“E poi cominciò a chiedersi che ne sarebbe stato di quel divano. […] Lo immaginò fuori, sulla strada serpeggiante, in attesa di qualcuno che lo volesse, sotto il sole cocente dell’isola che ne esaltava i segni d’usura. Immaginò i suoi nonni mentre lo compravano. Si figurò l’angusto negozio di mobili a Fira […] sua nonna che indugiava sui colori e suo nonno con l’espressione dolce e niente da dire“.
(Ann Brashares, Quattro amiche per sempre)
Gli oggetti recano impressi i segni del ricordo, se ne impregnano… semplicemente, come un odore che resta persistente nella trama di un tessuto.
Il ricordo impigliato finisce per far parte dell’oggetto, ne diventa un tratto distintivo e osservarlo o toccarlo ci consente di fare un tuffo nella memoria.
Questi oggetti, vere e proprie macchine del tempo, recano tracce profonde e i loro caratteri così noti e cari ci procurano nell’atto dell’abbandono lo stesso dolore e la vaga nostalgia di quando un amico si allontana.
“Sedeva al tavolo di cucina del loft. A casa di sua madre il tavolo in cucina era fatto di pino o ciliegio o un altro legno. Aveva mille nodi e scalfitture, ma era caldo. Questo tavolo, come il resto nella loro cucina, era di acciaio inossidabile. Si poteva ripulirlo da ogni macchia, ma era duro sotto le sue braccia, duro e freddo“.
(Ann Brashares, Quattro amiche per sempre)
Si possono esprimere emozioni attraverso gli oggetti: due tavoli da cucina messi a confronto possono, ad esempio, essere la chiave di lettura di due scelte di vita molto diverse.
Condivido, specialmente la questione dell’oggetto come macchina del tempo.
Non sono un nostalgico, anzi, preferisco guardare, sognare e cercare un radioso futuro.
Ma è anche bello, a volte, lasciarsi andare sulle onde dolciastre della memoria.
I ricordi aiutano a pianificare il futuro e anche ad affrontarlo, basta farne il giusto e dovuto uso…