Riflessioni sul tempo: l’andatura pervicace della lumaca

Riflessioni sul tempo andatura pervicace della lumaca

Durante una delle mie passeggiate, ho osservato sul ciglio della strada una lumaca che procedeva pervicacemente nella sua direzione e mentre la guardavo muoversi alla sua caratteristica comoda andatura, ho pensato al tempo, alla velocità e a quanto siano relativi questi concetti.

La lumaca da sempre incarna la lentezza, ma questa considerazione si basa sul nostro modo di vedere il mondo.
Noi esseri umani, più passano gli anni, più aumentiamo la velocità delle nostre azioni e da questo nostro rapido punto di vista giudichiamo quello che ci circonda.

Partendo da questo presupposto, possiamo dedurre che, in realtà, la lumaca non è lenta, ma semplicemente mantiene la sua andatura, quella che la natura le ha conferito e che lei rispetta nei suoi gesti quotidiani, conducendo la sua vita alla stessa meditata e moderata velocità.

Solo noi umani viviamo spesso al di fuori di un ritmo naturale: affastelliamo mille cose nelle nostre giornate; impiliamo impegni su impegni in precario equilibrio; vogliamo arrivare dappertutto e nel minor tempo possibile.

Per cui, quando mangiamo ci ingozziamo e non assaporiamo più il cibo, respiriamo in modo affannoso, corriamo con l’auto per spostarci senza fare sforzi e il più rapidamente possibile, non riusciamo a vedere neppure le cose macroscopiche che ci circondano, non siamo capaci di goderci un istante di tranquillità.

Abbiamo perso completamente l’idea stessa di un ritmo naturale nel quale avvolgere la nostra vita.

Io credo che se riuscissimo almeno in parte a recuperare questo diverso senso del tempo e lo adattassimo al nostro carattere, alla nostra personalità, la nostra salute ci guadagnerebbe.

E non sempre la risposta che non possiamo perché dobbiamo fare tante cose in poco tempo è la risposta giusta…

A volte frenare ci fa acquistare tempo, ci consente di fare le cose molto meglio, e potremmo anche accorgerci che è possibile rallentare, che spesso siamo proprio noi che ci imponiamo questi ritmi infernali e insostenibili, e finiamo per ammalarci, perdendoci al contempo tante cose meravigliose che ci circondano.

In certe occasioni, concediamoci questo lusso: imitiamo la saggia lumaca… rallentiamo.

Punteggiatura, ritmo e musica: guide infallibili per un buon testo

note musica parole

Sto leggendo l’ennesimo libro sulla punteggiatura, mai stanca di approdare a nuovi lidi ritmici che riguardino frasi e e parole; e più leggo e più mi rendo conto che scrivere ha davvero molto a che fare con la musica.

Incantata, affascinata dai leggiadri segni di interpunzione, ogni giorno metto a punto la musica contenuta nella mia scrittura, seguendo il mio orecchio.

La musica è un punto di riferimento forte. Leggo e rileggo quando scrivo le frasi e le ascolto, mentre leggo ad alta voce con grande attenzione, le provo, sondo la loro musicalità, finché non suonano perfette, fin quando il loro accordo è simile a una melodia orecchiabile e godibile.

A volte, amo le asperità, le punte aguzze di certi termini che si assiepano sulla carta e spiccano, creando strane atmosfere, per poi sciogliersi in parole più morbide e sinuose.

Cerco la polifonia nella pagina, la inseguo come un miraggio, tra verbi, soggetti e complementi.

Punti e virgola decisi, due punti sussiegosi e virgole sconnesse sono le mie pause musicali, gli abbellimenti tra le parole.

Ogni frase è una sfida, un duello tra cervello, cuore e immaginazione. L’arco melodico di una battuta ha bisogno di parole connesse tra loro, di suoni che s’accordano o vanno in contrasto, ma che comunque siano accolti dall’orecchio, da lui approvati, adorati o assolutamente inaspettati.

Mestiere di scrivere: il ritmo, una questione importante

metronomo ritmo

Nella maratona inesausta delle mie letture, oltre a scegliere il genere, mi lascio guidare dal ritmo dell’autore che mi aiuta anche nel mestiere di scrivere.

Ogni storia ha il suo ritmo.
Credo sia utile per ognuno di noi scegliere quello che ci è più congeniale.
Di solito, quando le mie letture hanno il ritmo giusto riesco a scrivere diverse pagine nello stesso giorno; le parole escono senza fatica, rallentate solo dalla capacità delle mie mani di stare dietro ai miei pensieri.

Questo accade perché la musica ha sempre avuto una parte da protagonista nella mia vita. Anche quando apparentemente credevo di averla accantonata, la musica è sempre tornata alla ribalta nella mia vita, nei più svariati modi.
Sono convinta che la musica influenzi profondamente il mio modo di scrivere: anche quando non viene citata esplicitamente, è comunque presente, in altre forme, ad esempio, nel ritmo delle parole o nella scelta dei termini.

Leggo e rileggo spesso quello che ho già scritto, prima di procedere con la scrittura, e scelgo le parole anche per il loro suono, oltre che per il loro senso all’interno di una frase e rileggo sempre ad alta voce, per valutare se all’orecchio suona tutto nel modo giusto.

I miei libri sono diventati il mio strumento personale e io premo tasti, pizzico corde o intono note, ogni volta che scrivo.

Lo scrittore: un lanciatore solitario. “Per gli scrittori non ci sono panchine”

palla da baseball

Mi sono immersa nella lettura de “Il mestiere dello scrittore” con la stessa fiducia e curiosità con cui avevo affrontato “On Writing” di Stephen King.
Leggere i consigli degli scrittori sulla scrittura è un’esperienza interessante da cui si riemerge più consapevoli e muniti di qualche strumento in più per destreggiarsi nel difficile mestiere di scrivere.

Ingenuità, semplificazione e spontaneità sono, secondo Murakami, essenziali per chi decide di affrontare lo scoglio della scrittura, per chi ha deciso di iniziare a comunicare, scrivendo.

Ho trovato interessante l’osservazione disincantata di Haruki Murakami della sua stessa scrittura e della sua evoluzione nel tempo.
Il suo primo romanzo è stato partorito con assoluta ingenuità (nei confronti del panorama letterario del momento, di cui non sapeva nulla e nella totale ignoranza delle regole da seguire per scrivere un romanzo) ed estrema semplificazione (parole semplici ottenute con un lavoro di sottrazione).

Scrivere il suo primo romanzo per Murakami è stato come, metaforicamente parlando, costruire uno scheletro che nel tempo si è dotato di una muscolatura.
In pratica, per lui, l’esercizio di scrivere è stato un vero e proprio processo di stratificazione e ispessimento; i suoi lavori successivi si sono irrobustiti e sono diventati più complessi, seguendo una sorta di evoluzione fisiologica.

La scrittura, secondo l’autore, nasce da pochi elementi, parole semplici e discorsi semplificati, dove la sottrazione è un’operazione fondamentale.
In seguito, questa struttura andrà ispessita e acquisterà forza ed energia, in modo naturale e, crescendo, con costanza e determinazione, acquisterà concretezza e un certo livello di maturità.

Tutto però deve partire da un impulso puramente interiore.
La gioia spontanea e il senso di libertà che ne consegue, insiti nel gesto di scrivere, devono permeare il lavoro dello scrittore.
Murakami, parlando di questo impulso, fa un esempio che mi ha ricordato due parabole evangeliche: quella del seminatore (Matteo 13,1-23, Marco 4,1-20 e Luca 8,4-15) e quella della casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia (Matteo 7,21-29), quando dice che chi scrive senza avere dentro di sé questo impulso non combinerà granché, come le piante che non hanno radici saldamente affondate nella terra.

Lo scrittore è un accumulatore di informazioni.
Leggere, senza dubbio, è il primo dovere di un buon scrittore.
La lettura continua e infaticabile è un compito imprescindibile del processo di scrivere.
Inoltre, un esercizio molto importante, per Murakami e non solo per lui, è osservare con attenzione: cose, eventi, persone e riflettere su quanto si è osservato, senza, però, formulare giudizi.

Questa operazione di raccolta del materiale deve essere seguita da un’efficace organizzazione di quanto si è accumulato.
La memoria ovviamente non riesce a ricordare ogni cosa al millesimo, quindi, bisogna operare una selezione, centellinare quanto si è raccolto dal mondo circostante, isolare e poi, conservare dettagli concreti e peculiari, quelli cioè che hanno maggiormente attirato la nostra attenzione, “tanto meglio se inspiegabili, è ovvio. Poco ragionevoli, privi di filo logico, poco convincenti o misteriosi“.
Murakami sostiene che “gettando dentro la mente le cose alla rinfusa, quello che deve sparire sparisce, quello che deve restare resta. A me piace questa selezione naturale della memoria“.
Rimanendo in argomento, Burrhus F. Skinner (psicologo statunitense) definisce cultura “ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto“, quindi, bisogna fidarsi del potere selettivo della nostra mente di conservare solo ciò che è davvero importante, quello che è indispensabile o utile e magari, abbandonare il fedele taccuino su cui normalmente si annota ogni cosa, per lasciare sedimentare i ricordi e filtrare solo ciò resta.

Dal ripostiglio dove sono rinchiusi alla rinfusa i materiali più disparati, bisogna trarre gli elementi che opportunamente composti diano vita a una sorta di magia
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Murakami sostiene di scrivere come se stesse componendo musica, la magia, che dà senso a una storia e la rende meritevole di essere letta, secondo lui, si crea tenendo conto di alcuni preziosi alleati: il ritmo, elemento fondamentale per costruire e tenere in piedi una storia, un ritmo saldo dall’inizio alla fine; l’armonia creata da una serie di accordi molto diversi fra loro; l’improvvisazione, quella dei musicisti jazz che attraverso la libera espressione mettono in gioco tutte le loro capacità tecniche e il gusto musicale.
Secondo Murakami se ritmo e armonia sono ben gestiti si può improvvisare in maniera spontanea. Improvvisare per creare liberamente il proprio suono.

Secondo Murakami si scrive perché si ha il desiderio di farlo, mossi da un interesse genuino, da una forza che permette di superare ogni difficoltà.
In ogni caso, quando l’autore inizia a scrivere un romanzo, è solo. Nessuno lo può aiutare a organizzare il materiale nella sua testa o a trovare le parole giuste per esprimere quello che intende dire. Quello che si è iniziato da soli, si deve portare avanti e completare da soli.
Non si può fare come i giocatori di baseball, che di questi tempi, dopo aver lanciato sette volte, lasciano il posto a un altro e vanno ad asciugarsi il sudore in panchina. Per gli scrittori non ci sono panchine. Una volta iniziata la lunga sfida, devono continuare a lanciare la palla, forse anche quindici, diciotto volte, fino al termine della partita“.

Narrare storie è anche questione di ritmo: prezioso alleato o nemico giurato

metronomo e spartito musicale

Narrare storie è indubbiamente una questione di ritmo.

Di sicuro avrete incontrato, e anche più di una volta, l’amico, il conoscente o il parente simpatico che vuole raccontarvi una barzelletta…

La barzelletta, c’è poco da prenderla sotto gamba, è una storia a tutti gli effetti.
Vi sarà capitato di farvi matte risate oppure di dover ridere a denti stretti, per non offendere il narratore di turno.
Perché non tutti riescono a far ridere?

A parte gli errori classici di chi inciampa, chi anticipa il finale o dimentica elementi essenziali della narrazione, esiste un problema di fondo.
La barzelletta, come qualsiasi storia, per funzionare ha bisogno di alcuni elementi: a volte di un antefatto; certamente, di una serie di eventi che si verificano; infine di una conclusione a effetto.

Però, quello che conta di più è il ritmo.
Credo che la barzelletta sia l’esempio più calzante per parlare di questo elemento fondamentale per la riuscita di una storia.
Ne sanno qualcosa i musicisti che vedono spartiti e partiture costellati di diciture sul ritmo: Allegro, Adagio, Grave, Largo, Presto con fuoco...

I compositori, grazie a questi termini specifici, indicano l’andamento di un brano, il suo umore.
Certo, alcuni Allegri sono più allegri di altri (a volte ci sono indicazioni di tempo con il metronomo). Più o meno precise, queste indicazioni descrivono il ritmo del brano che si va ad eseguire con la voce, con uno strumento o più strumenti insieme.

Pensando al ritmo, mi viene in mente una novella del Decameron di Boccaccio, dove una “madonna Oretta” si trova nelle condizioni di far tacere un cavaliere che sta rovinando una bella storia con il suo pessimo narrare.
La donna, sfruttando la metafora del viaggio, fa tacere con poche parole il molesto narratore: “Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè“.

Quindi, se vogliamo evitare che chi ci ascolta o ci legge sia trasportato in malo modo dalle nostre parole, dobbiamo considerare con attenzione il ritmo di una storia, rispettare le sue svolte, le sue variazioni in base agli eventi o persino agli umori mutevoli dei personaggi.

Il ritmo, torno a dire, è un elemento indispensabile per scrivere una storia che funzioni.
Pensate ad esempio, alla sensazione di tensione che si prova leggendo certe pagine di un thriller, dove gli eventi si incalzano l’un l’altro o all’opposto, la sensazione distensiva che proviamo leggendo la descrizione di un paesaggio.

Non bisogna mai sottovalutare il ritmo: prezioso alleato se usato in modo corretto, nemico giurato se non si dà ad esso la giusta importanza quando si costruisce una storia.