Indagare? Un’opera di fede. Singolari figure di detective

Saturno cappello prete

Che cosa ne pensate della figura del sacerdote-investigatore?

A giudicare dalle serie che circolano in televisione, direi che questa singolare figura di detective riscuota un notevole successo sia nei libri che in TV.

Penso alla serie dei gialli con protagonista Padre Brown (tratta dai libri dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton), al più recente Don Matteo o ancora,  alla serie inglese Grantchester (tratta dal ciclo di romanzi “The Grantchester Mysteries” di James Runcie) che ha come protagonista un sacerdote anglicano, Sidney Chambers; senza dimenticare poi, altri soggetti le cui storie sono ambientate in periodi storici più remoti.

In effetti, la figura di un sacerdote alle prese con delle indagini poliziesche è un ottimo accostamento: chi può conoscere meglio l’animo umano di un prete abituato ad armeggiare con il materiale umano e allenato a scrutare oltre l’apparenza per arrivare a sondare i lati più oscuri dell’animo umano?

Alla fine, queste storie che hanno come protagonisti investigatori con la tonaca vedono la netta distinzione tra giustizia terrena e giustizia divina.
A un certo punto, le due strade, quella della polizia e quella “ecclesiastica” che indagano si dividono. Entrambi i rappresentanti delle due istituzioni fanno il proprio lavoro: chi vuole assicurare alla legge il criminale e chi vuole redimerlo, ma il viaggio fino al punto dello svelamento è davvero interessante.

Di solito, assistiamo a divertenti scaramucce tra il sacerdote e il rappresentante ufficiale della giustizia, fino a una resa più o meno evidente, di fronte alla soluzione del caso che, ovviamente, viene brillantemente risolta dal detective dilettante (che proprio dilettante non è).
Queste baruffe servono a rendere più interessante la storia, allentano la tensione e offrono spesso spunti comici, donando vivacità alle storie e facendo da riempitivo nei momenti in cui l’indagine langue.

Inoltre, una buona parte di questi sacerdoti, oltre a una notevole intelligenza e astuzia, sono dei tremendi ficcanaso, la loro curiosità li rende ancora più simpatici e quando prendono (in buona fede, per carità) per i fondelli il rappresentante della legge di turno, non possiamo far altro che stare dalla loro parte e sorridere di quanto accade.

In ogni caso, questi preti-investigatori, impiccioni e arguti, agiscono sempre a fin di bene, in fondo, fanno solo la volontà di Dio…

Sehnsucht: parole in tedesco impossibili da tradurre

 SehnsuchtDa quando tanti anni fa ho iniziato a studiare tedesco ciò che mi ha affascinato è stata la grande potenza espressiva di questa lingua, apparentemente considerata fredda o arida da chi non la conosce.

Ciò che mi ha stimolato particolarmente (perché non si finisce mai di imparare) è stata la capacità di questa lingua di essere “assemblata” come un vero e proprio Lego e allo stesso tempo di essere estremamente espressiva e profonda grazie a questa caratteristica.

In questo periodo sto leggendo un libro che si intitola “Anna. Sehnsucht“: l’ho scelto perché ero curiosa di conoscere in che cosa consistesse questo sentimento che prova la protagonista del libro.

Ho imparato a conoscere l’espressione “Sehnsucht” quando studiavo il Romanticismo perché viene da sempre utilizzato per descrivere il sentimento provato dagli esponenti di questo movimento letterario e artistico che erano sempre alla ricerca di qualcosa apparentemente inafferrabile, ineffabile. Ed ecco che entra in gioco questa bellissima, a mio modo di vedere, caratteristica della lingua tedesca: creare parole composte che hanno la capacità di descrivere perfettamente qualcosa ma che non sono traducibili in nessun’altra lingua.

Sehnsucht” infatti è una parola formata da una parte del verbo sich sehnen che significa sia avere nostalgia di qualcosa che desiderare fortemente o meglio anelare a qualcosa. La seconda parola è Sucht, ovvero dipendenza. In una parola il tedesco è stato in grado di racchiudere un concetto che in altre lingue è impossibile da spiegare in una sola parola.

Ma che cos’è quindi la Sehnsucht provata da Anna, la protagonista del libro?
È la voglia, il desiderio di raggiungere un obiettivo per lei imprescindibile, ovvero fuggire dalla sua vita grigia nella DDR per realizzare il suo desiderio: lavorare nella moda. E questo sarebbe stato possibile soltanto fuggendo da Berlino Est.

Penso che ognuno di noi in fondo è “affetto” se così si può dire dalla Sehnsucht così come lo erano i poeti romantici o la stessa Anna… una sensazione a volte ineffabile, incomprensibile che proviamo quando ci troviamo di fronte ad un bellissimo tramonto, al mare o alle montagne innevate: come esseri umani siamo sempre alla ricerca di qualcosa che ci renda felici e ci faccia sentire realizzati. A volte tutto questo si nasconde in un incontro casuale, un’amicizia che si crea sulla base di interessi comuni, un lavoro che ci soddisfa, godere delle piccole cose della vita in una società sempre più frenetica.

Questa Sehnsucht caratterizza anche la mia personalità, ma ho sempre cercato di trasformarla in qualcosa di positivo. La mia curiosità ha trovato un terreno fertile proprio nel tedesco che con le sue tante sfumature mi offre ogni giorno la possibilità di imparare qualcosa e non smettere mai di voler conoscere e sapere. E poi mi ha riservato in questi anni incontri con persone che poi sono diventate amiche e spero lo saranno sempre. Forse perché la mia anima così “sehnsüchtig”, così appassionata riconosce subito le persone che sono sulla stessa lunghezza d’onda.

Angela De Pace Musicista: dal canto all’insegnamento e di nuovo al canto

musica e strumenti

Gli scrittori sono un po’ come gli investigatori: attenti ai dettagli e a ciò che succede attorno a loro. In un certo modo, chi scrive si intrufola nella vita degli altri e molti scrittori ammettono di attingere dal quel generoso magazzino per creare personaggi e costruire storie.

Ho deciso, quindi, di inaugurare una nuova rubrica in cui si evidenziano i pensieri e le riflessioni di chi opera nel campo della cultura in generale, e della scrittura in particolare, iniziando dallo stretto ambito di amici e conoscenti, senza preclusioni nei confronti di altri personaggi con i quali verrò in qualche modo in contatto. Del resto, molte persone che si incontrano casualmente ogni giorno possono essere potenziali personaggi per un nuovo libro, dal momento che le peculiarità individuali possono meglio risaltare in uno scambio fecondo di idee ed esperienze, come accaduto con Angela De Pace, musicista che conosco da molti anni e che incontro in un’aula dell’ Associazione “Artemusica” in Falconara M.ma (An), mentre sta eseguendo al pianoforte“Fly Me To The Moon”. Nella rievocazione della voce melodiosa di Ella Fitzgerald, penso che non può esserci modo migliore per iniziare un’intervista il cui tema centrale è la musica, il filo conduttore delle sue esperienze di vita. Diplomata al Conservatorio, dopo aver fatto concerti, audizioni e master di canto lirico, Angela si dedica da diversi anni all’insegnamento presso l’Associazione “Artemusica” di cui è anche Presidente.

Qual è secondo te il ruolo della musica nella cultura, oggi?
È una domanda complessa: io lavoro sia con i bambini sia con i ragazzi e mi trovo in difficoltà a rispondere a questa domanda. Per me, la musica è un elemento fondamentale nella vita dei ragazzi e adolescenti: abitua a stare con la gente, accresce la fiducia nelle proprie possibilità, rasserena gli animi. Qualunque progetto di studio o di scelta lavorativa faccia, un ragazzo trova nella musica occasione per esprimersi senza limitazioni, anche di tipo psico-fisico, come avviene con i ragazzi portatori di handicap che frequentano la nostra scuola.

Qual è stato il percorso per costituire l’Associazione?
Quando è nata, io non ne facevo ancora parte. È stata un’idea di giovani diplomati e laureati al Conservatorio “Rossini” di Pesaro e al Conservatorio di Pescara, per fare musica ed insegnare musica a Falconara, trovando nell’Amministrazione comunale del tempo un sostegno logistico ed economico. I corsi si tenevano all’epoca nei locali del vecchio Municipio, per essere trasferiti, poi, nei locali di un edificio appositamente costruito, tramite gara di appalto. Nel 1992, constatando la positiva risposta dei cittadini ai servizi offerti dalla scuola, fu deciso di costituire l’Associazione “Artemusica” che ha potuto sottoscrivere Convenzioni con il Conservatorio di Pesaro, per preparare professionalmente i ragazzi che frequentano i corsi dell’Istituto musicale “Federico Marini”, nuova denominazione assunta dalla Scuola. Nel 2016, poi, abbiamo aderito a Marche Music College, una rete formativa diffusa che offre ai propri allievi l’opportunità di accedere, ovunque risiedano, alle attività didattiche e ai corsi di formazione attivati. Per ultimo, si sono svolte audizioni per formare un’orchestra, con aspiranti venuti da tutto il mondo.

Quali sono le più recenti attività dell’Associazione “Artemusica”?
Tra gli ultimi lavori intrapresi, mi piace ricordare i “master jazz”, con ospiti di fama mondiale, che hanno avuto un’entusiastica risposta, soprattutto da parte dei giovani.
Inoltre, il nostro Coro di voci bianche ha partecipato anche quest’anno all’ultima stagione lirica al Teatro delle Muse di Ancona, nell’opera “Tosca”. Fra poco inizieranno i preparativi per l’indizione del concorso “Premio Federico Marini” che quest’anno è stato posticipato a novembre per motivi organizzativi e al quale possono partecipare candidati di varie fasce di età: bambini dai 5 anni, ragazzi e adulti fino a 30 anni.

Raccontaci qualcosa della tua esperienza con i bambini e il coro delle voci bianche.
È sempre interessante lavorare con i bambini e quest’anno, per la prima volta, ho introdotto nelle mie lezioni l’esperienza dell’ascolto. Prima di iniziare la vera e propria lezione di coro, faccio ascoltare per circa mezz’ora della musica, da quella del ’400 fino ai giorni nostri, inserisco un brano che non conoscono, stanno in silenzio e ascoltano, poi fanno domande e mi rivelano le loro preferenze. Ottenere la piena attenzione degli allievi è un risultato di tutto riguardo, oltre alla soddisfazione di vederli ascoltare coscientemente la musica.

Progetti futuri?
Ne abbiamo tantissimi. Quello più importante, almeno per me, è di realizzare un coro professionale di voci bianche., ma anche riuscire a far diventare la scuola un vero e proprio punto di riferimento per futuri jazzisti di talento e per giovani musicisti, costituisce un ambito traguardo. Per dare maggior peso e prestigio alla struttura, abbiamo recentemente cambiato lo Statuto denominandola Istituto musicale “Federico Marini” – Associazione musicale “Artemusica”.

Il sogno personale di Angela?
Dar vita ad un coro formato sia da voci bianche sia da ragazzi, in grado di cantare di tutto, dal repertorio sinfonico a quello sacro e a quello moderno, i cui componenti, prima che cantanti, siano dei musicisti. A tal fine, sto scrivendo un trattato di canto, il cui titolo “…è alta…”, tratta dall’interazione pronunciata dagli allievi nel momento in cui si fermano improvvisamente durante l’esercizio di un vocalizzo per le difficoltà di una che deve essere cantata “alta”. A forza di sentire questa frase, ho pensato che possa diventare il “simbolo” delle difficoltà che incontrano i cantanti alle prese con tessiture difficili e dell’impegno che devono profondere per migliorare e diventare dei professionisti.

Invece, Angela cantante?
(sorridendo) Angela, più che cantante si sente musicista, senza voler togliere nulla ai cantanti. Ai miei allievi dico sempre che il canto è uno strumento musicale pieno di mistero, che per essere messo a punto richiede tanto sacrificio. Studiare canto è davvero faticosissimo. La voce è lo strumento invisibile che sta dentro di noi, per questo è difficile lavorarci e lo è ancor di più quando non è il tuo. Le difficoltà dei musicisti nell’esprimersi, sono le stesse, ma enfatizzate perché nella voce c‘è la componente emotiva che vi traspare in maniera ancora più individuale.

Angela sorride di nuovo, quando suggerisco che il cantante è anche un po’ psicologo, e aggiunge: Me lo dicono in molti!

Credo sia come scavare per portare la voce all’esterno, ribatto, e Lei conferma: Scavare è un’operazione anche nella tecnica vocale. Ribadisco continuamente con i miei allievi: scaviamo, scaviamo, scaviamo, e a forza di scavare, oltre ai problemi tecnici, vocali, emergono anche quelli caratteriali. Il canto diventa, a volte, anche un modo per curare le difficoltà e le problematiche di ordine psicologico.

Per chi volesse conoscere le attività e gli eventi organizzati dall’Associazione “Artemusica”: www.facebook.com/groups

Libreria Libri e Libri: chiude (anche) la libreria della mia città

Libreria Libri E Libri Falconara

Libreria Libri e Libri, via Flaminia 508 – Falconara Marittima (Ancona)

In questi tempi bisognerebbe istituire una fascia a lutto speciale per ogni libreria che chiude, perché ognuno di questi luoghi “sacri” che è costretto a serrare le porte è indice di una morte, la morte di uno spicchio di cultura.

Se poi a chiudere è la libreria della tua città, se la diligente commessa in quella libreria era diventata tua amica, dopo prolungate e piacevoli soste a cercare nuovi libri da leggere, allora la tragedia è doppia.

I libri sono oggetti personali e chi ti consiglia, giorno dopo giorno, finisce per diventare un’amica, una confidente preziosa, perché deve conoscerti molto bene, altrimenti come potrebbe consigliarti letture che ti faranno sognare o che ti manterranno saldamente con i piedi a terra?

Sembra non si possa fare nulla per queste piccole morti e anche io, purtroppo, non ho soluzioni.
Vorrei solo far riflettere su quanto sta accadendo attorno a noi.

Ci sono segnali netti di uno sfaldamento, di un problema grave di fondo, se a ogni crisi a pagare le spese in prima fila c’è sempre la cultura, come se fosse una cosa superflua, inutile, mentre la cultura è alla base di tutto e quando agonizza e muore sono la nostra identità, la nostra consapevolezza, le nostre possibili realizzazioni future che muoiono con lei.

Un concerto jazz: coinvolgenti narrazioni fatte di note

Manifesto concerti jazz 2017

Ripenso con piacere al concerto jazz di ieri sera, a Falconara presso la scuola Artemusica; ripercorro con la mente le sensazioni che ho provato mentre ascoltavo le melodie dipanarsi.
A tratti il ritmo cullante riportava al lento e inarrestabile movimento delle onde, in altri momenti il ritmo dato da figurazioni puntate creava un’energia scattante, un’elettricità che era impossibile ignorare, quasi una sensazione fisica che si diffondeva seducente dai musicisti al pubblico presente.

Vorrei essere capace di creare un tessuto di parole che possa anche solo lontanamente richiamare l’intreccio sapiente di pianoforte, contrabbasso, batteria e voce del concerto jazz al quale ho partecipato.

Vorrei poter tradurre il basso ostinato del contrabbasso che in un brano ha dato il via alla composizione musicale, trascinando gli altri strumenti in un’elaborata costruzione, dove cascate di note del pianoforte erano sostenute da un ritmo serrato della batteria e la voce di Diana Torto (questo il nome della cantante) si stagliava regina su questo paesaggio sonoro e al tempo stesso si fondeva nella miscela, aggiungendo l’ultimo prezioso elemento per una perfetta narrazione.

Molti degli interventi di Diana Torto erano privi di parole, monosillabi ripetuti e variati a richiamare le sonorità di strumenti jazz; con questo “gioco” la cantante riusciva a creare la meraviglia ineccepibile di un improbabile strumento fatto di corde vocali e anima.

Perché le narrazioni non sono fatte solo di parole, ma anche di tutto quello che si riesce a percepire tra le righe, è quella vibrazione che afferriamo con i sensi e portiamo dentro di noi.
Questa vibrazione a volte è più forte, altre, delicata, ma credo che possa essere compresa a fondo solo con l’anima, un’anima attenta che trasforma sensazioni e intuizioni in pensieri concreti.

Schreiben: ein komplizierter Beruf

Schreiben

(Übersetzung von Daniela Carbini)

Schreiben ist ein komplizierter Beruf.

Man muss so viele Daten wie möglich aus der Umgebung und jeden Gedanken für die Zukunft aufbewahren.
Die Informationen über Natur und Menschen sind unschätzbare Werte, sie sind ein fruchtbarer Boden, aus den wir Geschichten ableiten können, aber es gibt auch die andere Seite der Münze: in diesem weiten Bereich, müssen wir die richtige Wahl treffen.

Neben der Fähigkeit zu beobachten, eine wesentliche Qualität für Schriftsteller, ist es auch notwendig zu filtern, was aus der Außenwelt kommt: Eine weitere Voraussetzung für gutes Schreiben.

Zuallererst wählen man alles was wir jeden Tag durch die Sinne wahrnehmen, dann baut man eine Geschichte, unter Berücksichtigung der Wenden und des allgemeinen Trends. Dann überprüfen wir, was wir zur Verfügung haben: Wir teilen und verfeinern die Sätze und wägt mit Akribie die Wörter ab, mit denen wir uns ausdrücken. Schließlich, bleiben nur die genauen Wörter, die mit Präzision unsere Botschaft dem Leser mitteilen können, auch die Nuancen, die jeden Satz, jedes Wort und sogar jedes Satzzeichen prägen.

Für einen Zeitraum habe ich Gesang gelernt und ich erinnere mich noch an eine Empfehlung meiner Lehrerin über die Lage der Klänge.
Sie sagte, wenn man einen höhen Ton erreicht, muss die Stimme zu einem imaginären Punkt gehen. Je besser wir den Klang an diesen imaginären Punkt richten, desto mehr ist der Klang in der richtigen Lage.
Die Stimme ist ein unscheinbares Wesen in Körper und gültige Bezugspunkte sind erforderlich, um sich zu orientieren. Diese Punkte sind nicht real, aber unser Gehirn verwendet sie, um die Töne zu kontrollieren und sie besser zu stellen.

Warum dieses Beispiel?
Weil ich heute an die unentbehrliche Sorgfalt für gutes Schreiben dachte und ich habe mich diesen unscheinbaren Punkt auf der Stirn als Ziel vorgestellt. Durch diesen Punkt, der als Filter dient, müssen Gedanken, Gefühle gehen um dann eine Geschichte zu werden.

Schreiben ist also der extreme Versuch, ein Kamel durch das Nadelöhr gehen zu lassen.

 

Saverio Santoni: quando la musica è una scelta di vita

organo chiesa

Gli scrittori sono un po’ come gli investigatori: attenti ai dettagli e a ciò che succede attorno a loro.
In un certo modo, chi scrive si intrufola nella vita degli altri e molti scrittori ammettono di aver attinto per creare i loro personaggi e costruire delle storie dal generoso magazzino della vita.
Perciò, ho deciso di inaugurare una serie di interviste, una nuova rubrica in questo calderone di notizie, pensieri e riflessioni che ruotano attorno alla scrittura e alla cultura in genere.
Al momento, ho deciso di investigare nel giro stretto dei miei amici e conoscenti, e mi riservo di includere in futuro altre persone interessanti con cui entrerò in contatto in qualche modo.
Il mio è un progetto ambizioso e non so se riuscirò nel mio intento; vorrei poter mostrare lo scopo più profondo di chi scrive: l’unicità di ogni essere umano e di ogni storia.
Del resto, molte persone che si incontrano casualmente ogni giorno possono essere potenziali personaggi per un nuovo libro.
Io ho voluto, a modo mio, dar voce a queste persone comuni, ma per me speciali, che affrontano come tutti noi, difficoltà e scelte impegnative ogni giorno.

Saverio Santoni è un organista e compositore di notevoli capacità.
Lo conosco da diversi anni e apprezzo, oltre alla sua bravura, la modestia che lo contraddistingue.
Anche lui fa parte di quel “sottobosco” di persone comuni, ma non troppo. Persone speciali che non sono famose solo perché non hanno ancora raggiunto la notorietà che meriterebbero.

Qual è stato “l’evento scatenante” che ti ha portato a dire a te stesso: voglio fare il musicista?
Premetto che sono sempre stato abituato alla musica avendo il pianoforte in casa (di mia madre), su cui da piccolo improvvisavo melodie per lunghe ore… Poi un giorno mi sono trovato in un’aula della Scuola Pergolesi di Jesi, la mia città, e ho visto una tastiera: quello strumento, simile al pianoforte ma decisamente più tecnologico (il display, i tasti dei comandi numerici, i controlli dell’equalizzazione…) mi aveva affascinato così tanto da decidere di prendere lezioni di musica.

Perché tra tanti strumenti musicali hai scelto proprio l’organo a canne?
La decisione venne gradualmente, mentre studiavo ancora tastiera, sentendo dei dischi e curiosando su qualche enciclopedia: inizialmente chiesi al mio parroco di farmi vedere l’organo che avevamo in chiesa, poi mi offrii per suonare alle messe della domenica, e infine decisi di iscrivermi al Conservatorio.
Credo di essermi avvicinato all’organo per il fatto che, come la tastiera elettronica, è una “macchina con tanti comandi”: padroneggiare questo strumento che ha tante tastiere, la pedaliera, registri con canne di ogni forma, lunghe da 20 metri (o più) a pochi millimetri, ti permette di creare sonorità stupefacenti, dalle più forti alle più misteriose e delicate.

C’è una corrente musicale, un periodo specifico, o qualche autore che prediligi?
Ci sono dei generi, a cui sono più abituato, che mi prendono più dal lato “emotivo” (la musica sinfonica, in particolare quella tra ‘800 e ‘900, l’opera, la musica da film). Altri invece mi incuriosiscono, come la musica contemporanea, la musica leggera di oggi… e più passa il tempo più mi stimolano ad ascoltare altri brani dello stesso stile.
Credo che la musica che ti arriva veramente sia quella che ti spinge a produrre, in qualche modo, della “tua” musica (che si tratti di cantarla sotto la doccia, suonarla, o comporla!). In ogni caso l’esperienza da musicista ti insegna, col tempo, a valorizzare qualunque musica cui tu vada incontro.

Quali sono a grandi linee le difficoltà che incontra un musicista sia tecniche, legate alla professione, sia pratiche, quando finito il percorso di studi entra nel complesso mondo della promozione e affermazione del proprio lavoro?
Secondo me sono due le difficoltà in particolare: una è riuscire a “farsi notare”, proponendoti a un numero crescente di persone (sacrificando del tempo per lo studio… ma anche per allacciare contatti, se necessario), l’altra è quella di saper adattare le tue capacità alle richieste che giungono… In ogni caso devi avere un’idea chiara di quali sono le tue potenzialità e quegli aspetti che, nella tua personalità musicale, ti distinguono dagli altri.

Che cosa ami di più della tua professione di musicista e compositore?
Il fatto che fare musica ti emoziona ogni volta, ma allo stesso tempo ti mette alla prova: se nella tua attività il divertimento e la curiosità si rinnovano, vuol dire che la strada è giusta.

Che cosa cambieresti del tuo percorso fin qui e cosa lasceresti invariato?
Col senno di poi avrei iniziato prima lo studio della composizione… ma in realtà lo stesso spirito di gioco che avevo una volta, nel comporre, ce l’ho ancora oggi!

Saverio suonerà a Falconara (AN) il 14 maggio 2017.
Per chi desiderasse intervenire: www.facebook.com/events

Scrittura: alcuni semplici ingredienti per rendere una storia più realistica

Ingredienti ricetta cucina

Linguaggio comune, spezzoni in semi-dialetto, scene e gesti quotidiani sono alcuni degli ingredienti che aiutano a rendere una storia più realistica e piacevole, oltre a fornire un sistema infallibile per far entrare il lettore nella storia e coinvolgerlo con più efficacia nel corso degli eventi.

Mentre rifletto su questi “espedienti”, penso a Maurizio de Giovanni e ai suoi gialli ambientati a Napoli negli anni ’30. Nelle sue storie l’umanità “la fa da padrone”, a cominciare dai personaggi e dalle loro vite semplici con risvolti a volte comici e a volte dolorosi.

Prendiamo ad esempio, il commissario Ricciardi che osserva dalla finestra (riguardo alle finestre e alla loro particolarità: finestre fonte insolita di ispirazione) la sua dirimpettaia di cui è innamorato, mentre la donna riordina la cucina o ricama: un appuntamento serale, la cui semplice e irrinunciabile regolarità è una garanzia nella vita tormentata dell’uomo.
Oppure il brigadiere Maione che vive in simbiosi con il suo superiore e che non manca di mostrare il suo lato umano attraverso battute colorite o gesti di delicatezza e rispetto rivolti alla sua famiglia e spesso, anche agli estranei.
O ancora, il medico legale, Bruno Modo e le sue scaramucce con il commissario o con il brigadiere condite di ironia e sarcasmo che fanno da contrappunto all’orrore e alla violenza, mitigando il clima in cui i tre uomini lavorano costantemente.

Mentre leggo e seguo con attenzione le storie e i loro interessanti intrecci, mi ritrovo a valutare molte altre cose che possono essere d’aiuto alla scrittura, ad esempio, elaborare una narrazione più aderente alla realtà, per far sentire il lettore sempre più coinvolto mentre scorre le pagine.

Non credo ci sia una ricetta valida per tutto e per tutti, penso invece sia indispensabile raccogliere briciole lungo la strada per raggiungere l’obiettivo, quello di scrivere bene, di essere chiari e interessanti al tempo stesso.
Queste briciole sono un po’ dovunque nelle letture che facciamo e occorre grande attenzione per trovare gli ingredienti giusti per una buona scrittura e per capire come assemblare il tutto nel modo più efficace.

Ognuno deve trovare la propria ricetta, ma studiare “i piatti cucinati dagli altri” quelli eccellenti, ma anche quelli mediocri aiuta: per imparare, per crescere, per sviluppare il proprio talento. Quindi, leggete e soprattutto, meditate su quello che leggete…

Giuliana Ascani: la giornata di un… consulente finanziario

Consulente finanziario alla scrivania

Gli scrittori sono un po’ come gli investigatori: attenti ai dettagli e a ciò che succede attorno a loro.
In un certo modo, chi scrive si intrufola nella vita degli altri e molti scrittori ammettono di aver attinto per creare i loro personaggi e costruire delle storie dal generoso magazzino della vita.
Perciò, ho deciso di inaugurare una serie di interviste, una nuova rubrica in questo calderone di notizie, pensieri e riflessioni che ruotano attorno alla scrittura e alla cultura in genere.
Al momento, ho deciso di investigare nel giro stretto dei miei amici e conoscenti, e mi riservo di includere in futuro altre persone interessanti con cui entrerò in contatto in qualche modo.
Il mio è un progetto ambizioso e non so se riuscirò nel mio intento; vorrei poter mostrare lo scopo più profondo di chi scrive: l’unicità di ogni essere umano e di ogni storia.
Del resto, molte persone che si incontrano casualmente ogni giorno possono essere potenziali personaggi per un nuovo libro.
Io ho voluto, a modo mio, dar voce a queste persone comuni, ma per me speciali, che affrontano come tutti noi, difficoltà e scelte impegnative ogni giorno.

Giuliana Ascani è consulente finanziario da più di venti anni.
Una professione impegnativa e piena di responsabilità, ma anche molto gratificante.
La prima domanda che mi è venuta in mente, pensando al suo lavoro, è stata: come si svolge la tua giornata?

La mia giornata inizia con il consultare la posta aziendale per essere sempre informata su novità, appuntamenti e impegni vari.
Intorno alle nove mi reco in ufficio, qui incontro la mia segretaria, insieme programmiamo le cose da fare per la giornata e le visite che farò nel pomeriggio.
Normalmente prendo appuntamento con tre, quattro persone al giorno e prima di incontrarle, studio con cura l’andamento del loro portafoglio e controllo se i loro obiettivi sono in divenire.
Prendo contatti quotidianamente per gli incontri futuri, controllo le urgenze e predispongo la pianificazione del mese; la mia segretaria appronta i contratti cartacei e telematici in base alle proposte che io ho già preparato e, successivamente, incontro i clienti presso la loro azienda o in famiglia oppure nel mio studio.

Che cosa ti piace di più del tuo lavoro?
Il mio lavoro si basa sulla formazione personale e sull’educazione finanziaria del cliente: mi assicuro che i miei clienti comprendano con chiarezza quello che si fa insieme per la crescita del patrimonio.
Mi piace molto incontrare persone nuove, oltre ai clienti che seguo già da tempo, informarmi sui loro progetti, conoscere bene cosa fanno e quali sono le loro esigenze per poi, individuare insieme gli strumenti finanziari per realizzarle.
Anche la preparazione professionale che la mia struttura mi fornisce è per me un momento molto gratificante.
A Milano, abbiamo un vero campus, dove i migliori docenti universitari ci formano su argomenti che riguardano la nostra professione.
L’ultimo corso al quale ho partecipato è stato di Public Speaking tenuto da un attore teatrale che ci ha insegnato a relazionarci con il pubblico.
Come avrete capito, il mio lavoro è fatto di relazioni, la cosa più bella è conoscere le persone e aiutarle a realizzare i propri sogni e progetti.

Narrare storie è anche questione di ritmo: prezioso alleato o nemico giurato

metronomo e spartito musicale

Narrare storie è indubbiamente una questione di ritmo.

Di sicuro avrete incontrato, e anche più di una volta, l’amico, il conoscente o il parente simpatico che vuole raccontarvi una barzelletta…

La barzelletta, c’è poco da prenderla sotto gamba, è una storia a tutti gli effetti.
Vi sarà capitato di farvi matte risate oppure di dover ridere a denti stretti, per non offendere il narratore di turno.
Perché non tutti riescono a far ridere?

A parte gli errori classici di chi inciampa, chi anticipa il finale o dimentica elementi essenziali della narrazione, esiste un problema di fondo.
La barzelletta, come qualsiasi storia, per funzionare ha bisogno di alcuni elementi: a volte di un antefatto; certamente, di una serie di eventi che si verificano; infine di una conclusione a effetto.

Però, quello che conta di più è il ritmo.
Credo che la barzelletta sia l’esempio più calzante per parlare di questo elemento fondamentale per la riuscita di una storia.
Ne sanno qualcosa i musicisti che vedono spartiti e partiture costellati di diciture sul ritmo: Allegro, Adagio, Grave, Largo, Presto con fuoco...

I compositori, grazie a questi termini specifici, indicano l’andamento di un brano, il suo umore.
Certo, alcuni Allegri sono più allegri di altri (a volte ci sono indicazioni di tempo con il metronomo). Più o meno precise, queste indicazioni descrivono il ritmo del brano che si va ad eseguire con la voce, con uno strumento o più strumenti insieme.

Pensando al ritmo, mi viene in mente una novella del Decameron di Boccaccio, dove una “madonna Oretta” si trova nelle condizioni di far tacere un cavaliere che sta rovinando una bella storia con il suo pessimo narrare.
La donna, sfruttando la metafora del viaggio, fa tacere con poche parole il molesto narratore: “Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè“.

Quindi, se vogliamo evitare che chi ci ascolta o ci legge sia trasportato in malo modo dalle nostre parole, dobbiamo considerare con attenzione il ritmo di una storia, rispettare le sue svolte, le sue variazioni in base agli eventi o persino agli umori mutevoli dei personaggi.

Il ritmo, torno a dire, è un elemento indispensabile per scrivere una storia che funzioni.
Pensate ad esempio, alla sensazione di tensione che si prova leggendo certe pagine di un thriller, dove gli eventi si incalzano l’un l’altro o all’opposto, la sensazione distensiva che proviamo leggendo la descrizione di un paesaggio.

Non bisogna mai sottovalutare il ritmo: prezioso alleato se usato in modo corretto, nemico giurato se non si dà ad esso la giusta importanza quando si costruisce una storia.