“Tornando a piedi in ufficio Adamsberg rifletteva in maniera vaga. Lui non rifletteva mai a fondo. Non aveva mai capito cosa accadesse quando le persone si prendevano la testa tra le mani e dicevano: “Su, riflettiamo”. Quel che si ordiva nel loro cervello, come facessero per organizzare idee precise, indurre, dedurre e concludere, era per lui un assoluto mistero. […] Adamsberg non si accorgeva mai di riflettere e, se gli capitava di rendersene conto, subito la cosa si bloccava. Perciò tutte le sue idee, tutti i suoi propositi e tutte le sue decisioni, non sapeva mai da dove venissero“. (“L’uomo dei cerchi azzurri” Fred Vargas)
L’intuizione credo funzioni un po’ allo stesso modo sia quando si cerca di risolvere intricati casi polizieschi (almeno quelli dei libri: gli unici che conosco da vicino) sia quando si affrontano questioni di routine professionale o di vita quotidiana.
Da qualche parte ho letto che l’intuizione proviene da un lungo lavorio mentale di cui non siamo consci, è il risultato di un lungo processo a ritroso, un accumulo di singoli frammenti di esperienza che si fondono in un istante di profonda consapevolezza, come un lampo che illumina un luogo che conosciamo bene.
Per cui tutte le intuizioni che folgorano i vari detective, perché tutti, a prescindere dalla raccolta di indizi e prove, alla fine, mettono in gioco il loro intuito, prima di giungere alla soluzione di un caso.
Ma riflettere a lungo e intensamente, non sempre è il sistema migliore per trovare la soluzione a un problema, qualunque sia la sua natura.
“Invece Adamsberg era esposto a tutti i venti come un capanno di legno, il cervello all’aria aperta, insomma, pensò Danglard. È vero, era come se tutto quello che gli entrava dalle orecchie, dagli occhi o dal naso, che fosse fumo, colore, fruscio di carte, facesse una corrente d’aria sui suoi pensieri impedendo loro di prendere corpo. Questo qui, si disse Danglard, è attento a tutto, quindi non presta attenzione a niente“.
Forse è proprio questo il segreto: non concentrare troppo o troppo a lungo i propri pensieri e neppure rinchiuderli in modo claustrofobico in riflessioni contingenti.
Lasciare liberi i pensieri, consentire loro di mescolarsi ai ricordi. Esporre ai venti le nostre emozioni e magari, così saremo travolti, da idee impensabili e irraggiungibili attraverso un normale percorso di riflessione.
La parola giusta per esprimere questo processo potrebbe essere: contaminazione.
Attraverso la contaminazione si possono vedere e creare nuovi mondi, nuove strutture, si possono cogliere le sottili implicazioni che sfuggono alla logica di un pensiero completamente razionale, perché spesso le idee più originali provengono da luoghi misteriosi della nostra mente resi fertili dall’atmosfera che riusciamo a creare attorno a loro.
Indagando un po’ si potrebbe valutare con il raziocinio come certe intuizioni si siano create e poi sviluppate in pensieri più complessi e molti studi sono stati fatti in questo senso, investigando sulle possibilità della mente, a volte, però, vale la pena di lasciare qualcosa al mistero, al puro sortilegio.