Le scritture indiane hanno probabilmente la stessa origine del nostro alfabeto.
Nel III secolo a. C., nella penisola indiana si usavano due scritture principali: il kharosti e il braminico, oltre a numerose variazioni sorte per trascrivere la moltitudine di lingue parlate nel Paese.
Totalmente alfabetica, la scrittura braminica è all’origine del devanagari, con cui si trascrive la lingua sacra di gran parte dell’India, il sanscrito, lingua indoeuropea, e anche una delle lingue più diffuse: l’hindi.
Gli storici ritengono che queste lingue siano nate altrove, dalla trasformazione dell’alfabeto fenicio.
L’india, infatti, era luogo di passaggio e commercio tra i popoli del Mediterraneo orientale e gli abitanti della penisola e si verificavano costanti contatti anche con la penisola arabica, le coste fenicie e la Grecia.
Panini, un indiano di Salatura, è considerato il primo grammatico linguista e intorno al IV secolo descrisse il funzionamento delle consonanti e delle vocali del sanscrito.
Le principali lingue dell’India si leggono da destra a sinistra e si basano su una vocale principale, la A. Le lettere sono legate tra loro, al di sopra di una linea immaginaria, da una barra orizzontale. Questo particolare andamento dà a tale scrittura una bellezza plastica.
Sul modello delle scritture indiane si sono successivamente sviluppate le scritture usate tuttora in Tibet e in molti Paesi del sud-est asiatico: Laos, Thailandia, Cambogia e Birmania.