Ah, i dialoghi! Quell’arte sottile che può trasformare un personaggio di carta in una persona reale… Ci sono tre regoline basiche da tenere a mente e cose che è bene evitare di fare.
1 Ascolta le persone 👂: I dialoghi migliori nascono dall’osservazione. Vai al bar, al parco o alla fermata dell’autobus e ascolta come parlano le persone. Nota le pause, gli intercalari e le inflessioni per cercare di riprodurre l’effetto naturale di una conversazione ed evitare una esposizione forzata di informazioni.
Cose da non fare: in narrativa i dialoghi non possono essere mere trascrizioni di una conversazione origliata. Hanno una funzione precisa: devono mandare avanti la trama o rivelarci qualcosa del personaggio o della situazione. Chiediti: a cosa mi serve questo dialogo in questo punto?
2 Taglia il superfluo ✂️: Nei dialoghi, meno è più. Evita i discorsi prolissi e vai dritto al punto. Niente paginate di monologhi. Niente dettagli non necessari. Mantieni sempre un equilibrio tra dialoghi, descrizioni, digressioni, scene sommario.
Cose da non fare: non usare il dialogo per veicolare al lettore tonnellate di informazioni tutte insieme. Evita quello che si chiama “infodumping“.
3 Dai voce ai tuoi personaggi 🗣️: Ogni personaggio deve avere un proprio stile. Crea delle voci uniche che riflettano la loro personalità e background. Usano intercalari, dialetti? Il modo in cui parlano dice molto di chi sono! AllyMcBeal non parla come Gordon Gekko, un adolescente di oggi non parlerà come un’adolescente degli anni Ottanta (credimi, ne so qualcosa, noi non dicevamo “Flexa“. Noi ascoltavamo i Depeche Mode).
Cose da non fare: ti prego moderati con i dialogue tag (o sintagmi di legamento). Se in scena ci sono solo Terence e Candy non serve aggiungere “lei dice, lui risponde; commenta lei, scherza lui” perché ben dovrebbe capirsi chi sta parlando a chi. Piuttosto intervalla con gesti, azioni, movimenti a rinforzare il carattere del personaggio, la tensione, la situazione.
Ecco a seguire un esempio di dialogo “sbagliato”:
“Mamma“, disse Paolo alla madre. “Perché non raggiungiamo papà al suo ufficio, in Piazza Mercati? Possiamo fargli una sorpresa quando finisce di lavorare, alle 18.”
“Paolo, papà lavora come architetto nello studio dello zio. Non è detto che finisca proprio alle 18. Facciamo così: gli mando un messaggio e gli dico di avvertire quando sta per finire che passiamo a prenderlo“.
“Eh ma se andiamo in macchina, la sua Fiat 500 Blu dove la lascia? Nel parcheggio sotto Piazza Mercati?” Paolo fece alla madre con aria interrogativa.
“Non ti preoccupare.” lo rassicurò lei. “Domani mattina ho lezione alla prima ora e devo uscire molto presto. Lo accompagno io Franco, tuo padre, in ufficio. Così torniamo con una macchina sola e andiamo a fare un aperitivo al Bar dello Sport in via Cantore“.
Pensate che sia improbabile imbattersi in una conversazione di questo tipo in un romanzo, oggi? Purtroppo accade… E magari anche in pagine scelte come estratto per i lettori di piattaforme digitali.
p.s. Sopra ho suggerito di equilibrare scene dialogo, scene sommario e digressioni. L’unico autore che è riuscito a imbastire quasi un intero romanzo su una conversazione è Sacha Naspini in “Nives”. Se non lo conoscete, ve lo consiglio: l’eccezione conferma la regola. E se invece avete altri esempi di romanzi che funzionano pur avendo preponderanza di dialoghi, segnalatemeli! (Mi interessano anche esempi di dialoghi scritti male in libri editi, se ne avete :-))