva affacciato alla finestra della sua stanza.

Quella finestra e lo scrutare fuori mi hanno fatto ripensare per analogia ad altre finestre famose: “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock e “La finestra di fronte” di Ferzan Özpetek.

Queste finestre diventano in tutti e tre i casi terreno fertile per l’immaginazione e spunto di ispirazione per costruire storie.
Leopardi ha scritto molte poesie guardando dalla sua finestra di Recanati; il protagonista del film di Hitchcock sospetta che un omicidio sia avvenuto nel palazzo di fronte al suo, mentre uno dei personaggi de “La finestra di fronte” immagina una vita tutta nuova, radicalmente diversa da quella che sta conducendo, semplicemente spiando ciò che avviene fuori dalla sua finestra.

Le persone affacciate alla finestra vera o a quella virtuale della finzione cinematografica hanno altri punti in comune: non solo passano molto tempo davanti a una finestra a osservare la vita degli altri, ma in tutti e tre gli esempi, coesiste la stessa angusta prospettiva.

Leopardi vorrebbe affrancarsi da Recanati e dalla sua ristrettezza, vorrebbe vedere il mondo, tuffarcisi dentro, vivere a pieno la sua appassionata vitalità.
La sua è un’angustia di tipo spirituale e logistica, mentre quella di Jeff, il fotoreporter de “La finestra sul cortile“, è rappresentata dalla sua condizione fisica: una frattura alla gamba sinistra che lo costringe a una forzata immobilità e lo pone davanti alla sua finestra, unico svago di una giornata noiosa: osservare le vite piuttosto variegate dei suoi dirimpettai.
L’angustia di Giovanna, protagonista del film di Özpetek, invece, è di tipo morale. La donna è insoddisfatta del lavoro come contabile in una polleria e anche della sua vita familiare con due figli da crescere e un marito che passa da un lavoro precario all’altro. La sua finestra si apre su quella di Lorenzo, suo dirimpettaio che le fa intravedere una vita migliore, una vita diversa.

Questo ricorrente “tema della finestra” è molto interessante da indagare anche rispetto alla scrittura, perché quando si scrive, il punto di vista o le prospettive da cui ci si pone non sono cosa trascurabile.

La finestra può essere un interessante espediente e una singolare fonte di ispirazione. È una porta sul mondo, anche se inquadra uno spazio ristretto. Questa apertura limitata consente di visionare uno spaccato, anche se angusto, della vita degli altri e può dare vita a storie con insoliti e interessanti risvolti.

Scrivere: un mestiere accurato

quaderno penna tazzina gialla

Scrivere è un mestiere complesso.
Si devono raccogliere più dati possibili dal mondo circostante e tenere in serbo ogni pensiero per un loro eventuale uso futuro.
Dettagli colti dalla natura e dalle persone sono valori inestimabili, terreno fertile da cui ricavare storie, ma c’è anche l’altro lato della medaglia: in questo vasto mare, bisogna saper scegliere.

Perché al di là della capacità di osservare, qualità indispensabile per chi scrive, è anche necessario saper filtrare quanto arriva dal mondo esterno per giungere all’accuratezza estrema, altro requisito indispensabile di una buona scrittura.

Prima di tutto, si screma il materiale quotidiano che ci arriva attraverso i sensi, poi si costruisce una storia, valutando i percorsi, le svolte e l’andamento generale. Poi si revisiona con cura il materiale, più e più volte, tagliando e affinando le frasi e vagliando con puntigliosità i termini con cui esprimersi, per lasciare alla fine, solo quelli esatti, quelli che possano comunicare con precisione il nostro messaggio al lettore, comprese le sfumature che ogni frase, parola e persino ogni segno di punteggiatura portano con sé.

Per un periodo ho studiato canto e ricordo ancora un consiglio che la mia insegnante mi ripeteva sulla posizione dei suoni.
Diceva che più si sale verso l’acuto e più la voce, idealmente, dovrebbe uscire da un punto posto sulla fronte, un punto piccolissimo: una punta di spillo, per intenderci, e più si riesce a indirizzare il suono verso questo “punto immaginario di sfogo”, più il suono sarà giusto, alto, in maschera.

La voce è essenzialmente un’entità invisibile all’interno del corpo e sono necessari punti di riferimento concreti per orientarsi e districarsi, anche se di concreto hanno solo il fatto di servire al cervello come spunto per controllare i suoni e veicolarli attraverso l’apparato vocale (corde vocali e tutto il resto) nel modo migliore possibile.

Perché questo esempio?
Perché oggi, pensando all’accuratezza indispensabile per scrivere in modo corretto, mi sono figurata come traguardo, quello stesso punto minuscolo e invisibile dal quale dovrebbero passare pensieri, sensazioni e dati per diventare una storia. Quello spazio ristretto non è altro che un filtro attraverso il quale andranno scremati anche i termini che utilizziamo per esprimerci, al fine di individuare la parola giusta, quella che definisce con estrema esattezza quello che vogliamo dire.
Riprendendo l’esempio del canto, è concentrare il suono in quel punto immaginario di spilla per ottenere il risultato perfetto o quasi.

Scrivere, a conti fatti, non è che l’estremo tentativo di far passare il cammello per la cruna dell’ago.

 

Scrivere è come aprire una pista nella neve alta: si rischia di perdersi

Paesaggio con neve alta

In questi giorni, leggendo la cronaca quotidiana e ascoltando i bollettini meteorologici che parlano di freddo intenso, neve e gelo, ho ripensato a una frase che ho letto recentemente e che riguarda da vicino la lettura e la scrittura: le due passioni che mi legano a doppio nodo ai libri.

In un susseguirsi, un cerchio magico che crea una continuità fatta di pensieri, di parole assaporate, masticate e digerite e infine inserite in una nuova storia, in mezzo a nuovi concetti e sulla bocca di nuovi personaggi.

Magari un po’ diverse, più vissute, più tristi o più felici.

Mi sono distratta e mi sono fatta prendere la mano, parlavo di neve e al tempo stesso di lettura e di scrittura. Il tutto, come vedrete, riassunto in un’efficace metafora.
Il gesto di scrivere è come aprirsi la strada in mezzo alla neve alta, in una distesa bianca e immacolata.

Una distesa immensa di cui non si vede il confine.

Si rischia di perdersi e non è una strada per tutti: ci vuole molto coraggio, passione e determinazione e tanta pazienza per continuare a procedere, senza vedere bene dove si va. È un po’ la dannazione dei pionieri e dei profeti condita con l’ostinazione dei santi. La preghiera giornaliera di noi scrittori è questo avanzare in mezzo alla neve e ogni tanto è bello invertire le parti.

Tornare a essere lettori, viaggiando comodi, su una pista tracciata da altri, a cavallo o a bordo di un trattore, come dice Šalamov, per riprendere lo slancio e tornare nei giorni appresso al faticoso, ma irrinunciabile cammino, quando si tornerà ad avanzare immersi fino al busto nella neve, con le forze rinnovate e il cuore più leggero, mentre le dita volano rapide sui tasti.

Come viene aperta una strada nella neve vergine? Un uomo avanza per primo, sudando e imprecando, muove con difficoltà una gamba poi l’altra, e sprofonda ad ogni passo nello spesso manto cedevole. […] L’uomo sceglie da sé i punti di riferimento nell’infinità nevosa: una roccia, un albero alto. […] Se si camminasse, passo dopo passo, nella traccia del primo, si otterrebbe un cammino visibile ma stretto e a stento praticabile. […] Ognuno di quelli che seguono la traccia, […] deve posare il piede su di un lembo di neve vergine e non nella traccia di un altro. Quanto ai trattori e ai cavalli, non sono per gli scrittori, ma per i lettori“. (“I racconti di Kolyma” di Varlam Tichonovič Šalamov; citato in L’arte di leggere di Guido Conti).

Riflessioni e sogni, mentre il Natale si avvicina

Natale fiocco di neveQuesto periodo che conduce dritto al Natale e a un nuovo anno è per me un periodo di riflessione. Si tirano alcuni conti e si fanno progetti.

Quest’anno è addirittura speciale: è il mio primo Natale come scrittrice.
Dopo 16 anni dedicati alla grafica, e in seguito al mio licenziamento, ho deciso che l’hobby che porto avanti da anni: la scrittura, debba essere il mio nuovo e soddisfacente lavoro.

La vita ci stupisce con le sue svolte improvvise. Ci si sente spaesati a causa di cambiamenti repentini, ma l’importante è non arrendersi e ri-organizzarsi.

A volte certi cambiamenti ci aiutano a capire chi siamo veramente.

Al momento lavoro al progetto di riuscire a mantenermi con la scrittura, un progetto ambizioso, ma ho deciso di investire su me stessa e sulle mie possibilità.

Scrivere racchiude tutto quello che frammentariamente ho fatto finora: studiare, fare ricerche, leggere e infine mettere nero su bianco le immagini e le intuizioni che lentamente prendono forma e diventano un racconto.

Spero di riuscire nel mio intento e al momento auguro a tutti voi delle magnifiche feste e di poter raggiungere lungo la vostra strada i sogni che vi aspettano…

Lo scopo della scrittura #2

farfallaScrivere è un processo di trasformazione continuo.

Una complessa metamorfosi che richiede tempo e pazienza.
È una spietata operazione di sottrazione, una lotta per individuare le parole giuste, per abbinare toni e sfumature.

Si descrivono colori, sensazioni, emozioni, profumi.

Tutti i sensi sono in gioco e vanno abilmente utilizzati per far sì che il lettore si cali fra le nostre parole e decida di proseguire la lettura.
I primi a entrare nella storia sono gli scrittori che costruiscono le scene nella loro testa e le vivono per gli istanti in cui sono concentrati a descriverle.

Ma quello che conta nel “gioco dello scrivere” è toccare chi si imbatte nelle nostre parole. Lo scopo dello scrittore è emozionare, rendere partecipe il lettore.

Quando il “sentire” di chi scrive e di chi legge trova un punto d’incontro o anche solo un istante condiviso, lo scopo della scrittura è raggiunto.

Entrate nel mio mondo: il mestiere della scrittura #1