Il romanzo storico, genere narrativo che si è diffuso in particolare nel secolo XIX, ha reso la storia un elemento di rilievo della narrazione.
Per romanzo storico si intende un’opera narrativa che si svolge nel passato. Per cui non solo la trama, ma anche gli usi e i costumi, i dialoghi e l’atmosfera generale ricalcano quelli dell’epoca scelta, così da consentire al lettore di calarsi in quel periodo.
È un genere tipicamente romantico e si è diffuso in particolare durante l’Ottocento, grazie a una serie di fattori, come ad esempio: l’affermazione del pensiero e del metodo scientifico che incentivò il rinnovamento degli studi storici; il consolidarsi nell’ambito filosofico dell’idea che le esistenze individuali siano condizionate dalla storia; i crescenti sentimenti nazionalisti che spingevano per un recupero sia delle grandezze passate dei popoli sia di figure esemplari da cui trarre ispirazione.
Un romanzo si può definire storico, quando l’autore del testo non era ancora in vita quando i fatti raccontati sono avvenuti o il libro è stato scritto almeno cinquanta anni dopo quello che è raccontato tra le sue pagine. Si tratta di un genere in grado di abbracciare vari stili: ucronico (“ucronìa” deriva dal greco e significa “nessun tempo“. Il primo a utilizzare questo termine fu il filosofo francese Charles Renouvier (1815 – 1903) in un saggio, “Uchronie”, del 1857; identifica un genere di narrativa fantastica fondata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale); fanta-storico (il fantasy storico è un sottogenere del fantasy che, per alcuni aspetti, può essere avvicinato al romanzo storico); pseudo-storico (pseudostoria, ambito delle teorie o metodologie che pretendono di essere storiche ma che non rispettano regole e convenzioni del metodo storico. Le teorie pseudostoriche solitamente utilizzano come punto di partenza prove inedite, e/o controverse e/o non accettate dalla comunità scientifica/accademica); multitemporale (particolare versione del romanzo storico in cui si raccontano in parallelo o in successione accadimenti ambientati in epoche storiche diverse, ma collegate tra loro da un elemento: un oggetto, un legame di sangue o qualcosa di metafisico).
Chi si dedica alla scrittura del romanzo storico, un genere che si può definire ibrido, può fare riferimento alle vicende di personaggi realmente esistiti oppure può narrare eventi accaduti a personaggi di pura invenzione.
Le ambientazioni storiche non sono una prerogativa ottocentesca, infatti, già prima del XIX secolo, erano state adottate da William Shakespeare (1564 – 1616) in alcuni sui drammi e persino in Italia, nel Seicento, troviamo esempi simili. Il XVIII secolo poi, ci ha regalato diversi grandi romanzi realistico sociali, purtroppo, gli autori di quel periodo avevano una certa difficoltà a rendere pienamente le ambientazioni passate. Oltretutto, nei generi che anticipano il romanticismo (in particolare il gotico e il picaresco) la storia non era un elemento essenziale della narrazione, piuttosto un elemento statico, uno scenario su cui proiettare l’azione e le gesta dei personaggi. Nell’Ottocento, la situazione si ribalta: la storia diventa una vera e propria protagonista della narrazione e gli autori studiano e si documentano affinché i loro scritti risultino attendibili, il più possibile.
Tra i romanzi storici preromantici uno si distingue per aver posto il suo eroe in un quadro storico ben definito, sicuramente frutto di accurati studi su fonti e documenti storici. Si tratta di “Memorie di un cavaliere” (1720) di Daniel Defoe (1660 – 1731). Questo romanzo è una sorta di pietra miliare, in quanto ha dato il via in Inghilterra a un genere letterario nuovo e un secolo dopo, influenzò il lavoro di Walter Scott (1771 – 1832).
Il 7 marzo del 1795 nasceva Alessandro Manzoni, uno dei maggiori romanzieri italiani, noto soprattutto per “I promessi sposi”, opera che gettò le basi del romanzo moderno. I personaggi manzoniani sono così reali che fanno pensare di poterli incontrarli nella quotidianità; uno di loro resta saldo nei miei ricordi: l’Innominato.
Ho letto “I promessi sposi” di Manzoni molti anni fa, fu una lettura scolastica, imposta dal programma. Ricordo a grandi linee la trama del romanzo e la simpatia/antipatia che ho nutrito per alcuni dei personaggi del libro. Uno, però, ha colpito la mia immaginazione, forse per il timore che incuteva e il mistero che lo circondava: l’Innominato.
Alessandro Manzoni, il cui nome completo era, Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873), è stato non solo scrittore, ma anche poeta e drammaturgo. L’autore de “I promessi sposi” fu anche un patrocinatore dell’unità linguistica italiana, anche lui seguiva la tendenza tutta illuminista della letteratura impegnata sia civilmente sia moralmente. Nell’arco della sua vita, lo scrittore fu a contatto con la migliore cultura intellettuale francese (Johann Wolfgang von Goethe 1749-1832) e con grandi intellettuali (Antonio Rosmini 1797-1855), inoltre, era ben informato sulle novità britanniche (Walter Scott 1771-1832).
Per quanto riguarda la formazione culturale, come già si nota nelle poesie che Manzoni scrisse durante l’adolescenza, lo scrittore, all’epoca era particolarmente interessato alla mitologia e alla letteratura latina. Prediligeva, soprattutto, Virgilio e Orazio, ma è forte nella sua scrittura anche l’impronta di Dante e quella di Petrarca. Tra i contemporanei, oltre a Vincenzo Monti (1754-1828), Manzoni subì l’influsso anche di Giuseppe Parini (1729-1799) e Vittorio Alfieri (1749-1803).
Le prime esperienze poetiche di Manzoni sono databili alla metà del 1801, insieme ad esse, lo scrittore ci ha lasciato delle traduzioni di alcune parti della “Eneide” e della “Satira terza” di Orazio. Il periodo più creativo per lo scrittore, però, fu indubbiamente il quindicennio tra il 1812 e il 1827. All’epoca, Manzoni si era già convertito al cattolicesimo e alle idee del romanticismo e in questo periodo scrisse le sue opere principali, passando dalla poesia – sacra e civile – ai saggi filosofico-religiosi, alle tragedie, fino ad arrivare alla realizzazione del primo grande romanzo della storia della letteratura italiana: “I promessi sposi”.
In queste opere si avverte già il desiderio di verosimiglianza e il crescente interesse per i sentimenti umani che saranno pienamente manifestati nel romanzo, alla cui stesura Manzoni iniziò a dedicarsi dall’autunno del 1821. In un primo tempo il titolo dell’opera fu “Fermo e Lucia” e in questa prima stesura è evidente l’influenza esercitata dai romanzi europei, soprattutto quelli inglesi. Inoltre, per dare veridicità ai fatti che avrebbe descritto e per conoscere le ambientazioni e gli usi dell’epoca, Manzoni si dedicò anche a una minuziosa attività di ricerca storica.
Furono necessari molti altri impegnativi anni di lavoro, di rielaborazione strutturale e linguistica, per arrivare al romanzo che tutti conosciamo, il cui titolo fu mutato in “I promessi sposi”, e fu pubblicato nella versione definitiva tra il 1840 e il 1842.
Il romanzo è ambientato in Lombardia, nel periodo tra il 1628 e il 1630, durante il dominio spagnolo. “I promessi sposi” sono il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Manzoni si avvalse della sua approfondita ricerca storica per diversi episodi: le vicende della monaca di Monza (Marianna de Leyva y Marino); le vicissitudini legate alla Grande Peste (1629-1631). Sono tutti basati su documenti d’archivio e cronache dell’epoca.
Oltre a rappresentare un passaggio essenziale per la nascita della lingua italiana, il romanzo di Manzoni è anche il testo più significativo del romanticismo italiano, soprattutto per la profondità dei temi e perché, per la prima volta, un romanzo di successo ha come protagonisti, gli umili, invece dei potenti della storia.
Leggendo “I promessi sposi”, ricordo che rimasi colpita da un personaggio, in particolare, che, pur non appartenendo alla schiera degli umili, si staglia all’interno della complessa vicenda, ed è l’Innominato. Credo che ne fui affascinata per il timore reverenziale da cui era circondato, grande nel male quanto poi nel bene, e dall’alone di mistero dal quale era avvolto, tanto da rendere impossibile farlo passare inosservato.
L’Innominato è un personaggio singolare anche perché, mentre gli altri personaggi maturano nel corso dei due anni in cui si svolgono gli eventi, subisce nell’arco di una sola notte – anche se il cambiamento era già in atto da più tempo – una mutazione profonda. Manzoni di lui dice: “Di costui non possiamo dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo memoria in più d’un libro (libri stampati, dico) di quel tempo” (“I promessi sposi”, capitolo XIX, pp. 371-372)
L’innominato, che in “Fermo e Lucia” era denominato come, il Conte del Sagrato, è tra i personaggi più complessi e inquietanti di tutto il romanzo. Fu identificato storicamente con Bernardino Visconti (1579-1647), un nobile che guerreggiava con gli spagnoli, potentissimo e sanguinario. Quando Manzoni ce lo presenta, l’Innominato è vicino alla vecchiaia, è pieno di dubbi per la vita che ha condotto: tra omicidi e soprusi nei confronti dei più deboli. Nella storia è chiamato ad agire da don Rodrigo che gli chiede di rapire Lucia dal monastero di Monza, dove si è rifugiata, sotto la protezione di Gertrude. L’Innominato incarica il Nibbio, capo dei bravi al suo servizio, del delicato compito, questi, con l’aiuto di Egidio e la complicità di Gertrude, riesce a rapire Lucia e a condurla al castello del suo padrone.
Per delineare la figura di questo statuario cattivo, Manzoni si serve anche del paesaggio e nel delineare la valle, dove si trova il castello dell’Innominato, ci dice che: il territorio è aspro, arido, minaccioso e incutente paura, con il chiaro intento di riflettere la personalità e lo stile di vita del personaggio.
Al cospetto dell’Innominato, Lucia è terrorizzata; lo prega di lasciarla libera, esortandolo al contempo a redimersi: “Dio perdona molte cose per un atto di misericordia”. L’uomo resta turbato dalla semplicità della ragazza, dalla sua vulnerabilità e dalle sue parole. Queste emozioni, unite alle sue crisi di coscienza già in atto, lo spingeranno verso la conversione.
Famosa è la notte al castello dell’Innominato, subito dopo il rapimento di Lucia. Una notte terribile per entrambi i personaggi: Lucia sconvolta dalla paura pronuncia un voto, mentre l’Innominato è tormentato dai sensi di colpa che lo condurranno a un passo dal suicidio. L’alba e il suono delle campane, che annunciano l’imminente visita del cardinale Federico Borromeo, distolgono l’Innominato dai suoi propositi di morte e lo spingono a incontrarsi con il prelato e infine, alla conversione. Dopo questo cruciale cambiamento, l’Innominato, innanzitutto, libererà Lucia e poi comincerà a condurre una vita all’opposto della precedente: si dedicherà a opere di misericordia e, più avanti nel romanzo, ne abbiamo una chiara testimonianza, quando si offrirà di ospitare gli abitanti della zona nella sua fortezza, in occasione della temuta discesa dei lanzichenecchi.
Non solo l’Innominato, ma anche altri personaggi manzoniani analizzano costantemente le proprie dinamiche interiori, rispecchiando quel “guazzabuglio del cuore umano“, particolarmente caro all’autore. Questo emerge in particolare nella figura dell’Innominato, ma anche in quella di Renzo. Tali analisi conducono a dei cambiamenti, dovuti anche all’accumulo delle nuove esperienze e al passare del tempo, e sono evidenti, anche se in modo più sottile, anche in altri personaggi, come fra Cristoforo e Lucia. La giovane, in particolare, sembra restare la stessa dall’inizio alla fine della storia, ma in realtà anche lei subisce una maturazione costante e progressiva che il Manzoni non mancherà di registrare.
In copertina: particolare de “l’Innominato” di Andrea Gastaldi (olio su tela, 1860)
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