Quando avresti voluto scrivere una frase simile e invece…
A volte il cruccio di uno scrittore non è la pagina che rimane inesorabilmente bianca, ma leggere altri scrittori e “innamorarsi” di un incipit, di una descrizione, di un concetto espresso così bene che è riuscito a farti provare delle forti emozioni e vorresti che almeno uno dei tuoi lettori possa aver sperimentato, almeno una volta, sensazioni simili leggendo un tuo romanzo.
Non cadete nella tentazione di dire che c’è invidia, per me, è ammirazione.
La leggerezza di una frase, la sua schiettezza, la capacità dell’autore di tenderti la mano e farti entrare nel suo racconto per consentirti di vedere le cose con i suoi occhi e poi di tradurle nella tua personale visione di lettore.
Certi autori sono in grado di lasciarti vagare con la fantasia per pagine intere e poi ti riprendono con destrezza e ti riconducono sulla “retta via”: nella loro storia, focalizzandoti di nuovo sui fatti che ti stanno raccontando.
Altri, ancora, ti incalzano, non lasciandoti neppure respirare; ti fanno sognare e poi soffrire, ti sorprendono, ti fanno sorridere.
Fare lo scrittore non è facile, ma è un mestiere talmente bello che ti fa dimenticare tutta la fatica che c’è dietro un nuovo libro: il sacrificio di non dormire, di rileggere dieci volte una frase che non è perfetta. Il più delle volte, si dimenticano persino i lunghi momenti dedicati a studiare libri interi per chiarire un dato aspetto che si vuole descrivere, per poi trovarsi a trascrivere solo poche righe.
Leggere in ogni caso ritengo sia uno degli aspetti più importanti del lavoro di uno scrittore. Un dovere, oltre che un piacere.
Ogni scrittore è prima di tutto lettore, ma leggere è anche un gesto di umiltà, di chi sa che non si finisce mai di imparare e che è fondamentale confrontarsi con gli autori del passato e del presente per poter crescere e migliorare il proprio mestiere.
Inoltre, leggere è importante per coltivare le emozioni, per sentirsi vivi, per meravigliarsi di quanta bellezza e singolarità ci sia nel mondo, nella vita degli altri, nel senso profondo delle parole.
Concludo con una frase di un libro che mi ha fatto emozionare, spero che faccia su di voi lo stesso effetto.
“Vista così, dall’alto, la città addormentata sembra una costruzione infantile, un modellino che ha rifiutato di adattarsi alle regole, fossero pure quelle della fantasia. La collina d’origine vulcanica potrebbe essere un grumo di plastilina nera, il castello che si erge saldamente su di essa un distorto agglomerato di mattoncini dentellati. I lampioni stradali coi loro globi arancioni sono carte di caramelle stropicciate in cima a bastoncini di lecca-lecca.
Nelle acque del Firth of Forth, pallide lampadine di torce tascabili illuminano barche giocattolo, appoggiate su un foglio di carta crespata nera. In questo mondo, le guglie frastagliate del’Old Town potrebbero essere fiammiferi piegati ad angolo, i giardini di Princess Street un ritaglio di moquette spugnosa, gli edifici tante scatole di cartone, con porte e finestre accuratamente disegnate da pennarelli di vari colori e con cannucce a simulare gronde e tubature. Disponendo di una lama affilata (magari di un bisturi), quelle porte potrebbero anche essere aperte. Ma sbirciarvi dentro… Se si guardasse all’interno, quell’impressione verrebbe distrutta” (“Anime morte” Ian Rankin).