Musica, letteratura e gusto: linguaggi diversi per una ricetta tutta culturale
“Prendete dell’olio di Provenza, mostarda inglese, aceto di Francia, un po’ di limone, pepe, sale, battete e mescolate il tutto; poi aggiungete qualche tartufo tagliato a fette sottili. I tartufi danno a questo condimento una sorta di aureola, fatta apposta per mandare in estasi un ghiottone”.
La scelta di una ricetta di Gioachino Rossini: un’insalata, ideata a Roma, durante le prime rappresentazioni del Barbiere di Siviglia, è stata un’innocua provocazione per introdurre una breve riflessione sulle similitudini fra linguaggi all’apparenza molto diversi.
Rossini non era solo un genio della musica, ma era anche un amante della buona cucina (testimoni sono le sue famose cene nella Villa di Passy, gli innumerevoli accenni al cibo nelle sue lettere e i riferimenti gastronomici e culinari nelle sue composizioni musicali). Inoltre, le sue opere sono talmente ricche di spunti, di vitalità, di possibilità sonore e di infinite suggestioni che mi sembrano adatte a reggere il paragone con un discorso sulle affinità fra musica, letteratura e gusto.
Ognuno di questi diversi linguaggi segue una sua grammatica, delle regole che ne delineano la struttura, ne irreggimentano lo sviluppo e in tal modo ne consentono la crescita. Tutti e tre sono linguaggi complessi e hanno un bagaglio storico e territoriale che ne ha condizionato le direzioni, mentre le convenzioni, le mode e perché no anche qualche elemento casuale, forse più d’uno, ne hanno tratteggiato sapientemente i confini.
Ciascuno risponde ad uno o più sensi umani: orecchio, occhio, olfatto; tutte sono accomunate dall’unico regista che ne orienta le scelte: il cervello.
Lo spazio e il tempo sono essenziali per la nascita e per l’espressione di ognuno di questi linguaggi.
Tutti sono nati per comunicare e condividere e ognuno di essi ha contribuito e contribuisce, nel suo peculiare modo, a tracciare e definire i valori di una società, per questo andrebbero preservati e curati con grande attenzione.