L’arte di pescare aringhe rosse nei gialli che più gialli non si può

Immaginate di essere un detective alle prese con un caso intricato. Seguite una traccia che sembra promettente, raccogliete indizi, formulate teorie… e poi, ta-da! Scoprite che era tutto un abbaglio, una deviazione studiata ad arte dall’autore per portarvi fuori strada. Ecco, avete appena abboccato a un’aringa rossa!

L’aringa rossa è il depistaggio, è quel dettaglio (cosa, persona, situazione) che ha il compito di distrarre il lettore, facendogli credere di essere sulla buona strada per scoprire qualcosa… quando in realtà non è così. È come guardare il gioco di un illusionista.

Crea suspense, ingaggia il lettore coinvolgendolo nell’indagine, sostiene il ritmo, amplifica l’effetto di quando ci sarà davvero il colpo di scena.

Ma perché proprio un’aringa e non un granchio?

La tradizione vuole che i cacciatori usassero proprio le aringhe affumicate (che nel processo assumevano un colore rossastro) per addestrare i loro cani. Trascinavano questi pesci sul terreno per creare false piste e insegnare ai cani a non farsi distrarre durante la caccia. Oppure venivano usate per distrarre i cani dei concorrenti… Da qui, il termine è passato alla letteratura per indicare quegli elementi della trama inseriti appositamente per sviare il lettore.

L’aringa rossa è uno strumento prezioso – direi un passaggio obbligato – per gli scrittori di gialli, thriller e mystery.

Ma attenzione: come in cucina, anche in narrativa il segreto sta nel dosaggio. Una falsa pista ben piazzata deve essere:

  • abbastanza convincente da attirare l’attenzione del lettore e distrarlo dal vero colpevole o dall’indagine
  • sufficientemente integrata nella trama da non sembrare posticcia
  • non troppo ovvia da risultare banale
  • non così dominante da far perdere di vista la vera storia
  • non ripetuto allo sfinimento da far perdere fiducia al lettore.
    Facile no?
“Ah, ma io sapevo che quello era il McGuffin!”
Eh no, sapevi male.

Il McGuffin è un altro espediente narrativo ancora. Il McGuffin è qualcosa (un oggetto) che tutti i personaggi vogliono disperatamente, ma il contenuto in sé non è importante per la storia. Classico esempio: la valigetta di Pulp Fiction.

Il McGuffin serve a far muovere la trama (è il motivo per cui i personaggi agiscono) mentre l’aringa rossa serve a ingannare il lettore distraendo dalla vera direzione della trama (è una falsa pista, abbiamo detto, no?). Il McGuffin resta importante fino alla fine (anche se poi il suo contenuto non lo è), mentre l’aringa rossa perde di importanza una volta rivelato l’inganno. Nel caso del McGuffin, è cercato attivamente dai personaggi; nel caso dell’aringa rossa spesso i personaggi lo ignorano (è più destinato al lettore).

Quindi: il McGuffin è come un cane da caccia che insegue una preda: non importa quale sia la preda, l’importante è continuare a inseguirla. L’aringa rossa è invece la falsa traccia lasciata per confondere il cane: svelato l’inganno, esaurisce la sua funzione.

Se vuoi andare a pesca o a caccia di storie… patrizia@cartaforbicesasso.com

La pistola di Čechov

Indossate le cuffie e rispondete alla domanda.

La pistola di Čechov è:

  1. La Magnum rubata all’ispettore Callaghan da Anton Pavlovič Čechov e conservata al British Museum
  2. Un principio della narrativa
  3. L’arma con cui il Colonnello Mustard ha ucciso il maggiordomo nella biblioteca di Tudor Hall

Come dite? La terza? Nahhhhh.
La risposta giusta è la due.

È il principio secondo cui “Se nella storia compare una pistola, questa prima o poi dovrà sparare”.

Cosa significa?

In generale: niente oggetti di scena, niente elementi della trama superflui, niente personaggi inutili! Se un autore inserisce in un romanzo un elemento (come può essere una pistola appesa a una parete), deve servire a qualcosa, altrimenti va asciugato (leggasi: rimosso).

E non pensiate che valga solo per i gialli.

Se in un romanzo faccio comparire nel primo capitolo, accanto al protagonista Mario, lo zio Antonio, mi dilungo in una sua descrizione, faccio emergere la sua storia, beh lo zio Antonio deve avere un ruolo nel romanzo, deve rivelarmi (e deve poterlo fare solo lui) qualcosa del protagonista, oppure qualcosa della storia altrimenti ci dispiace per lo zio Antonio ma deve essere mandato a casa.

Quindi: tutto ha una funzione, gli elementi superflui devono essere rimossi. Tutto deve essere essenziale.

Se poi cambiamo angolazione ed entriamo nel particolare, la pistola di Cechov si usa per indicare anche un elemento introdotto nella narrazione in modo all’apparenza casuale e che rivelerà la propria importanza al momento del colpo di scena. In altre parole, per stordire il lettore con un colpo di scena, l’ideale è far apparire un oggetto o un elemento che lo anticipa non la scena prima, bensì molte scene prima, tanto che il lettore se ne è dimenticato. Anzi, se lo scrittore è bravo, il lettore non lo ha neanche realizzato: il suggerimento è di nasconderlo, confonderlo per depistare il lettore che quasi non se ne accorge, e che si stupirà quando scoprirà che invece quell’oggetto o quell’informazione è essenziale.

Morale della storia: tutto deve avere ha uno scopo, tutto deve essere seminato al momento opportuno!

E l’aringa rossa, allora? Ah beh, quella è un’altra storia… Stay tuned.

Come Scrivere un Personaggio Credibile e Memorabile

Partiamo dal principio base: non c’è storia senza personaggi.
E se c’è una cosa che unisce tutti gli scrittori, da quello che scribacchia sui tovaglioli al veterano con scaffali pieni di premi letterari, è questa: tutti amano i loro personaggi. Ma come fare in modo che anche i lettori li adorino e li ricordino? Cinque (rectius: sei, anzi sette…che faccio, lascio?) regole spicce da tener presente.

  1. Conosci il Tuo Personaggio Come le Tue Tasche
    Ancora meglio, conosci cosa ha il tuo personaggio in tasca quando cammina! Non basta sapere che Marco fa l’idraulico o che Anna è una ballerina professionista. Devi scavare a fondo! Cosa rende Marco nervoso? Qual è il più grande sogno di Anna? Non tutto deve finire nel romanzo. Ma il suggerimento è di scrivere una scheda personaggio per tenere traccia della sua storia, di come lo stai costruendo e farlo muovere in scena in modo coerente. Se hai necessità, io ho diverse check list da utilizzare: scrivimi.
  2. Difetti: Il Sale della Vita (e della Narrazione)
    Siamo onesti, nessuno vuole leggere di Mr. Perfettino o Ms. Infallibile. Che noia! Aggiungi qualche difetto (anche due… o tre) al tuo personaggio per renderlo più umano. Non limitarti ai difetti fisici, esplora le imperfezioni emotive, i suoi vizi. È il mix di pregi e difetti che lo renderà indimenticabile. Ricorda: è meglio un personaggio che mastica rumorosamente la gomma o uno che ha paura dei ragni rispetto a un eroe senza macchia e senza paura!
  1. Azione: Dimmi Cosa Fai e Ti Dirò Chi Sei
    Metti il tuo personaggio alla prova! I personaggi compiono scelte. Mettilo davanti a un bivio, sfidalo a singolar tenzone. Le sue azioni, soprattutto “sotto stress”, riveleranno la sua vera natura. Le decisioni che prende devono essere coerenti con il suo carattere (e torniamo al punto 1 senza passare dal via) e con il suo sviluppo lungo la storia. E se decidi di fargli affrontare una situazione da incubo, meglio ancora: è proprio nei momenti di crisi che i veri eroi emergono.
  1. Parole, Parole, Parole
    I dialoghi sono un’arma potentissima nell’arsenale di uno scrittore. Il modo in cui un personaggio parla, cosa dice – e anche cosa non dice – può rivelare moltissimo della sua personalità. Ha dei tic linguistici? Ha studiato? È un bambino? Usa espressioni dialettali? Di fronte a cosa resta in silenzio? Urla? Impreca? Usa i dialoghi per svelare dettagli nascosti e per dare profondità al tuo personaggio.
  1. Relazioni: Il Cuore Pulsante della Narrazione
    Le relazioni definiscono chi siamo, e lo stesso vale per il tuo personaggio. Come si comporta con gli amici? E con i rivali? E l’amore, come lo vive? E come si rivolge al cameriere al ristorante? Che figlio è? Che madre è? Che vicino di casa è? Ogni interazione è un’opportunità per esplorare e mostrare le diverse sfaccettature del tuo personaggio. Usa le dinamiche di relazione per rendere i tuoi personaggi ancora più completi e tridimensionali.
  1. Bonus track: Il Conflitto!
    Ah, il conflitto! È l’ingrediente segreto che trasforma una storia interessante in una avvincente. Un personaggio senza conflitti è come il pesto senza aglio: manca qualcosa di fondamentale. Che sia un conflitto interiore (il classico dilemma morale) o esteriore (un nemico giurato, una situazione impossibile), il conflitto è ciò che spinge il tuo personaggio a evolversi. E non dimenticare: il conflitto non deve essere sempre gigantesco o epico. Anche le piccole tensioni quotidiane possono rivelare molto di un personaggio.
  2. Bonus Track 2: Il Cambiamento!
    Un personaggio statico, che non cambia è come un film senza colonna sonora: piatto e monotono. L’arco di trasformazione del tuo personaggio è ciò che lo rende dinamico e interessante. Mostra come cresce, cambia davanti alle scelte e alle difficoltà (torna al punto 3 sempre senza passare dal via) o viene influenzato dagli eventi della storia. Questo cambiamento può essere positivo o negativo, ma deve essere coerente e credibile.

    Quasi quasi la prossima volta parlo di dialoghi.

    Se vuoi conoscere le molteplici personalità di un editor, fai un passo indietro…

Una stanza piena di gente: le molteplici personalità dell’editor

Dietro ogni romanzo ben fatto, ogni racconto che colpisce, c’è un editor.

L’editor c’è, ma non si vede. Resta tra le quinte, compare solo quando c’è un problema da risolvere, come il signor Wolf di Pulp Fiction.

Ma come si racconta la mia professione?

L’editor è un tecnico radio: si occupa di ripulire la voce dell’autore dai rumori di fondo per farla emergere dalla pagina forte e chiara. Non la appiattisce, non la standardizza; al contrario, fa di tutto per renderla unica, esaltarla.

L’editor è il ponte tra l’autore e il lettore, lavora per assicurarsi che il messaggio dell’autore sia chiaro, coerente e coinvolgente, che i suoi personaggi non si perdano, che le fila della sua storia non lascino vedere il lavorio delle varie stesure che si sono sovrapposte nel tempo (e chiunque scrive sa che possono essere moltissime!).

L’editor è lo sparring partner dell’autore: fa proposte, suggerimenti, commenti in un continuo scambio con l’autore che rimane comunque libero di decidere cosa è meglio per la sua creatura.

È un giardiniere, un mentore, un parolaio, un investigatore, un alleato, un chimico, un sous chef, un avvocato di difesa…

Ha bisogno di una cassetta degli attrezzi ben fornita:

  • una buona dose di empatia (capacità di ascolto, dialettica e anche negoziale)
  • una solida formazione (tecniche narrative e non solo)
  • un’ampia conoscenza del mercato editoriale
  • strumenti pratici (sembra banale, ma quando mi è andato in crash il programma di videoscrittura sono impazzita perché gli strumenti “open” non bastano)
  • Curiosità, sensibilità, pazienza

    Avete capito perché amo il mio lavoro? Perché è variegato, mai ripetitivo e mi richiede ogni giorno competenze e capacità diverse. Mi tiene allenata, viva.

    Mi piace o quando smonto e rimonto un romanzo, quando un autore trova una casa editrice grazie al suo talento e al lavoro fatto insieme, quando i personaggi vengono a trovarmi la notte…

    Ho detto personaggi? Nel prossimo appuntamento vi racconto su cosa mi concentro quando metto a fuoco i protagonisti di una storia.

    Nel frattempo, se volete conoscere meglio il mio lavoro, vi invito a entrare nel mio sito: www.cartaforbicesasso.com

Scrittura e ispirazione: quando la Musa ci afferra le dita

Scrittura e ispirazione: quando la Musa ci afferra le dita

“La chiave magica entra, tutti i bicchieri cadono di colpo e la porta si spalanca”.

Non è l’inizio di una favola per bambini e neppure l’ultimo fantasy di grido, bensì una frase di John Gardner da “Il mestiere dello scrittore“, e la frase serve a spiegare il magico processo – e lo è davvero – che avviene quando si cade in quella sorta di trance, quando la musa – in questo caso della scrittura (ma ci sono anche le altre) – ci afferra saldamente.

Le dita battono sui tasti come fossero guidate da una misteriosa entità, sanno quello che devono fare e non c’è bisogno di un intervento razionale, anzi, un tale intervento potrebbe arrestare, irreparabilmente, il viaggio che le parole fanno dal nostro inconscio al foglio bianco.

In questi momenti perfetti, tutto sembra diventare fluido e semplice, le parole sgorgano come acqua da una sorgente, e bisogna essere rapidi (oserei dire fulminei) per non perdersi soggetti, verbi, aggettivi che si incastrano perfettamente a grande velocità.

E quando esausti e felici ci si ferma, ci si accorge, rileggendo, che tutto funziona alla perfezione, a parte qualche refuso da imputare alla velocità della “trascrizione”.

Chi ha sperimentato questa magia, sa bene di cosa parlo.

In un prossimo post scopriremo come in realtà questa ispirazione non abbia nulla di soprannaturale…

Osservare: un’azione indispensabile per diventare un bravo scrittore

Osservare azione indispensabile per diventare un bravo scrittore

Leggere ad alcuni (sicuramente a me) fa l’effetto delle ciliegie: una tira l’altra.
Sono arrivata a John Gardner, al suo “Il mestiere dello scrittore”, attraverso molte ciliegie: consigli e suggerimenti giunti da altre proficue letture.

Mi interrogo da anni su argomenti inerenti la scrittura e mi immergo fra le righe dei libri, a ripescare perle preziose: nuovi ferri del mestiere o validi strumenti per affinare quelli che già possiedo.

A lungo ho riflettuto su un argomento che mi sta molto a cuore: l’osservazione, ovviamente rapportata alla scrittura.
Secondo Gardner, “il buon scrittore vede le cose in modo netto, vivido, preciso e selettivo (vale a dire che sceglie ciò che è importante) non necessariamente perché la sua capacità di osservazione sia per natura più acuta di quella delle altre persone (benché con la pratica diventi tale), ma perché si preoccupa di vedere le cose in modo chiaro e di metterle per iscritto in maniera convincente”.

La scena narrativa trae la sua forza e la sua concretezza dalla capacità di chi scrive di associare il gesto alle affermazioni dei personaggi. Se lo scrittore non conosce a fondo che cosa farebbero i suoi personaggi in una data situazione, il risultato potrebbe essere poco convincente e il lettore avvertirebbe la sensazione che i personaggi di quel dato libro siano “stati manipolati, costretti a fare cose che nella realtà non farebbero”.

Per costruire una scena credibile bisogna partire da un’osservazione attenta e approfondita dei personaggi, avere una loro visione mentale precisa; è necessario saper cogliere gli spunti emozionali che servono all’evoluzione successiva dell’azione. Per fare questo è utile fermarsi (sollevare la penna o le dita dai tasti) e “capire esattamente come si presenta un certo oggetto o gesto e trovare le parole giuste per descriverlo”.

Inserire i dettagli giusti è fondamentale: il lettore ben indirizzato da una scrittura precisa, potrà costruire nella sua testa le scene che a mano a mano va leggendo e più lo scrittore sarà stato accurato nell’esame delle azioni dei personaggi e avrà utilizzato termini esatti, più le immagini saranno vivide nella mente dei lettori che aggiungeranno addirittura alla scena connotazioni che l’autore ha lasciato semplicemente sottintese: “scegliendo il dettaglio giusto, lo scrittore, abilmente, ne fa venire in mente altri; il dettaglio significativo suggerisce più di quanto non dica”.

Uno scrittore eccellente “è preciso sia nei dettagli letterali che nelle corrispondenze metaforiche”. La metafora ha un grande potere visivo: “spesso un gesto importante o un insieme di gesti non può essere afferrato con pari efficacia da nessun altro mezzo”.

Per evocare scene efficaci e veritiere, dettagli e metafore, oltre a essere correttamente utilizzati, devono essere tratti dalla vita vissuta. Nella visione dei grandi romanzieri “non c’è nulla di seconda mano”.

Frasi lunghe frasi brevi: un falso dilemma per lo scrittore

Frasi lunghe frasi brevi un falso dilemma per lo scrittore

Alle prese con la lettura dell’ennesimo giallo, cerco di capire come rendere il senso di ansietà che si crea in certe scene d’azione, dove chi legge si lancia sulle parole in volata, senza saltarne una (per carità) ma cercando di arrivare il più in fretta possibile ad afferrare quanto sta per accadere.

Insomma, mi chiedevo: come si fa a scrivere un testo trepidante che già nella forma esprima il contenuto?

In realtà, è semplice, se uno conosce a fondo i ferri del mestiere di scrittore.

Per ottenere frasi di questo tipo, è necessario essere: brevi, rapidi, incisivi, sfruttando ogni strumento teorico e pratico che siamo riusciti a immagazzinare.

Ad esempio: una punteggiatura incalzante, con molti punti; l’uso di parole che colpiscono; frasi nominali (senza verbo) e magari solo una frase iniziale con un verbo forte, possono essere un ottimo strumento per ottenere quel ritmo sollecito che vogliamo imprimere alla nostra scrittura e che poi sarà evidente ai nostri lettori.

Di tutt’altra pasta sono le frasi lunghe, a volte tortuose, che servono a farci riflettere, a condurci per mano al concetto finale, a regalarci un’immagine indelebile che ci resterà nella memoria a lungo, a volte per sempre.

Quindi, lunghe o brevi le frasi sono tutte importanti: servono a creare una data atmosfera, a conferire un certo ritmo alla narrazione, a rispondere a un dato genere. E molto spesso, la scelta tra l’una o l’altra forma costituisce il marchio di fabbrica di un autore.

Regole di scrittura: in una storia, ogni elemento deve essere necessario

regole di scrittura

In una storia ogni elemento descritto ha una sua valenza. Una narrazione che funziona non introduce oggetti o situazioni inutili.

Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari” (A. Checov)

Checov aveva le idee chiare su come strutturare una storia.
Secondo il suo punto di vista, un oggetto che compare a un certo punto della narrazione viene introdotto perché ha uno scopo, una valenza precisa all’interno della storia che si sta raccontando.
In una narrazione accurata, quindi, non ci si sofferma su dettagli inutili o situazioni trascurabili.

Se un autore descrive un dato oggetto, vuol dire che esso avrà una valenza nella storia, a un certo punto, quella data cosa dovrà svolgere un compito, ad esempio, essere un elemento di svolta per il racconto e magari, cambierà completamente le sorti di un personaggio o più personaggi.

La stessa cosa avviene per le scene di un libro o di un film: se non producono un cambiamento nella vita del protagonista, se non servono all’economia della storia vanno eliminate.
In effetti, le storie sono più funzionali e sicuramente più efficaci senza fronzoli, ma strutturate solo con gli elementi necessari al dipanarsi delle varie situazioni e della vicenda in generale.

I gialli sono un genere dove tale tipo di regola è ancora più pressante: se in un libro viene descritto un dato oggetto o in un film l’inquadratura indugia su un particolare, il pubblico sa che a un certo punto della narrazione spunterà fuori di nuovo, così lettori o spettatori lo terranno a mente e magari, più avanti scopriranno che era l’elemento chiave che avrebbe condotto alla soluzione del caso.

Meccanismi che catturano l’attenzione: storie parallele

meccanismi che catturano attenzione storie parallele

Sto seguendo delle serie su Amazon Prime e sono rimasta colpita per come riescono a trascinare gli spettatori dentro la storia.
Ovviamente, queste narrazioni sono costruite proprio con questo intento e sfruttano abili meccanismi congegnati ad arte per catturare l’attenzione, ed è interessante studiare tali meccanismi, analizzandone ogni elemento che li compone.

Un interessante congegno – permettetemi di chiamarlo così – è lo svolgersi di più situazioni in contemporanea che è normale prassi anche nei libri.

Ma quanti di voi si sono soffermati a cercare di comprendere questi abili meccanismi?

In storie congegnate come queste troviamo dei personaggi “trainanti” che portano avanti una loro situazione.
Questi protagonisti o co-protagonisti vengono prima di tutto presentati, poi si passa a descrivere la loro vita e infine si introduce un elemento di rottura: un ostacolo, un pericolo imminente e poi si blocca la situazione per passare a un altro personaggio e alla sua realtà, contemporanea a quella appena mostrata.

A volte, nelle situazioni cui assistiamo, i personaggi hanno delle intuizioni, dei sospetti o ci sono delle indagini che conducono a probabili conclusioni che vengono, però, il più delle volte lasciate in sospeso, lasciando immaginare a quali implicazioni potrebbero portare se uno o più degli altri personaggi venissero a conoscenza di quei fatti o supposizioni.

Veniamo quindi trascinati nella storia e poi spintonati qua e là alla ricerca di risposte, mentre le situazioni vissute da ognuno dei personaggi chiave si svolgono parallelamente l’una all’altra oppure si collegano o si incastrano per una fase o più, si separano di nuovo, e a ognuna di queste “svolte” producono nuovi dubbi e nuove ipotesi.

Il ritmo della narrazione è quasi sempre serrato e teso, a parte qualche situazione di stasi: pause che hanno come unico scopo quello di farci riprendere fiato per poi ritrovarsi con più slancio ad affrontare nuovi problemi, nuove situazioni incalzanti e pericolose.

Il meccanismo di spostamento ci costringe a porci sempre nuove domande e qui, sta in effetti, tutto il succo della questione: nelle domande.

Siamo per natura portati a cercare risposte sia nella vita di ogni giorno sia quando guardiamo una fiction ben costruita.

Il trucco è proprio questo: per tenere desto l’interesse di spettatori o lettori, è necessario costringerli a farsi delle domande.
Ovviamente, le risposte saremo noi a fornirle, alla fine della storia, ma in questa fase non dovremo deludere le aspettative, piuttosto confermarle o meglio ancora depistarle e poi, alla fine, sorprendere sia chi guarda sia chi legge.