Émile Zola fu un grande scrittore che impiegò il metodo scientifico nei suoi romanzi, per analizzare e mettere a nudo la società francese del suo tempo.
29 settembre 1902, muore Émile Édouard Charles Antoine Zola (Parigi, 2 aprile 1840 – Parigi, 29 settembre 1902); figura poliedrica fu: scrittore, giornalista, saggista, critico letterario, ma anche filosofo e fotografo.
È stato uno degli esponenti di maggior spicco del naturalismo. Le sue opere ebbero un enorme successo e sono state tradotte, pubblicate e commentate in tutto il mondo.
La sua attività di scrittore ha lasciato un segno profondo nel mondo letterario francese e molti sono gli studi storici fatti sui suoi romanzi e sulla sua vita.
Tra le sue opere più note citiamo un ciclo di venti romanzi, pubblicati tra il 1871 e il 1893, i “Rougon-Macquart”, dove è descritta la vita di una ricca famiglia, attraverso il suo albero genealogico, e al contempo, è mostrata la storia di un’epoca: dal colpo di Stato di Napoleone III, nel dicembre 1851, fino alla sconfitta di Sedan che condusse la Francia sull’orlo della rovina.
Zola fu un assiduo sostenitore della ricerca della verità che trasfuse nelle sue opere letterarie, applicando il metodo scientifico all’osservazione della realtà sociale. Diede vita a un mondo immaginario di grande potenza ed efficacia che suscitava domande angosciate sulla società. Annotava osservazioni e documentazioni su qualsiasi argomento; illustrò la società del Secondo Impero, mostrandone: la durezza (specie verso i lavoratori); le aberrazioni; i successi.
Lo scrittore non prese posizione solo attraverso i suoi romanzi, ma fece sentire la sua voce di fronte a delle ingiustizie, anche pubblicamente. Negli ultimi anni della sua vita, fu coinvolto nell’affare Dreyfus.
Nel gennaio del 1898, pubblicò sul quotidiano L’Aurore il famoso “J’Accuse… !”, una lettera, diretta al Presidente della Repubblica.
“L’affare Dreyfus” andò così: nel 1894, Alfred Dreyfus, ufficiale di artiglieria dell’esercito francese, fu accusato di essere una spia dei tedeschi e per questo, fu degradato e poi processato e condannato all’ergastolo.
Alcuni intellettuali fecero notare diverse anomalie riguardo alle accuse rivolte all’ufficiale ebreo, ma la voce che si fece sentire più forte di tutte, fu proprio quella di Zola. Nel suo “J’Accuse”, lo scrittore parlava di complotto, di documenti d’accusa falsificati e fece persino i nomi degli ufficiali dell’esercito che avevano architettato la congiura ai danni di Dreyfus. Una congiura che aveva tutto il sapore dell’antisemitismo, in un clima politico avvelenato dalla recente perdita, per opera dell’Impero tedesco di Bismarck, dell’Alsazia e di parte della Lorena.
Per le sue accuse, Zola fu multato e condannato a un anno di carcere, che evitò con l’esilio.
Le sue parole però, avevano scosso le coscienze. Oltre a svelare la verità, ebbero un effetto dirompente: l’edizione de L’Aurore che conteneva la sua lettera, vendette oltre 300.000 copie (di media ne vendeva 20.000 al giorno).
A furore di popolo si ottenne la revisione del processo, ma era ancora lunga la strada per il re-integro e la liberazione di Dreyfus.
Bisogna attendere il 12 luglio del 1906: dopo 11 anni dall’inizio del processo, finalmente, la Corte di Cassazione accolse la richiesta di revisione del processo a carico di Dreyfus. Era ormai chiaro che tutto “l’affaire” era stato un errore giudiziario, una terribile macchinazione messa in piedi solo per individuare un capro espiatorio.
Quando finalmente Dreyfus fu liberato, Zola era già morto, da ben quattro anni (29 settembre 1902).
La sua morte è rimasta un mistero e tuttora, ci si chiede se sia stato un incidente o un omicidio orchestrato dalla Destra reazionaria, proprio per la posizione da lui assunta nell’ “affare Dreyfus”.
Lo scrittore aveva un nutrito numero di nemici: durante la sua esistenza espresse sempre la sua opinione e non accettò compromessi.
La morte di Zola fu archiviata dagli investigatori come morte accidentale, da avvelenamento da monossido di carbonio, dovuta alle esalazioni di una stufa.
Nel 1953, Pierre Hacquin, un farmacista, disse al giornalista Jan Bedel che era stato il fumista, Henri Buronfosse – che lo aveva confessato ad Hacquin – a ostruire intenzionalmente il camino di casa dello scrittore.
Dopo tali rivelazioni, si profilò l’ipotesi di assassinio politico: il farmacista e il fumista facevano parte di un gruppo di nazionalisti antisemiti e reazionari. Buronfosse era però già morto, nel 1928, e non si trovarono sufficienti prove per riaprire il caso.
Zola aveva costruito tutta la sua vita e anche la sua arte sull’onestà intellettuale e non tacque mai di fronte a ciò che riteneva scorretto o ingiusto sia che si trattasse dell’ipocrisia e dell’immoralità della borghesia francese sia che riguardasse questioni artistiche. Si schierò, ad esempio, dalla parte degli Impressionisti e di Manet, mentre schernì i pittori dell’Accademia, con il loro dipinti ammantati di retorica e privi di qualsiasi attinenza con la realtà del tempo.
Non ebbe molti amici, non solo perché non accettava compromessi, ma anche per il suo carattere aspro. Nonostante ciò, alcuni grandi lo apprezzarono e gli furono vicini per tutta la vita: Anatole France (1844-1924), ad esempio, che al suo funerale fece un’orazione commovente ed Édouard Manet (1832-1883), altro amico fedele, che riuscì, in un dipinto, a ritrarre con grande accuratezza il temperamento ombroso di Zola.
P.S. “L’affaire Dreyfus” e il J’Accuse di Zola determinarono la nascita dell’impegno intellettuale.
L’editoriale di Zola fece della parola intellettuale un simbolo dell’impegno civile, un titolo di gloria. Prima dell’affare Dreyfus, invece, “intellettuale” aveva una connotazione negativa: si parlava di “giudizio intellettuale”, come di qualcosa di trascurabile o incomprensibile.
In copertina: particolare del Ritratto di Émile Zola di Édouard Manet (1868)