Dal IX-X secolo, l’arte della scrittura ha un luogo dove esprimersi: lo scriptorium.
In gran parte, questo sancta sanctorum dei copisti, era collocato, nei monasteri e nelle abbazie, vicino alla biblioteca.
In questo luogo, i manoscritti si copiavano, si decoravano e si rilegavano.
Lo scriptorium poteva essere una sala speciale (l’unica a essere riscaldata) o una serie di celle individuali.
Solitamente, i copisti avevano a disposizione un sedile con braccioli e spalliera molto alta e un leggio con un doppio piano inclinato.
Per scrivere utilizzavano una penna d’oca, tagliata a seconda delle esigenze della grafia.
In media, un copista realizzava quattro fogli di pergamena di 35-50 cm di altezza e 25-30 cm di larghezza al giorno.
I copisti lavoravano sotto dettatura e spesso, su un identico manoscritto operavano più persone, a conferma di ciò, le grafie diverse rilevate nei documenti ritrovati.
Al lavoro di copiatura partecipavano a volte anche le monache: nel Medioevo erano aumentate le comunità miste.
Fare il copista era piuttosto faticoso: il lavoro era interrotto solo dalle preghiere quotidiane.
Il lavoro di copiatura prevedeva una suddivisione dei compiti che consentiva di rendere più scorrevole e funzionale il lavoro e che permetteva, al contempo, ai principianti di imparare il mestiere. Ad esempio, tracciare le righe sulle quali i copisti avrebbero poi scritto, era compito dei novizi che iniziavano così il loro apprendistato.
Nelle fasi successive, i principianti si dedicavano ai lavori comuni, più spediti e più semplici da eseguire. Questo tipo di testi era molto richiesto e costituiva la maggiore fonte di guadagno per le comunità monastiche.
I lavori più complessi e di maggior rilievo erano rimessi nelle mani dei copisti migliori. Queste speciali commesse venivano da dignitari della nobiltà o del clero.
Le decorazioni erano eseguite da miniaturisti e alluminatori. Questi artisti realizzavano capilettera in lamine d’oro e si sbizzarrivano, per i libri più preziosi, anche con disegni floreali, personaggi e paesaggi pieni di colori brillanti.
Il lavoro seguiva una prassi consolidata:
- il motivo era schizzato con un punteruolo
- i dettagli si ripassavano con la penna d’oca e l’inchiostro
- i contorni colorati si realizzavano a penna
- il disegno era completato con un pennello molto sottile
I monasteri che non disponevano di artisti sufficientemente abili a eseguire un dato lavoro, si rivolgevano a laici noti per le loro capacità; altrettanto facevano in caso servissero rilegatori che dovevano realizzare la copertina di cuoio e il fermaglio, spesso molto elaborati.
in copertina: Ritratto di Jean Miélot, segretario, copista e traduttore del duca Filippo III di Borgogna