Emozione e creazione: un gioco di rimandi

emozioni paesaggio albero

Il termine emozione viene dal francese “émotion“, derivato di émouvoir “mettere in movimento”.

Mi piace l’idea che la parola emozione contenga in sé l’idea del “movimento”.
In effetti, un’emozione crea indubbiamente un movimento che a volte procede dall’esterno (dopo un particolare avvenimento) per poi raggiungere l’interno di una persona. In altri casi, il movimento parte da dentro e si propaga fuori.

L’emozione produce un’energia, in certi casi positiva, in altri negativa: comunque produce un cambiamento.

Ritengo che i libri siano in grado di provocare un’infinità di emozioni diverse, quello è il loro scopo, come l’arte in genere, dalla pittura, alla musica, al teatro.

Una produzione artistica deve coinvolgere, rendere partecipe il lettore, l’ascoltatore o lo spettatore, suscitando una reazione: un’emozione, appunto, che possa collegare l’artista al fruitore.

In altre parole, una creazione artistica aspira a costruire dei ponti virtuali tra “il creatore” e un pubblico, attraverso i quali si può viaggiare avanti e indietro, in un gioco di rimandi e di emozioni infinite.

Ognuno percepisce la creazione artistica in modo diverso, assorbendola e filtrandola sulla base delle sue esperienze e conoscenze, ma l’importante è che ci sia uno scambio.

Più un’opera è complessa, più emozioni è in grado di suscitare e più si manifesterà longeva, comunicando ed emozionando ancora resterà intatta, seppure differente, a distanza di molti secoli.

Quando un libro ti chiama

libro lettura lettrice

Quando bastava un monumento, un cartello stradale, una rovina famosa, uno scorcio naturalistico per affermare che c’eri stato…

Ora la mania di protagonismo ha fatto slittare l’emozione di quell’attimo irripetibile a pensare immediatamente dopo ad un selfie da mostrare al mondo.
Una via stretta che si apre su una piazza immensa, un rettangolo scuro tra le mura antiche che inquadra un pezzo di cielo o fa tuffare lo sguardo nel mare, la bellezza naturalistica che ti lascia senza parole, diventano sempre più spesso sfondo o quinta incolpevole di un selfie con uno o più faccioni in primo piano a volte distorti dalla vicinanza del cellulare.

Se non sei presente nella foto pensi che i tuoi amici non ti credano?

Essere immortalati con contorsioni ridicole ti fa sentire più protagonista che gustarti l’attimo di quell’abbandono verso quello che prima non avevi mai visto?
Entrare in una foto è così determinante, come se senza quella testimonianza tu che scatti una foto non esistessi?

Mania di protagonismo che ancora non mi ha assorbito, mentre mi capita sempre più spesso che sia un libro a diventare il protagonista indiscusso dei miei pensieri giornalieri e se fosse possibile vorrei poter entrare tra le parole, vivere la vita dei personaggi per la durata della lettura.
Tuffarmici ogni momento della giornata, anche se non mi è possibile, ma tenere sempre in mente la storia, per tornare a parteciparvi, appena riaprirò le pagine.

Essere immortalata in un’immagine con i personaggi che si muovono nel loro tempo, nella loro storia.

Esserci per me è ormai diventato anche e solo quando entri a far parte di un racconto, di una narrazione che trovi stupenda, innovativa che ti cattura e che ti fa dimenticare tutto il resto del mondo, allora per me quello è il libro che dovevo leggere in quel dato momento e io ho risposto alla sua chiamata, quello era il momento giusto perché io potessi apprezzarlo e nello stesso tempo esso potesse ispirarmi.

Ma questo è possibile solo se un libro è così potente da farti viaggiare con la fantasia, mentre sei in un’altra epoca, in un’altra città, dall’altra parte del mondo o solo a pochi chilometri, ma comunque un prolungamento delle pagine, un’assenza che si materializza nel racconto che scorre sotto ai tuoi occhi.

Di nuovo libera, la mano di Stephen tornò alle conchiglie vuote. Simboli anche di bellezza e di potere. Un rigonfio nella tasca. Simboli insozzati da cupidigia e avarizia”.

Ecco le loro controparti: anche loro fiati indolciti, con tè e marmellata, la sciocca ridarella dei loro braccialetti quando litigano”.

Il sole tra l’intarsio delle foglie spandeva paillettes e monete danzanti sulle sue sapienti spalle”.

Passi di: James Joyce tratti dall’“Ulisse

Vorrei tenere a mente solo le emozioni che possono sfiorarmi e scivolare sottopelle, mentre leggo quello che uno scrittore ha saputo mettere nero su bianco e cercare in tutti i modi a me possibili, riuscire a trasferire parte di quelle emozioni quando a mia volta sentirò il bisogno di raccontare.

La società dell’immagine, ci rende sempre più spesso protagonisti del niente, mentre entrare in una narrazione più profonda, fare un viaggio introspettivo attraverso la lettura o osservando quello che ci circonda. per me, è molto più importante.

Scegliere di essere piuttosto che apparire e smettere di illudersi che una serie di immagini di noi stessi possa raccontare noi e la nostra vita o per assurdo farci entrare nella vita degli altri.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #5 Scrittura araba: multiforme e decorativa

Moschea decorazione soffitto

Verso il 650, i primi testi del Corano, vengono trascritti in arabo.

Nel Corano, la scrittura è di per se stessa “scrittura di Dio” e la si onora, senza neppure leggerla né comprenderla.

Come l’ebraico, l’arabo si scrive e si legge da destra a sinistra e ugualmente, non trascrive le vocali. Comprende 18 lettere che associate a dei punti diventano 29.

La caratteristica geniale di questa scrittura è la sua capacità di prestarsi a innumerevoli forme.

Grazie a questa sua singolare caratteristica, la scrittura araba è diventata elemento decorativo essenziale delle moschee e degli altri monumenti e costituisce la base dell’arte degli “arabeschi“.

La calligrafia araba ha conosciuto fino a oggi stili di una varietà infinita e di una fantasia illimitata.

Nelle regioni meridionali dell’Arabia sino all’Etiopia si sono sviluppati molti altri tipi di scrittura, tutti nati dal fenicio e per la maggior parte scomparsi.

Sono sopravvissute solo la scrittura etiopica e quella dei tuaregh: il tifinagh contraddistinta da caratteri dalla forma geometrica.

Caso raro nella scrittura, il tifinagh è appannaggio delle donne e qui, come altrove, possedere la scrittura significa avere un certo potere.

la storia continua…

Una parola per il nuovo anno: Coraggio

Bucaneve fiore

Spero che il nuovo anno ci porti doni meravigliosi; io posso farvi solo un piccolo regalo, una semplice parola: Coraggio.

Vi auguro e lo auguro a me stessa, di trovarlo sulla soglia del nuovo anno ad attenderci, per prenderci per mano e condurci giorno dopo giorno, aiutandoci ad affrontare il buio e l’ignoto, durante questo viaggio pieno di scossoni che è la vita.

Il coraggio ha molti volti e interpretazioni, nessuna trascurabile.

Può riguardare il modo di affrontare la vita sia quando si incontrano momenti di difficoltà sia quando ci assumiamo dei rischi.

Ci sono anche vari tipi di coraggio con un’ampia gamma di sfumature: si può essere scalatori impavidi e affrontare vette irraggiungibili oppure una donna o un uomo comuni che entrano in un supermercato all’ora di punta per fare la spesa, magari dopo una lunga giornata di lavoro.

Non ci sono standard, né misure da rispettare: anche i piccoli gesti quotidiani possono essere coraggiosi, quanto gli esercizi di un acrobata che ci lascia senza fiato.

Vivere è già un atto coraggioso; per alcuni anche alzarsi ogni mattina e affrontare la giornata richiede un grande coraggio: se si deve superare un dolore o combattere una malattia.

Il coraggio è stato anche oggetto di attenzioni da parte di scrittori e pensatori di ogni tempo che ne hanno dato una loro definizione.

Don Abbondio, famoso personaggio dei “Promessi Sposi” diceva: “Uno il coraggio se non ce l’ha, non se lo può dare”.

Mentre Seneca parla di osare per riuscire a raggiungere i nostri obiettivi: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”.

E sostiene pure che: “Colui che è coraggioso è libero”.

Steve Jobs, uomo dal grande intuito e genialità ha invece detto che “dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario”.

Ora, voi potete farvi la vostra opinione al riguardo, io, però, condivido appieno le parole di  William Blake: “Chi non osa osservare il sole in volto non sarà mai una stella”.

 

“Che fai tu, Luna, in ciel?”

Mongolfiera luna paesaggio lunare

Casta Diva che inargenti
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante
Senza nube e senza vel.

Tempra o Diva,
Tempra tu de’ cori ardenti,
Tempra ancor lo zelo audace,
Spargi in terra quella pace
Che regnar tu fai nel ciel”.

Questa è la preghiera che nella Norma di Bellini, la sacerdotessa gallica rivolge alla luna.

Certamente non sarei in grado ci cantarla come la Callas, interprete divina di questa opera.
Non ho mai potuto vederla da vicino come forse Margherita Hack avrà fatto tante volte studiandone i crateri, anche i Pink Floyd hanno dedicato un album alla luna: Dark Side of the Moon (Lato Oscuro della Luna).
Poi penso ai lupi che non conoscendone la natura le dedicano spesso una serenata, contagiandosi da branco a branco con i loro ululati prolungati nella notte.

Ma fondamentalmente la luna è degli innamorati, dei sognatori e a differenza del sole che non puoi guardare quando è allo zenit, in assenza di nubi la luna è lì in mezzo al cielo scuro e spesso ci soffermiamo ad ammirarla.

Taluni le parlano o le confidano segreti e pensieri, sicuri che lei possa capire ogni cosa, lei che ci guarda da lassù incastonata nel cielo, immutabile e bellissima.

Ma se la luna non riesce a capire sono loro che si sono spiegati male o forse, come sono certe persone, anche lei rimane irraggiungibile, con quell’alone di mistero che nessuno sa spiegarsi bene.

Parola del giorno: leggerezza

colibri leggerezza

Oggi, camminando tra i miei pensieri sono inciampata sulla “leggerezza”.

Che pesa relativamente poco, che fa sentir poco il suo peso
Così definisce il termine “leggero” il vocabolario Treccani

Calvino, nelle Lezioni americane, tenta di definire la leggerezza che ritiene una caratteristica ben presente nelle sue opere.
Lo scrittore sostiene di aver sottratto peso alle figure umane, ai corpi celesti e alle città, ma soprattutto, ritiene di aver tolto peso alla struttura del racconto e del linguaggio.

Seguendo i suoi suggerimenti si arriva a Montale, a Piccolo testamento, dove la leggerezza assume labili sembianze:
traccia madreperlacea di lumaca/o smeriglio di vetro calpestato

Questi sono solo alcuni esempi letterari legati a questa parola: molti si sono interrogati sul suo significato e hanno cercato di dare risposte o definizioni, magari attraverso complessi trattati filosofici.

Lascio a voi il compito di rintracciare altre impronte della leggerezza nella letteratura, nella filosofia, e perché no, anche in qualche singolare trattato scientifico.

Se facessi diversamente, appesantirei questo post che vuole essere un semplice suggerimento.

Per quanto mi riguarda, io credo che in qualsiasi modo la si rappresenti, la leggerezza sia una conquista, la capacità di sentire le cose che ci circondano senza farsi soffocare da esse, dalla pesantezza delle giornate, dalle fatiche quotidiane e dal dolore.

Ritengo che leggerezza sia la capacità e la certezza di avvertire un barlume di gioia nascosto o lontano; il desiderio che prende corpo senza pesare sull’anima.

Parola del giorno: Pace

Colomba bianca simbolo pace

Pace, una parola controversa e bellissima.

In questi giorni la si avverte nell’aria, compare in molte canzoni legate al Natale e mai come in questo momento è oggetto di attenzione profonda.

Credo bisognerebbe riflettere un po’ sulla sua etimologia e su i significati che può assumere, considerarla con cura, in base a punti di vista e contesti diversi.

Può essere un relazionarsi sereno con gli altri, vivendo in armonia nel mondo e nella natura. Può essere una condizione interiore, ma per molti in questo momento incarna il desiderio profondo e intenso di non vivere più con il rischio opprimente della morte, per cui vi esorto a riflettere su questa parola, ad aprire un semplice dizionario per vedere ogni suo possibile significato.

Un piccolo prontuario per iniziare la ricerca:

Wikipedia
La pace è una condizione sociale, relazionale, politica (per estensione anche personale ovvero intraindividuale, o eventualmente legata ad altri contesti), caratterizzata dalla presenza di condivisa armonia e contemporanea assenza di tensioni e conflitti.

Treccani
Condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri gruppi.

A me piace pensare alla pace come a qualcosa che aiuta a sollevarsi da terra; una sensazione di leggerezza che rende l’animo appagato; uno stato in cui pensieri cupi e pesanti siano scacciati, come inutile zavorra che non siamo costretti a trasportare.

Il simbolo? Una colomba: mi piace pensare che la pace possa posarsi ovunque…

E voi, come ve la immaginate?

Natale è alle porte: auguri di Buone Feste!

Auguri Buone Feste

Un altro Natale, un altro albero e magari un altro presepe e noi, quanto siamo cambiati dall’ultimo Natale?

Quanti sogni che avevamo nel cassetto sono riusciti a prendere il volo e quanti se ne stanno ancora là, ad attendere la loro occasione?

Stelle, decorazioni, musiche di festa risuonano un po’ ovunque.

Io vi auguro di cogliere il meglio di questo Natale, la gioia sottile e la magia che avvolge la città, le piazze e le vetrine e soprattutto, vi auguro di vivere appieno lo spirito particolare di questa festa.

Lo so, pare sciocco e banale parlare di felicità e di gioia sotto le feste natalizie, sembra di fare eco ai banali e consunti slogan con cui le pubblicità ci bombardano.

Ma credetemi, mai come in questo momento abbiamo un disperato bisogno di aprire il cuore, di amare e accogliere e ricordate: non è mai troppo tardi per vivere il Natale ogni istante della nostra vita.

Auguri e siate molto, molto felici!

Lezioni di creatività #4 Tutto inizia da un’idea!

Idea

Parlare di fumetti per ragionare di tecnica: l’importanza della documentazione.

Mettiamo che abbiate avuto un’idea. E che l’idea sia proprio forte, che ogni volta che tornate a soffermarvi su di lei si arricchisca di particolari nuovi, piuttosto appetibili… È il momento di cominciare a raccogliere materiale. Se i vostri personaggi si muovono sotto la città, guardatevi intorno con molta cura, se vi capita di usare la metropolitana.

Fate ricerche in Internet utilizzando come chiavi di ricerca frasi del tipo tunnel sotto la città o mappe fognarie, ma anche un generico cunicoli, bunker, sopravvivere al 2012. Non ricaverete soltanto informazioni di massima ma, soprattutto, la possibilità di nuovi spunti per la storia che ancora non sapete di possedere.

Questa non sarà una documentazione vera e propria (operazione che farete cercando informazioni molto più mirate) ma il primo nutrimento visivo dello spunto narrativo che dovete sviluppare. Segnatevi sempre le fonti particolarmente ricche, che vi hanno ben impressionato, nonostante, magari, non c’entrino nulla con l’argomento che avete intenzione di trattare: domani sarete felici d’averlo fatto.

PERSONAGGI, NEMICI E SPALLE.

Può darsi che vi sembri strano che io cominci a parlarvi di come si costruisce un personaggio, piuttosto che di come si assembla una storia. In realtà, non lo è. Lo sceneggiatore di fumetti ha solo due sbocchi: o i personaggi (quindi le storie) esistono già o ne crea lui ex-novo. Se l’idea è proporsi come autore/ sceneggiatore (non sempre si ricoprono entrambi i ruoli: nel caso di Diabolik, difficilmente il soggettista è anche sceneggiatore) di un fumetto seriale (l’esempio più diffuso lo abbiamo con i prodotti Sergio Bonelli Editore) la prima operazione da effettuare è studiare il personaggio.

Voglio sperare che a nessuno venga in mente di ripetere certe ignobili figure fatte anni addietro da sedicenti aspiranti sceneggiatori di fumetti che, alla domanda “Quali fumetti leggi?” ebbero il coraggio di rispondere che non ne leggevano perché non avevano tempo. Peggio ancora, qualcuno asseriva candidamente di “voler fare fumetti in attesa di qualcosa di più serio”. Vi risparmio tutta una serie di commenti che mi nascerebbero dal profondo del cuore.

Mettete in conto che, se volete lavorare con un prodotto seriale già esistente, dovrete vedervela con un editor o facente funzioni. Spesso è il responsabile della serie, qualche volta il suo braccio destro, ed è sempre e comunque una rogna (se non proprio una ca-rogna).

Difficilmente è un raccomandato incompetente, superficiale e fatuo, ma questo non migliora la vostra situazione (quella della casa editrice sì): vi scontrerete con un pezzo di granito, spesso altrettanto comunicativo, molto più predisposto a usare il bastone invece della carota. Spazziamo via qualunque ambiguità: LUI HA RAGIONE. Non perché siate in torto voi, ma perché l’editore ha deciso di lasciare a lui facoltà di scelta su autori e storie e su questo investe discrete somme ogni mese.

Nessuno mette in discussione che le idee di un esordiente possano davvero essere buone, deflagranti e innovative, ma difficilmente saranno prese in considerazione: quando ci si avvicina a un personaggio è consigliabile rimanere nei solchi della tradizione, inserendo al massimo un colpo di scena per storia.

Riceverete un sacco di rifiuti.

Anzi, a voler essere onesti i professionisti del settore affermano di aver ricevuto più rifiuti che risposte affermative. Ricordatevelo, quando sarete furiosi (o terribilmente infelici, a seconda di quella che è la predisposizione personale) perché vi avranno cestinato la storia perfetta. Prima riuscirete a dotarvi di una robusta crosta psicologica, meglio sarà; e questo non vi autorizza assolutamente a peccare in senso opposto, cioè a credere di essere sopra chiunque altro e che qualunque rifiuto sia dettato da invidia o manifesta incapacità.

Uno sceneggiatore famoso (rubacchiando un pensiero di Angelo Branduardi rivolto al mondo delle produzioni musicali) ha raccolto in una frase il difficile equilibrio interiore che ci dobbiamo sforzare di raggiungere quando ci esponiamo al giudizio professionale degli altri: “… per affermarsi nel mondo del fumetto è necessario possedere il 20% di talento. Il restante ottanta è questione di carattere, e non sono affatto convinto che ribaltando le proporzioni possiamo ottenere lo stesso risultato”.

In realtà, credo che il ragionamento sia applicabile a qualunque professione creativa; proprio perché si tratta di professioni. Nessuno obbliga uno scrittore a misurarsi col giudizio altrui, ma se si decide di uscire dalla dimensione diaristica o dalle protettive quattro mura della propria stanzetta la faccenda cambia.

Bisogna acquisire GLI STRUMENTI e, specie se ci avviciniamo a un prodotto già esistente come il fumetto seriale, dobbiamo smettere di essere fans e ragionare come autori.

Questo non significa che dovrete smettere di divertirvi.

Solo, se riuscirete a fare le cose per bene e avrete una carriola di fortuna, qualcuno vi pagherà per farlo. Adesso studiamo la costruzione di un personaggio.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #4 L’alfabeto che rivoluzione!

caratteri alfabeto colorati

Scrittura cuneiforme, geroglifici e caratteri cinesi consentono di trascrivere sia parole intere sia sillabe, ma con questi sistemi, scrivere e leggere implica la conoscenza di una grande quantità di segni o caratteri.

Mille anni prima della nascita di Cristo però, si verifica una vera e propria rivoluzione che già si preparava da tempo: l’invenzione dell’alfabeto.

L’alfabeto consente di scrivere tutto con una trentina di segni.
In realtà, anche il nostro alfabeto di ventuno lettere, non traduce tutti i suoni, ma ventuno lettere sono meno: delle diverse centinaia di geroglifici; dei mille caratteri da tenere a mente per un cinese; dei seicento segni cuneiformi assimilati dagli scribi in Mesopotamia.
L’alfabeto, inoltre, allarga le possibilità delle persone di accedere al sapere.

Il primo modello di alfabeto è fenicio.

La scrittura fenicia si diffonde in Grecia, qui vengono ritrovati dei frammenti di argilla, ma non si sa da dove provengano questi caratteri.

L’alfabeto fenicio non ha vocali, solo consonanti.
Essendo mercanti e navigatori, i fenici vengono a contatto con tutti i popoli del bacino del Mediterraneo e grazie a questi scambi, il loro alfabeto si diffonde.

Intorno all’VIII secolo a.C. nel paese di Aram (attuale Siria) compare un alfabeto “aramaico”, simile a quello usato dai Fenici.

Scrittura e lingua aramaica sono importanti perché con esse verranno scritti alcuni libri dell’Antico Testamento. Gran parte di quest’opera però, ci è arrivata in un’altra lingua: l’ebraico. Nella sua forma primitiva, questa scrittura non trascrive le vocali e si legge da destra a sinistra.

L’ebraico quadrato, cioè l’antico ebraico, non si è modificato in modo significativo nel corso dei secoli. Questa scrittura usa accanto alle maiuscole (incise su monumenti e presenti sui sacri rotoli della Bibbia) delle lettere corsive usate nella vita di tutti i giorni.

La storia della scrittura è intrecciata come una saga familiare.

Arabo ed ebraico discendono dal fenicio, ma non conosciamo ancora molto del passaggio dall’uno agli altri.
Agli albori della nostra era, le popolazioni arabe del nord usavano una scrittura che non era più fenicia ma non era ancora araba.

Le prime iscrizioni arabe sono databili attorno al 512-513 d.C.

Nel 622, Maometto fugge dalla Mecca per rifugiarsi a Medina: questa data segna l’inizio dell’Egira, l’era musulmana.

la storia continua…