Il termine “letteratura cavalleresca” comprende un insieme di poemi che narrano le gesta dei cavalieri medievali. Influenzato dai toni dell’epica, questo genere accoglie anche toni satirici, ospita interventi in prima persona dell’autore e descrive vari tipi di azione.
Le origini della poesia cavalleresca risiedono con grande probabilità nel rinnovamento dell’ordine sociale avvenuto in Francia nel periodo successivo alla rinascita carolingia, che gli storici fanno coincidere con la fioritura e il risveglio culturale nell’Europa occidentale negli anni in cui era al potere Carlo Magno (768-814).
In questa fase storica, assistiamo al sorgere di una nobiltà feudale dalle rovine di un impero e si viene a creare un rapporto diretto tra monarca e feudatario; inoltre, il cristianesimo si introduce nel contesto politico, mentre fiorisce l’amore cortese e ritualistico.
Il genere cavalleresco dominò tra i secoli XII-XIII e fu definito anche aulico o curiale o cortese.
La sua diffusione si spinse oltre le Alpi e i Pirenei, e in Germania.
In origine, questa poesia aveva come scopo principale quello di intrattenere e per questo può essere accomunata alla lirica nata presso le corti provenzali.
I primi esempi di poesia cavalleresca derivano dalla tradizione classica latina (“Roman de Thèbes” romanzo francese medievale, in versi, ispirato alla “Tebaide” di Stazio) o da quella greco-bizantina (“Cligès”, romanzo cortese del 1176 ca., dell’autore medievale francese Chrétien de Troyes).
In Francia, il genere cavalleresco prese il via da due grandi filoni tematici: guerresco (ciclo carolingio) costituito dalle canzoni di gesta dei paladini di Carlo Magno, principale opera la “Chanson de Roland” (poema scritto nella seconda metà dell’XI secolo) e amoroso (ciclo bretone) più romanzesco e avventuroso, che celebra le imprese di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Le canzoni di gesta francesi e i cantares de gestas spagnoli (XII secolo) rivisitano in chiave leggendaria eventi storici, ad esempio, le guerre di religione contro gli Arabi che avevano occupato la Spagna, allo scopo di celebrare la civiltà cristiana contro quella islamica.
L’epica germanica, invece, fuse gli ideali eroici di un popolo di guerrieri con elementi magici e favolistici, e miti religiosi nordici (Odino, Thor, le Valchirie).
Protagonista indiscusso della letteratura cavalleresca è il cavaliere: uomo forte e valoroso che rischia la morte pur di fare del bene.
Questo personaggio è collocato in un tempo astorico e in uno spazio mitico, e possiede una psicologia elementare: privo di incertezze, è mosso da passioni primordiali.
Destinato quasi sempre alla morte, è avvolto in un sacro alone di gloria e gli è riconosciuta una dimensione quasi sovrumana.
Il cavaliere modello di questi tempi è Rolando, nipote e paladino di Carlo Magno.
Questa figura senza macchia e senza paura avrà un suo periodo d’oro, ma già con il trascorrere dei secoli tale purezza originaria sarà contaminata e il cavaliere, da paladino dei deboli e degli indifesi, finirà per interessarsi più ai beni materiali che ai nobili valori originari. Nelle storie tale tendenza sfocerà nei poemi eroicomici, dove il cavaliere è beffato e ridicolizzato (“La secchia rapita” di Alessandro Tassoni, pubblicato nel 1622; il “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes Saavedra, pubblicato in due volumi nel 1605 e nel 1615).
Più vicino ai nostri tempi, troviamo ancora trattati argomenti a sfondo cavalleresco, ad esempio, nel romanzo fantastico “Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino (1923-1985), scritto nel 1959. Se invece pensiamo a un genere comunque ispirato a certe tematiche, possiamo ritrovare personaggi analoghi e simili atmosfere nel fantasy.