Giacomo Casanova era un uomo colto e grande viaggiatore, in un’epoca, il Settecento, in cui la gente non viaggiava molto. Nella sua vita avventurosa finì varie volte in carcere e affrontò persino un duello.
Nel 1755, Giacomo Casanova fu arrestato a Venezia, i motivi del suo imprigionamento sono stati oggetto di varie discussioni.
La sua non fu di certo una vita irreprensibile e indubbiamente non lo si poteva definire un uomo dalle specchiate virtù. Anzi, proprio a causa della sua vita spregiudicata, era controllato dagli inquisitori, come dimostrano molti rapporti delle spie al servizio dei suoi accusatori. In questi documenti sono riferiti in maniera puntuale tutti i suoi comportamenti, specialmente quelli immorali e disdicevoli.
Le accuse che, in particolare, furono rivolte a Casanova, al tempo dell’imprigionamento ai Piombi, riguardavano il “libertinaggio”, attuato con donne sposate, il vilipendio della religione, i raggiri ai danni di alcuni nobili e un contegno pericoloso sia per il buon nome sia per la stabilità del regime aristocratico.
L’esistenza sregolata – anche se molto simile a quella che conducevano molti giovani eredi di grandi casate: giocava e barava, aveva idee non del tutto ortodosse in materia di religione e soprattutto faceva ogni cosa alla luce del sole – il fatto di essere un membro della Massoneria, la scandalosa relazione con una suora “M.M.”, di sicuro una nobile, monaca nel convento di S. Maria degli Angeli in Murano, non deponevano a suo favore e l’oligarchia veneziana non poteva accettare che un uomo di tale risma potesse restare in circolazione.
Ma Casanova aveva dalla sua amicizie di un certo peso nell’aristocrazia, amicizie che gli garantirono una condanna lieve durante la reclusione e forse gli furono di aiuto anche per l’evasione.
Quando fu arrestato, Giacomo Casanova non si perse d’animo e si organizzò per fuggire.
Il primo tentativo andò a vuoto a causa di uno spostamento di cella, ma il secondo, nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1756, andò a buon fine.
Per evadere passò dalla cella alle soffitte, sfruttando un’apertura procurata da un suo compagno di prigione, il frate Marino Balbi, da qui uscirono sul tetto e poi scesero all’interno del palazzo attraverso un abbaino. Insieme al complice varcarono diverse stanze, finché non li vide un passante che li scambiò per visitatori rimasti chiusi all’interno. Prontamente avvisato un addetto del palazzo, fu aperto loro il portone e i due fuggitivi, guadagnata l’uscita, si involarono rapidamente con una gondola.
La fuga condusse i due ex galeotti verso nord. Ripararono per un po’ a Bolzano, poi si rifugiarono a Monaco di Baviera, da qui, Giacomo Casanova proseguì da solo verso Augusta prima e poi Strasburgo.
Il 5 gennaio 1757, il nostro fuggitivo giunse a Parigi, dove trovò accoglienza e appoggio dal suo amico François-Joachim de Pierre de Bernis (1715-1794) che nel frattempo era diventato ministro.
Sistematosi a dovere, riprese le sue normali attività, facendosi notare in società e frequentando la crème de la crème della capitale.
Provvidenziale fu la conoscenza della marchesa d’Urfé, un’aristocratica ricchissima e stravagante. Con lei Casanova intrecciò una lunga e fruttuosa relazione: sperperò notevoli somme di denaro che la donna, conquistata dal suo fascino, gli elargiva.
Giacomo Casanova promosse anche una lotteria nazionale per rimettere in sesto le finanze dello Stato. Fu autorizzato ufficialmente e nominato “Ricevitore”. La sua idea fu così brillante che tuttora è ancora utilizzata.
Nello stesso periodo, fu coinvolto in un’intricata e incresciosa vicenda da cui riuscì a salvarsi grazie alla sua proverbiale prontezza.
Successivamente, abbandonò la lotteria e tentò di mettere in piedi un’attività imprenditoriale: una manifattura di tessuti che fu un totale fallimento, anche a causa della guerra in corso. Il fallimento e i debiti lo condussero di nuovo in carcere, ma la marchesa d’Urfé intervenne prontamente a soccorrerlo.
Successivamente, viaggiò per l’Europa, nei Paesi Bassi e poi in Svizzera, infine tornò in Italia, a Genova, poi a Firenze e infine, a Roma.
Nel 1762 è di nuovo a Parigi, dove tornò a praticare rituali magici insieme alla marchesa d’Urfé, almeno finché la donna non fu consapevole di essere stata ingannata e raggirata da Casanova, a quel punto, la donna interruppe ogni rapporto e Casanova si trasferì a Londra, poi andò a Berlino e nel 1764, giunse in Russia, a San Pietroburgo, mentre l’anno successivo lo troviamo a Mosca.
Dovunque andasse, Giacomo Casanova era accolto da membri altolocati dell’aristocrazia, da imperatori e personaggi storici di notevole rilevanza. Sorprende di questa straordinaria vita non solo la quantità e la varietà di avvenimenti, ma anche questa facilità di poter incontrare persone a dir poco inaccessibili, o comunque avvicinabili solo da pochi e centellinati visitatori.
È quasi certo fosse la fama che lo precedeva a spalancargli innanzi tutte queste porte e la curiosità che circondava la sua persona.
Inoltre, non guastava il fatto che, Casanova fosse un abile intrallazzatore: trovava agganci, si procurava lettere di presentazione e si muoveva con grande destrezza. Era anche largamente favorito dalla sua vasta cultura, dalla sua capacità di intessere conversazioni brillanti e si avvantaggiava del fascino del viaggiatore.
Nel 1766, un episodio spiacevole segnò il suo soggiorno in Polonia: il duello con il conte Branicki.
Durante un litigio, il conte offese Casanova che non si ritirò in buon ordine di fronte a quell’uomo potente e pericoloso, come avrebbe fatto chiunque altro. Giacomo Casanova che era anche un uomo coraggioso: sfidò a duello Branicki e nonostante fosse ferito, riuscì a lasciare la Polonia; il conte, ferito gravemente, riconobbe la correttezza del suo avversario e impedì ai suoi di fermarlo.
Casanova si spostò poi a Vienna e da qui a Parigi, da dove fu espulso a causa di un provvedimento voluto dai parenti della marchesa d’Urfé. Lasciata la capitale francese si diresse in Spagna, dove finì di nuovo in prigione. La tappa successiva fu la Provenza e dopo una brutta malattia riprese a viaggiare: Roma, Napoli, Bologna, Trieste. Intanto, sperava di ottenere la grazia da Venezia che finalmente arrivò il 3 settembre 1774.
Tornato a Venezia, Giacomo Casanova si riavvicinò alle sue vecchie frequentazioni e amicizie. Essendo in ristrettezze si dedicò alla scrittura, sfruttando la sua ampia rete di relazioni per assicurarsi sottoscrittori per le sue opere letterarie, trovando molti consensi.
Di questi anni è la relazione con Francesca Buschini, una ragazza semplice e incolta. Casanova rimase molto legato a questa donna, anche quando fu costretto ad allontanarsi da lei.
Negli anni a seguire, pubblicò altre opere, ma fu di nuovo vittima della sua indole passionale e impetuosa. Fece pubblicare un libello, per vendicarsi della famiglia Grimani che non aveva preso le sue parti in una discussione.
Nello scritto rivelò di essere il vero figlio di Michele Grimani e dichiarò che un altro Grimani era nato da una relazione adulterina. La nobiltà si schierò contro di lui e Giacomo Casanova fu costretto all’esilio. Lasciò Venezia per sempre, nel gennaio 1783 e si recò dapprima a Vienna. Gli ultimi anni li passò in Boemia, dove finì i suoi giorni.
Da lontano, ascoltò gli echi della Rivoluzione francese, ricevette le notizie della caduta della Repubblica di Venezia e vide crollare a poco a poco il suo mondo.
Unico conforto in tanta desolazione, oltre alla nutrita corrispondenza con i suoi amici veneziani, fu la stesura della “Histoire de ma vie”, l’opera autobiografica che impegnò le sue residue energie.
Casanova si dedicò alla scrittura di questo testo con foga e tenacia, per scongiurare che la morte sopravvenisse prima che avesse concluso il suo lavoro.
La sua opera letteraria ebbe un destino opposto a quello che l’autore avrebbe desiderato. I testi di ordine filosofico, storico e matematico non ebbero mai il riconoscimento letterario e scientifico che lo scrittore aveva agognato, mentre le opere autobiografiche ebbero grande successo, soprattutto l’Histoire, ma dopo la sua morte, qui Casanova si rivela un moderno scrittore di costume.
In copertina: particolare del dipinto di Jean-Honoré Fragonard “I fortunati casi dell’altalena”