Scrivere ai tempi del Coronavirus: poesia da camera #2

Scrivere ai tempi del Coronavirus poesia da camera

Mi sono chiesta: che cosa può fare uno scrittore in tempi di Coronavirus per essere d’aiuto?
Scrivere, ovviamente…

Fruscii, guizzi repentini. Qualche lampo di colore e un leggero cinguettio.

Ti nascondi in mezzo al verde lucido delle foglie, ma so che ci sei.
Ci osserviamo, separati solo dal leggero intreccio di rami.

Forse ti stai chiedendo come mai sono qui, affacciata alla finestra, o magari, speri in qualche briciola di pane.

Ti vedo gonfiare le penne, scuotere rapido la coda e lanciare un ultimo cinguettio a mo’ di saluto.

Non ho avuto neppure il tempo di regalarti un po’ di cibo, ma domani, lo troverai…

Scrivere ai tempi del Coronavirus: riflessioni quotidiane #1

Leggere e scrivere sono due attività che non subiscono battute d’arresto a causa del Coronavirus: si possono tranquillamente praticare restando a casa.

Inoltre, mi sono chiesta: che cosa può fare uno scrittore in tempi di Coronavirus per essere d’aiuto?
Scrivere, ovviamente. Così ho pensato di scrivere qualche breve riflessione sulle mie giornate e sulle meste osservazioni giornaliere dalle mie stanze.

Non è un gran contributo, ma ci tengo a dedicarlo a tutti quelli che si sacrificano, affinché la nostra vita possa andare avanti, nonostante le limitazioni, e a tutti coloro che hanno bisogno di un istante di distrazione e di sollievo in questi momenti così difficili.

Dall’alto della terrazza, la mia città è strana: lontana eppure vicina, quasi potessi toccare le sue case di cartapesta colorata.

I gialli, gli aranci, il verde appena accennato, il rosso bruciato dei tetti sono affastellati, uno sull’altro; mentre alberi svettanti lanciano le loro chiome verso il cielo.

Rari passanti misurano i loro passi lungo i marciapiedi; auto sparute scorrono rapide, senza dover più contendere l’asfalto ad altri veicoli all’assalto.

Il mare è un tappeto screziato, un miraggio nel deserto solitario del paesaggio.

Storia della scrittura: dai geroglifici agli emoticon #9 Latino in armonia

Storia della scrittura dai geroglifici agli emoticon 9 Latino in armonia

Intorno al III secolo a.C. esiste già un alfabeto latino composto da 19 lettere, nell’epoca di Cicerone (I secolo a.C.) si aggiungeranno la X e la Y.

Come i greci, anche i romani usavano i caratteri maiuscoli per iscrizioni su pietra, le minuscole, invece, erano destinate alle tavolette cerate e ai papiri.

L’iscrizione su pietra richiedeva un lungo e meticoloso lavoro di preparazione. L’incisore doveva, prima di tutto, valutare le dimensioni della superficie su cui doveva scrivere, considerare quante parole componevano il testo da riprodurre e poi stabilire, di conseguenza, la grandezza delle lettere.

Prima di incidere la pietra, l’incisore realizzava una copia su un rotolo di papiro che gli consentiva di stabilire quante lettere potevano stare in una riga e anche di studiare con cura il modo più equilibrato e visivamente armonioso di riempire lo spazio che aveva a disposizione.

Successivamente, l’incisore tracciava con un gesso sulla pietra la base della lettera e il suo punto più alto, subito dopo, disegnava i caratteri con il carboncino e poi li dipingeva. Dopo aver compiuto tutti questi passaggi, finalmente, poteva prendere in mano lo scalpello.

Nel periodo tra il II e il III secolo d. C. comparvero “la nuova scrittura comune” e l'”onciale” che, fino all’anno 1000, si diffusero in tutte le regioni europee dove si scriveva in latino.

in copertina: Iscrizione sul tamburo del Mausoleo di Cecilia Metella sulla via Appia a Roma

Uso scrupoloso delle parole per aiutare il lettore a visualizzare una scena

uso delle parole

Fondamentale per una lettura coinvolgente è riuscire a scrivere in modo che il lettore possa visualizzare la scena che state descrivendo.

I termini da usare vanno scelti con grande oculatezza, in particolare i verbi che sono il propellente dell’azione.
Se utilizzate le parole giuste, con poche frasi ben delineate e una serie di verbi trascinanti, potrete costruire una scena che possiederà grande chiarezza e consentirà ai vostri lettori di entrare nella storia e farne in qualche modo parte.

Ad esempio, una frase semplice, tratta da “Le molliche del commissario” di Carlo F. De Filippis:
Il commissario spense la sigaretta, infilò la giacca e si alzò“.
Questa frase contiene nella sua brevità una scena perfettamente costruita e facilmente immaginabile dal lettore.
Si riesce a vedere il commissario che compie le tre azioni descritte; i verbi danno ritmo alla frase che è composta da tre segmenti che segnalano i tre gesti dell’uomo.

Nei gialli, in particolare, dove spesso le descrizioni sono usate ai minimi termini, è importante tracciare con rapidità una scena o i tratti caratteristici di un personaggio; è importante non far “soffrire” l’azione né farla stagnare, per questo, spesso, nei romanzi gialli compaiono frasi scarne ed efficaci e verbi incalzanti.

Il potere delle parole di: suscitare emozioni, evocare ricordi e creare legami

Le parole hanno un enorme potere evocativo ne abbiamo la prova ogni giorno, ma spesso non ci facciamo caso.

Prendiamo me, sto facendo ricerche per un articolo sulla seta e appena mi sono concentrata sulla parola “seta” ho subito creato una serie di collegamenti tra questo specifico termine e una serie di ricordi legati a questa parola: ho pensato a Marco Polo e poi, a “Le città invisibili” di Calvino.

Ovviamente, se pensate voi alla parola “seta” creerete altri collegamenti nella vostra testa, in base ai vostri personali ricordi, magari legati alla scuola (vedi Marco Polo) e alle vostre esperienze personali.
La seta, in tal caso, potrebbe riportarvi alla memoria un foulard particolarmente prezioso e una giornata speciale che avete passato indossandolo oppure chissà quali altri tristi o felici ricordi.

Le parole creano mondi, ma sono in grado di creare anche collegamenti, suggestioni, immagini. Mai sottovalutare il potere di una parola e spesso è difficile individuare fin dove possa arrivare la sua capacità evocativa, e le sue possibilità di suscitare emozioni negative o positive in chi la vede scritta o la sente pronunciare.

Quando si scrive è importante non sottovalutare questa capacità delle parole di creare collegamenti anche con elementi molto lontani tra loro. Certo, non possiamo sapere tra le tante persone che metteranno gli occhi su delle righe di testo da noi scritte, quali emozioni o possibili collegamenti potranno creare, ma in certi casi, certe associazioni sono un tesoro comune cui attingere, perché si sono creati nel tempo dei legami fortissimi tra alcune parole e degli eventi precisi o delle sensazioni tangibili.

Se ad esempio, leggete la parola “cioccolato“, a meno che non apparteniate a quella minoranza che non ama questo particolare alimento, è probabile che vi venga la nota acquolina in bocca.
Se invece dico “dentista“, quasi sicuramente, il ricordo non sarà altrettanto piacevole e forse, vi immaginerete, con una punta di terrore, su una poltrona con qualcuno che traffica nella vostra bocca.

Le parole, in ogni caso, non hanno solo un potere evocativo, dicono molto anche su di noi, quando scegliamo un dato termine piuttosto che un altro, per esprimere un’emozione o per raccontare un aneddoto.

Il nostro legame con le parole è complesso e plurimo e si muove dall’esterno verso l’interno o viceversa.
Quando sentiamo o leggiamo una parola, siamo noi a provare una sensazione o ci troviamo a evocare un ricordo; quando invece ci esprimiamo con certi termini, comunichiamo agli altri chi siamo: la nostra cultura, la nostra sensibilità, le nostre esperienze.

Le parole, in pratica, veicolano e portano con sé molti significati, oltre a quelli reperibili su un dizionario; per questo bisogna fare attenzione all’uso che facciamo delle parole sia quando si usano per mestiere sia quando ci rivolgiamo agli altri, in ogni situazione della vita quotidiana, perché le parole possono curare o avvelenare un’anima.

Regole di scrittura: in una storia, ogni elemento deve essere necessario

regole di scrittura

In una storia ogni elemento descritto ha una sua valenza. Una narrazione che funziona non introduce oggetti o situazioni inutili.

Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari” (A. Checov)

Checov aveva le idee chiare su come strutturare una storia.
Secondo il suo punto di vista, un oggetto che compare a un certo punto della narrazione viene introdotto perché ha uno scopo, una valenza precisa all’interno della storia che si sta raccontando.
In una narrazione accurata, quindi, non ci si sofferma su dettagli inutili o situazioni trascurabili.

Se un autore descrive un dato oggetto, vuol dire che esso avrà una valenza nella storia, a un certo punto, quella data cosa dovrà svolgere un compito, ad esempio, essere un elemento di svolta per il racconto e magari, cambierà completamente le sorti di un personaggio o più personaggi.

La stessa cosa avviene per le scene di un libro o di un film: se non producono un cambiamento nella vita del protagonista, se non servono all’economia della storia vanno eliminate.
In effetti, le storie sono più funzionali e sicuramente più efficaci senza fronzoli, ma strutturate solo con gli elementi necessari al dipanarsi delle varie situazioni e della vicenda in generale.

I gialli sono un genere dove tale tipo di regola è ancora più pressante: se in un libro viene descritto un dato oggetto o in un film l’inquadratura indugia su un particolare, il pubblico sa che a un certo punto della narrazione spunterà fuori di nuovo, così lettori o spettatori lo terranno a mente e magari, più avanti scopriranno che era l’elemento chiave che avrebbe condotto alla soluzione del caso.

Concisione: tra letteratura e social, una qualità da non trascurare

Rapidità e concisione sono due qualità che, ben amalgamate, possono diventare grande letteratura o magari un tweet ben riuscito.

Il 21 marzo, giorno della poesia, ho riletto alcuni passi dell’Antologia di Spoon River e nella rilettura, mi è saltato all’occhio come Edgar Lee Masters sia riuscito a condensare in poche parole – quelle di un epitaffio – la vita intera degli immaginari defunti del paese immaginario di Spoon River.

Un esempio tratto dal libro vale più di mille spiegazioni:

Hod Putt
Qui giaccio accanto alla tomba
del Vecchio Bill Piersol,
che s’arricchì commerciando con gli Indiani, e che
più tardi profittò della legge sulla bancarotta.
e ne riemerse più ricco che mai.
Io, per me, stanco della fatica e della povertà
e vedendo come il Vecchio Bill e altri s’arricchivano,
derubai un viaggiatore una notte vicino al Boschetto di Proctor,
uccidendolo per caso mentre gli rubavo,
per cui fui processato e impiccato,
quello fu il mio modo di fare bancarotta.


La concisione è certamente un modo per tenere desta l’attenzione e credo che tutti conoscano Twitter e il suo successo legato, quasi sicuramente, al limite di caratteri, piuttosto ristretto, concessi per comunicare notizie, sensazioni, emozioni, pensieri.

Tornando dai social alla letteratura, Italo Calvino era dichiaratamente un estimatore della concisione, anche se lui parla di “rapidità“, nelle sue “Lezioni americane“.
Per lo scrittore l’economia, il ritmo e la logica essenziale con cui sono raccontate certe storie è un valore apprezzabile, un piacere quasi da assaporare.

Ritengo che nel nostro mondo che va anche troppo di fretta, non sia da disdegnare neppure l’opposto – e Calvino stesso, pur sostenendo la rapidità come qualità da prediligere nella scrittura, sosteneva che il tempo narrativo può essere anche ritardante o immobile ed essere ugualmente valido.

Ma la velocità con cui oggi ci arrivano continui messaggi dal mondo, i tempi sempre più ristretti che abbiamo per valutare le notizie ci indicano con fermezza che siamo diretti, letteratura e non, verso un mondo sempre più rapido e conciso. Sta a noi apprezzare questa qualità, ma lasciare sempre nella nostra quotidianità delle pause che vanno decisamente nella direzione opposta…

Meccanismi che catturano l’attenzione: storie parallele

meccanismi che catturano attenzione storie parallele

Sto seguendo delle serie su Amazon Prime e sono rimasta colpita per come riescono a trascinare gli spettatori dentro la storia.
Ovviamente, queste narrazioni sono costruite proprio con questo intento e sfruttano abili meccanismi congegnati ad arte per catturare l’attenzione, ed è interessante studiare tali meccanismi, analizzandone ogni elemento che li compone.

Un interessante congegno – permettetemi di chiamarlo così – è lo svolgersi di più situazioni in contemporanea che è normale prassi anche nei libri.

Ma quanti di voi si sono soffermati a cercare di comprendere questi abili meccanismi?

In storie congegnate come queste troviamo dei personaggi “trainanti” che portano avanti una loro situazione.
Questi protagonisti o co-protagonisti vengono prima di tutto presentati, poi si passa a descrivere la loro vita e infine si introduce un elemento di rottura: un ostacolo, un pericolo imminente e poi si blocca la situazione per passare a un altro personaggio e alla sua realtà, contemporanea a quella appena mostrata.

A volte, nelle situazioni cui assistiamo, i personaggi hanno delle intuizioni, dei sospetti o ci sono delle indagini che conducono a probabili conclusioni che vengono, però, il più delle volte lasciate in sospeso, lasciando immaginare a quali implicazioni potrebbero portare se uno o più degli altri personaggi venissero a conoscenza di quei fatti o supposizioni.

Veniamo quindi trascinati nella storia e poi spintonati qua e là alla ricerca di risposte, mentre le situazioni vissute da ognuno dei personaggi chiave si svolgono parallelamente l’una all’altra oppure si collegano o si incastrano per una fase o più, si separano di nuovo, e a ognuna di queste “svolte” producono nuovi dubbi e nuove ipotesi.

Il ritmo della narrazione è quasi sempre serrato e teso, a parte qualche situazione di stasi: pause che hanno come unico scopo quello di farci riprendere fiato per poi ritrovarsi con più slancio ad affrontare nuovi problemi, nuove situazioni incalzanti e pericolose.

Il meccanismo di spostamento ci costringe a porci sempre nuove domande e qui, sta in effetti, tutto il succo della questione: nelle domande.

Siamo per natura portati a cercare risposte sia nella vita di ogni giorno sia quando guardiamo una fiction ben costruita.

Il trucco è proprio questo: per tenere desto l’interesse di spettatori o lettori, è necessario costringerli a farsi delle domande.
Ovviamente, le risposte saremo noi a fornirle, alla fine della storia, ma in questa fase non dovremo deludere le aspettative, piuttosto confermarle o meglio ancora depistarle e poi, alla fine, sorprendere sia chi guarda sia chi legge.

Il fascino dei nonsense tra follia e acrobazia linguistica

Chi non ama i nonsense?


nonsense Jabberwocky



Basta pensare a una poesia di Lewis Carroll nel romanzo “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò” per essere trascinati nella follia del nonsense, nella magia delle sue assonanze, nell’acrobatico mondo delle sue rime e assaporare, in un istante, una creatività senza confini.

Il ritmo è quello delle filastrocche dei bambini e mentre leggiamo mi pare di vederli giocare alla campana, saltando nei riquadri tracciati a terra con il gessetto e con voce cantilenante recitare la poesia.

‘Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.


Beware the Jabberwock, my son!
The jaws that bite, the claws that catch!
Beware the Jubjub bird, and shun
The frumious Bandersnatch!


He took his vorpal sword in hand:
Long time the manxome foe he sought
So rested he by the Tumtum tree,
And stood awhile in thought.

And as in uffish thought he stood,
The Jabberwock, with eyes of flame,
Came whiffling through the tulgey wood,
And burbled as it came!

One, two! One, two! And through and through
The vorpal blade went snicker-snack!
He left it dead, and with its head
He went galumphing back.

And hast thou slain the Jabberwock?
Come to my arms, my beamish boy!
O frabjous day! Callooh! Callay!
He chortled in his joy.

‘Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe.

(Lewis Carroll)

Non è neppure il caso di tentare una traduzione: troppo complicato e poi, non sta nella comprensione dei versi la bellezza di questa poesia; possiamo tranquillamente godercela assaporando le rime, i picchi dei suoni duri e la piacevole rotondità di quelli morbidi; sentire come le parole tengono impegnata la nostra lingua che si muove nel palato e tra i denti per pronunciarle anche se le recitiamo a mente, senza declamarle ad alta voce.

Avvertiamo anche che c’è una certa animazione, questo personaggio: il
Jabberwock deve essere una creatura davvero temibile, ma siamo certi che non lo incontreremo mai o almeno lo faremo, ma solo nel mondo della fantasia.

in copertina: Il Jabberwock, illustrazione di John Tenniel per Through the Looking Glass, 1871.

Spazi narrativi: il luogo spesso condiziona la storia

spazi narrativi restringimento

Vi siete mai chiesti quanto gli spazi narrativi dove si svolge una storia possano influenzare la narrazione?

Leggendo alcune storie ho notato quanto gli spazi narrativi siano influenti sia per la formulazione di una storia sia per il suo svolgimento.

Le mie prime considerazioni relative all’importanza degli spazi narrativi non sono venute da un testo letterario ma da un’opera musicale.
Il suggerimento, però, veniva da un libro, Le opere di Verdi di Julian Budden: analizzando la partitura dell’Otello ho riscontrato quanto accennato dall’autore del libro.

Mentre la storia procede, si assiste a un vero e proprio restringimento degli spazi.
Dall’ampiezza dei luoghi pubblici lentamente e inesorabilmente la musica di Verdi e la struttura del testo di Boito (autore del libretto) ci spingono con determinazione verso la scena conclusiva, dove si consuma il dramma: la stanza di Desdemona.
In quella stanza siamo confinati per assistere al suo omicidio, ovvia conclusione di una tragedia, costruita proprio sulla riduzione, anche psicologica, delle alternative possibili, fino a giungere all’unica soluzione paventata sin dall’inizio della storia: la morte, appunto, grazie alle abili macchinazioni di Jago che spingono la gelosia di Otello al limite.

L’ambientazione di una storia, quindi, è importante e vincolante, sin dall’inizio della narrazione.

Ho notato le stesse scelte in un autore di gialli, Simon Beckett.
Nei due gialli che ho letto, lo scrittore sceglie di proposito dei luoghi “ristretti”:

  • un piccolo paese dove tutti si conoscono e non vedono di buon occhio gli estranei, anche se da diversi anni vivono accanto a loro;
  • un’isola dove chiunque venga dalla terraferma è considerato quasi una minaccia o comunque, è guardato con diffidenza dagli isolani.

Queste premesse sono più che sufficienti per scatenare rapidamente gli animi non appena si crea una situazione critica, nella fattispecie, un omicidio. Si assiste a un rapido surriscaldamento che fa aumentare in modo spasmodico la tensione, e il restringimento spaziale conduce a un restringimento psicologico.

Gli estranei sono una minaccia, sono loro la causa di ogni male e questo rende la situazione esplosiva: una vera pentola a pressione e i lettori sono divisi tra la risoluzione dei crimini e il timore che qualcosa di ben peggiore possa accadere, quando la logica ha perso ogni potere.
Il tutto, il più delle volte, a favore dell’assassino che trae indubbi vantaggi dalla ristrettezza mentale e dalla diffidenza delle persone.

Quando leggerete il vostro prossimo libro riflettete sulle ambientazioni, sugli spazi narrativi costruiti dall’autore e chiedetevi:
quanto la scelta dei luoghi ha condizionato la storia?
quanto lo scrittore è riuscito a coinvolgermi grazie alle collocazioni spaziali che ha scelto per la sua narrazione?