Il Caffè: periodico italiano, manifesto per il pensiero illuminista

“Cose e non parole” è uno dei motti del “Caffè”, periodico italiano pubblicato dal 1° giugno 1764 al 26 maggio 1766.

Il Caffè, periodico nato con l’obiettivo di attraversare e spiegare la realtà, e non solo di riprodurla in modo passivo, nasce a Milano, grazie ai fratelli Pietro (1728 – 1797, filosofo, economista, storico e scrittore italiano) e Alessandro Verri (1741 – 1816, scrittore e letterato), e a Cesare Beccaria (1738 – 1794, giurista, filosofo, economista e letterato, tra i massimi esponenti dell’illuminismo italiano), nonché al gruppo di intellettuali che faceva parte dell’Accademia dei Pugni, composto, oltre che dai fratelli Verri da: Luigi Stefano Lambertenghi (1739 – 1813); Giambattista Biffi (1736 – 1807, scrittore italiano); Pietro Secchi; Alfonso Longo (1738 – 1804, abate e intellettuale illuminista lombardo); Cesare Beccaria.
I fondatori del Caffè provengono dall’aristocrazia ma sono di fatto i portavoce delle richieste culturali, politiche e sociali delle classi emergenti che desideravano svecchiare le istituzioni e semplificare l’apparato statale.

L’Accademia dei Pugni, detta anche Società dei Pugni, era un’istituzione culturale. Fondata nel 1761 a Milano, divenne un luogo di riferimento per la discussione pubblica ed è proprio nel suo seno che si posero le basi per la creazione de “Il Caffè”.
Questo giornale dal nome curioso assunse ben presto le sembianze di un foglio periodico all’avanguardia, che occuperà un posto in prima fila nella fase riformistica italiana. Inoltre, considerati i suoi obiettivi e la sua vocazione generale, sarà tra i principali strumenti di diffusione del pensiero illuminista in Italia.

Stile brillante e poco accademico, il Caffè rivoluzionò il concetto di cultura e anche quello di divulgazione dell’informazione. Esso proponeva un’informazione alla portata di tutti, sulla linea del principio illuminista, con l’obiettivo di migliorare la società e usare la conoscenza in modo intelligente.
Ovviamente, in linea con la sua idea di apertura verso un pubblico più vasto, il linguaggio del nuovo periodico è nettamente all’opposto del classicismo e del purismo linguistico. Il tono degli articoli è quindi colloquiale e schietto, e manifesta l’intento degli scriventi di creare un rapporto nuovo con i lettori: cordiale, aperto e disponibile.

Il clima giusto per il fiorire delle idee illuministe e la nascita di movimenti e anche di giornali come il Caffè inizia a crearsi dopo la pace di Aquisgrana, nel 1748, quando le tensioni tra Impero Asburgico, Inghilterra, Prussia, Spagna e Francia si allentano e tra le nazioni c’è distensione e dialogo. Intanto, in Italia le idee illuministe iniziano a prendere campo, soprattutto a Milano e a Napoli, grazie alla presenza di sovrani riformatori.

Il Caffè, di cui furono pubblicati nel complesso 74 numeri (rilegati poi in due volumi corrispondenti alle due annate), usciva ogni dieci giorni e la stampa veniva fatta a Brescia (all’epoca territorio veneziano), per evitare la censura della Lombardia austriaca.
In quanto ad argomenti, il periodico rispettava quanto dichiarato da Pietro Verri nell’articolo di apertura: “cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità”.

In quanto ai firmatari del Caffè, compaiono diversi nomi, oltre a quelli dei fratelli Verri: Cesare Beccaria; Carlo Sebastiano Franci (1715 – 1772); Pietro Francesco Secco Comneno (1734 – 1816, uomo di vasta cultura letteraria ed economica); Giuseppe Visconti di Saliceto; Paolo Frisi (1728 – 1784, matematico, astronomo, presbitero e pubblicista italiano, figura di spicco della matematica e delle scienze nell’Italia della sua epoca, noto soprattutto per i suoi lavori di idraulica); Luigi Stefano Lambertenghi; Alfonso Longo; François de Baillou (1700 – 1774, ottico francese); Ruggero Boscovich (1711 – 1787, gesuita, astronomo, matematico, fisico, filosofo, diplomatico e poeta dalmata della Repubblica di Ragusa); Gian Rinaldo Carli (1720 – 1795, di origine istriana, scrittore, economista, filosofo, storico e numismatico); Giuseppe Colpani (1739 – 1822, poeta o ragionatore in versi della compagnia del Caffè).

Il Caffè sia per il titolo sia per l’impostazione risulta del tutto nuovo nella tradizione italiana, e l’idea di base era quella di presentarlo come il compendio delle discussioni che avevano luogo in un caffè.
Esso seguiva il filone di molti altri giornali nati nello stesso periodo in Inghilterra e in Francia, e serviva da manifesto per il pensiero illuminista. Infatti, nel Settecento, l’Europa era diventata la culla dell’illuminismo: filosofia dominante che voleva eliminare le tenebre dell’ignoranza e aprire la mente, quindi, illuminarla. In particolare, il periodico milanese prese spunto dai giornali inglesi: The Spectator (“Lo spettatore”) e The Tatler (“Il chiacchierone”) di Addison e di Steele.

Considerato che, il Caffè si distingueva per temi e stile dal panorama tradizionale dell’epoca e oltretutto, riuscì a riunire le firme più prestigiose del momento, non stupisce che, in breve tempo diventasse una sorta di modello che ispirò i maggiori intellettuali dell’Illuminismo milanese.

Anche il nome del periodico, pensato in chiave metaforica, anticipa i temi e le modalità di intrattenimento. La denominazione allude a un fenomeno particolarmente diffuso ai tempi dell’Illuminismo: quella di frequentare locali dove si serviva caffè. In tali luoghi privilegiati, si poteva, in libertà, intraprendere discussioni, dibattiti sociali, culturali, economici e politici, e tutti, senza eccezioni, potevano intervenire nei discorsi ed esporre la propria opinione.

Di pari passo con l’apertura a tutti delle botteghe di caffè, anche la redazione del periodico di Verri era interessata a cogliere e consultare nuovi interlocutori che non fossero solo eruditi e letterari, ma anche gente comune: artigiani, donne, piccoli professionisti. Ai quali ci si rivolgeva senza filtri. In tal modo, e questa è la vera rivoluzione messa in atto dai fratelli Verri e dai loro collaboratori, il sapere non è più qualcosa di immobile, bensì un flusso di nozioni in continuo divenire. I temi sui quali poteva intervenire la gente comune erano di vario genere: economia, agricoltura, medicina e politica. Si dava così vita a un vivace dibattito, gestito su più fronti. Grazie a tale impostazione, il sapere e la conoscenza furono trasformati da beni di lusso a beni comunitari, condivisibili.

Inizialmente, le botteghe di caffè si diffusero soprattutto in Inghilterra. Tutti avevano accesso a tali locali, a patto che, fossero disposti a pagare il prezzo della consumazione e si poteva restare per leggere i giornali esteri oppure per godersi un’amabile conversazione.

La pianta del caffè, recentemente importata dal Medio Oriente, sembrava possedere grandi virtù salutari e secondo i lumi, bevendo caffè si potevano “risvegliare” le virtù dell’uomo.
La diffusione della salutare bevanda e la nascita dei locali, dove si poteva consumare il caffè, segnano, a detta di Pietro Verri, anche la fine delle taverne, considerate ormai luoghi rozzi e arretrati: “il tramonto della civiltà del vino, fatta di deliri, ebbrezze, invasamenti e l’inizio della civiltà del caffè, fatta di riflessione, meditazione, chiarezza di idee”.

Oltre a essere luoghi di piacevole ritrovo, le botteghe di caffè furono madrine e ispiratrici di riviste che propugnavano libertà di pensiero e di comunicazione, proprio come il Caffè che ebbe anche un erede nel periodico letterario napoletano: Il Caffè del Molo, edito in Napoli dal 1829 al 1832.

Per quanto riguarda i nostri tempi, lo spirito che animava il periodico di Verri non è del tutto scomparso: in Italia, esistono ancora salotti letterari, dove ci si riunisce, si legge, si discute e ci si confronta su temi d’attualità di vario genere.
Nati come luogo di ritrovo e di arricchimento, conferiscono un qualcosa in più alla città e mantengono viva la possibilità di conversare e discutere amichevolmente.

Giornale de’ Letterati: tra le più antiche riviste della stampa italiana

Il “Giornale de’ Letterati”, una delle prime riviste pubblicate in Italia, fu la capostipite di una serie di periodici che portavano lo stesso nome e che aiutarono a vivacizzare discussioni di argomento culturale e scientifico a cavallo tra il Seicento e il Settecento.

La vera destinazione di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca“, questo è ciò che sosteneva Walter Benjamin (1892 – 1940, filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco) nell’annuncio della rivista: “Angelus Novus“. In effetti, le riviste non servivano solo a comunicare notizie ai lettori contemporanei, ma erano anche luogo di discussioni e dibattiti su temi di vario genere: culturali, artistico-letterari, politici, sociali e persino scientifici e religiosi. Le pagine stampate consentivano una partecipazione più concreta, soprattutto perché prendevano in esame i vari fenomeni dall’interno.

Tra le prime riviste italiane che si occupò di diffondere argomenti culturali, ci fu il “Giornale de’ Letterati”, nome che non fu utilizzato da un’unica rivista: in realtà ce ne furono diverse che impiegarono lo stesso titolo e furono fondate in varie città italiane fra il XVII e il XVIII secolo. Comunque, la prima a fregiarsi di questo nome fu stampata a Roma e il suo fondatore fu l’abate Francesco Nazzari (1638 – 1714).

Il primo numero del “Giornale de’ Letterati” vide la luce il 28 gennaio 1668. Questo trimestrale è ritenuto una delle più antiche riviste della stampa italiana. Esso conteneva notizie ed estratti, sull’esempio del “Journal des Savants”, di opere prevalentemente scientifiche che si pubblicavano in Italia e all’estero e divenne un modello per varie e successive riviste letterarie.

Inizialmente, la rivista di Nazzari fu pubblicata con i caratteri tipografici dello stampatore Nicolò Angelo Tinassi. Per procurarsi materiale da stampare, il suo fondatore, incoraggiato dal futuro cardinale Michelangelo Ricci (1619 – 1682), diede vita a una società di letterati e di intellettuali, incaricati di fornire i riassunti delle opere in lingua straniera pubblicate in Europa. Dal canto suo, Nazzari curava le novità che giungevano dalla Francia.

Nel 1675, la rivista cambiò stampatore. I nuovi caratteri impiegati furono quelli di Giacomo Mascardi (1637-1722, nipote omonimo del fondatore della stamperia) e Benedetto Carrara ne divenne il finanziatore.

Tinassi, il precedente stampatore di Nazzari, proseguì con la pubblicazione di una rivista parallela che impiegò lo stesso nome, diretta da Giovanni Giustino Ciampini (1633 – 1698, storico, matematico, giornalista, archeologo e scienziato). Da quel momento, uscirono due periodici differenti, stampati nella stessa città e con lo stesso titolo: il trimestrale di Nazzari, che continuò ad essere stampato fino al 1679 e il mensile omonimo che proseguì la sua attività fino al 1683 (dal 1681, cambiò la direzione che da Giovanni Ciampini passò all’abate Filippo Maria Vettori).

Negli anni successivi, il titolo “Giornale de’ Letterati” fu usato per altre riviste stampate in altre città e in periodi diversi:

  • a Parma, dal 1686 al 1690;
  • a Ferrara, nel 1688;
  • a Modena, dal 1692 al 1698 (direttore, come quello di Parma, fu Benedetto Bacchini e finanziata anch’essa da Gaudenzio Roberti);
  • a Roma, stampata dai fratelli Pagliarini dal 1742 al 1759. Ebbe fra i principali ispiratori Giovanni Gaetano Bottari;
  • a Firenze, fondata da Ottaviano Buonaccorsi, pubblicata dall’aprile 1742 a tutto il 1753;
  • a Pisa, nel 1771, fondata da Angelo Fabroni e chiusa nel 1796 per l’invasione napoleonica. Lo stampatore fu il Pizzorno (l’ultimo volume fu stampato dal Landi).

La Gaxeta: il primo giornale parla veneziano

La Gaxeta veneta, data alle stampe nel Cinquecento, è l’antenato dei nostri attuali giornali.

La “Gazeta” o “gazzetta” (in dialetto veneziano “gaxeta”), in origine era il nome popolare di una moneta d’argento della Serenissima Repubblica di Venezia del valore di due soldi. Il nome sembra derivare da “gazza”, ma in realtà si dibatte ancora riguardo al suo etimo che resta incerto.
Questa moneta, emessa a partire dal 1539 sotto il dogato di Pietro Lando (1539-1548), aveva il titolo di 0,948 e un peso di 0,24 grammi. Su un lato era raffigurata la giustizia seduta, sul retro il leone di San Marco.

Nel 1563 a Venezia fu pubblicato il primo “foglio avviso”. Venduto al pubblico al prezzo di una gaxeta (due soldi), prese il nome proprio dalla moneta: “La gazeta dele novità” o “Gaxeta”.
Denominarlo come una moneta fu abbastanza naturale: rispecchiava le attitudini commerciali di Venezia. Con il tempo, il nome fu italianizzato e si trasformò nel più ben noto “Gazzetta”.

La Gaxeta aveva come scopo di tenere costantemente aggiornata la popolazione.
In quel periodo le relazioni fra Venezia e il sultano turco si erano incrinate e il governo della città aveva reagito diffondendo dei “Fogli di avviso”: cercava in tal modo di guidare le coscienze. I fogli della Gaxeta continuarono poi a essere prodotti e distribuiti in formati da otto o sedici pagine.

Nato come una sorta di bollettino aggiornato, la Gaxeta riportava notizie di battaglie, assedi e spostamenti di truppe. Tali argomenti erano preziosi in particolare per i commercianti e i banchieri che cercavano, tenendosi informati, di curare i loro interessi. Ovviamente, i problemi insorti con il sultano turco li riguardava da vicino: minacciava i floridi commerci che avevano correntemente con il mondo orientale.

Nello stesso periodo in cui si stampava la Gaxeta, nacque anche la prima forma di pubblicità. Sui fogli di giornale si riportavano i prezzi di merci da acquistare e persino notizie su fiere e mercati più importanti.

Tale genere di fogli informativi iniziano a comparire anche all’estero. Ad esempio, in Germania circolava un giornale manoscritto con contenuti simili alla Gaxeta veneziana, altrettanto accadeva in Inghilterra, dove le notizie erano riportate su fogli volanti.

I fogli volanti vennero abbandonati gradualmente, per passare al formato del giornale vero e proprio, anche se il foglio, singolo o multiplo, rimase per almeno altri cinquant’anni, dopo che il giornale aveva assunto più o meno le fattezze di quello attuale.