Scrittura #6 Le scene di Simenon

Pipa con ombraSi incamminò verso il Café de la Marine, e quando ne varcò la soglia le voci tacquero di colpo. I battellieri erano tutti in cerchio attorno alla stufa di ghisa. Il guardiano della chiusa stava appoggiato al banco, vicino alla figlia del padrone, una ragazza alta, con i capelli rossi e gli zoccoli ai piedi.
I tavoli ricoperti di tela cerata erano ingombri di bottiglie e bicchieri e cosparsi di chiazze.
‘Allora è proprio sua moglie?’ finì col chiedere il padrone facendosi coraggio.
‘Sì! Mi dia una birra! Anzi, no! Qualcosa di caldo… Un grog’.
A poco a poco i battellieri avevano ripreso a discorrere. La ragazza, nel portare a Maigret la bevanda bollente, gli sfiorò la spalla col grembiule“.
(Georges Simenon)

Appena entra Maigret, la scena si congela.

Simenon descrive le rispettive posizioni dei personaggi che si trovano all’interno del locale e grazie a una rapida occhiata che va dall’alto dei capelli rossi della figlia del padrone al basso dei suoi zoccoli, ci fornisce una pennellata rapida di colore e al contempo, ci consente di seguire lo sguardo del commissario che ha percorso la stanza e osservato tutti i presenti, soffermandosi su alcuni dettagli e tralasciando, ad esempio, di descrivere i battellieri: una massa indistinta che fa cerchio attorno alla stufa.
Il lettore può così ricostruire mentalmente il “Café”, gli uomini e le donne presenti e anche il mobilio della stanza.

L’autore fornisce tutti gli elementi affinché chi legge possa entrare fisicamente nella scena e al tempo stesso ci dice che l’entrata del commissario ha provocato un’interruzione.

I personaggi devono assorbire la nuova presenza nella stanza, ma è sufficiente il tempo di una rapida descrizione e un breve scambio di battute tra Maigret e il padrone del locale perché il flusso vitale della scena riprenda il suo normale corso: i battellieri proseguono i loro discorsi interrotti e la ragazza dai capelli rossi sfiora con il grembiule la spalla del commissario.

La contemporaneità è un’altra caratteristica delle scene di Simenon.

Maigret si accese la prima pipa della giornata e andò ad aprire alla ragazza che portava il caffè. Poi diede un’occhiata dalla finestra al Southern Cross, su cui non si scorgeva ancora alcun segno di vita. In quel momento stava passando una chiatta, e il battelliere, appoggiato al timone, guardava lo yacht con ammirazione mista a invidia“.

‘E così è venuta fuori una bella storia… Vuole che l’aiuti, capo?…’
In effetti Maigret stava facendo sforzi disperati per afferrare le bretelle che gli pendevano lungo le gambe
“.

Attraversarono la banchina ed entrarono nel locale, dove c’era soltanto la cameriera che stava pulendo i tavoli.
‘Aspetti!… Che cosa prende?… È giusto l’ora dell’aperitivo!… […] Julie, va’ pure in cucina, resto qui io…’
Poi, con un’occhiata d’intesa al commissario:
‘Alla sua salute!… L’ho vista da lontano e, siccome avevo qualcosa da dirle…’.
Andò ad accertarsi che la ragazza non stesse origliando dietro la porta. Poi, con un’aria sempre più enigmatica […] tirò fuori di tasca qualcosa“.

Mentre un personaggio racconta alcuni fatti, l’altro è occupato in altre faccende: osservare fuori dalla finestra, dove sta accadendo qualcos’altro; vestirsi o coinvolgere altre persone nella situazione.

Tutto allo scopo di interrompere il racconto e far lievitare la curiosità.

Il lettore, per conoscere gli sviluppi della storia, sarà costretto ad attendere. Inoltre, l’autore, in questo modo, ha creato anche un effetto prospettico: la scena si allarga, acquisisce realismo e profondità, consentendo a chi legge di ampliare nella sua immaginazione la visione del quadro narrativo.

Scrittura #5 Dialoghi: “L’idiota” di Dostoevskij, una scena teatrale

Dostoevskij ritratto

Tutto quello che succede in scena deve avere uno scopo […] Sulla scena bisogna agire. Azione, attività. Ecco su che cosa si basa l’arte drammatica, l’arte dell’attore. La stessa parola «dramma», in greco significa «azione che si compie». […] Così il dramma sulla scena è un’azione che si compie sotto i nostri occhi e l’attore che sale sulla scena diventa «una persona che agisce»” (K. S. Stanislavskij).

Leggendo “L’idiota” di Fëdor Dostoevskij ho ripensato al libro di Stanislavskij “Il lavoro dell’attore su se stesso“.

Il parallelo è nato immediato e spontaneo: sin dall’inizio Dostoevskij ci catapulta su un palcoscenico insieme ai suoi personaggi che ci coinvolgono immediatamente nei loro dialoghi serrati e vivaci.

Siamo davanti ad una scena teatrale e i personaggi sono gli attori.

Dopo una breve presentazione iniziano i dialoghi con una banale osservazione fatta da uno degli ‘attori’ “Avete freddo?” Da questa semplice battuta si intavola una lunga conversazione alla quale prenderà parte con naturalezza un altro interlocutore.
Un dialogo vivace che occuperà tutto il tempo del viaggio.

Un altro spunto che rimanda ai suggerimenti teatrali di Stanislavskij si presenta al capitolo IX (la scena si prolunga nei capitoli successivi), nel momento in cui giunge, inattesa, Nastas’ja Filippovna.
In realtà, di situazioni simili ve ne sono diverse, ma questa è una delle più vivaci e interessanti perché presenta finalmente il personaggio di Nastas’ja che ancor prima di entrare in scena è già stata nominata svariate volte e descritta in molti modi diversi da tutti quelli che hanno occupato la scena prima di lei.

In questo frangente: l’arrivo di questa ‘prima donna’, si assiste a quello che Stanislavskij chiama il ‘se’, cioè le cosiddette ‘circostanze date’.

Un evento singolare o la consapevolezza di un fatto nuovo può cambiare o stravolgere una situazione e condurre a un profondo cambiamento nell’atteggiamento: una mutazione della ‘mira interiore’ degli attori sulla scena.

Ma immaginate che in questo appartamento in cui oggi festeggiate la nuova abitazione della Maloletkova vivesse prima un uomo, diventato pazzo furioso. Lo hanno chiuso in una clinica psichiatrica… Se per caso fosse scappato e stesse lì dietro la porta, che cosa fareste?” (Stanislavskij).

Lo stesso corto circuito, che si verifica dopo questa ‘rivelazione’ sul palcoscenico di Stanislavskij, alla possibilità di un pazzo furioso alla porta, si manifesta sulla scena di Dostoevskij all’arrivo di Nastas’ja.

Improvvisamente si fece silenzio. Tutti si volsero al principe, come se non avessero capito e non volessero capire. Ganja impietrì dallo spavento” (Dostoevskij).

Nastas’ja con la sua presenza fisica e i suoi interventi ambigui e provocatori diventa il fulcro della scena e tutto si svolge attorno a lei come attorno a un vortice, motivando gli altri personaggi e scandendo il ritmo dei discorsi.
Poi, la donna se ne va, come una folata di vento, lasciando sgomento e turbamento.

Immagino siano molti i paralleli da individuare.
Lascio alla vostra curiosità, la possibilità di scoprirne altri…

Scrittura #4 Descrizione di un ambiente: le “filastrocche” di Sciascia

girotondo parole

Descrivere un ambiente è un’operazione delicata, necessaria, ma pericolosa, pericolosa perché si rischia di diventare noiosi, fermando l’azione per collocare i personaggi o per definire una scena.

Sciascia è abilissimo: mantiene l’attenzione inalterata in chi legge grazie a uno stratagemma ritmico.

Le sue descrizioni lasciano senza fiato e non si può che seguirlo fino alla fine.

L’azione non viene interrotta, ma costituisce un unico corpo con la descrizione stessa: siamo nella casa e giriamo nelle stanze insieme al narratore e come lui vediamo tutti gli oggetti elencati.

Siamo lì, presenti, nel luogo dove si svolge la storia e non possiamo mica andarcene così su due piedi…

La casa era più vasta di quanto, guardandola da fuori, si poteva credere. C’era una grande sala da pranzo con un massiccio tavolo di rovere e quattro credenze, dello stesso legno, con dentro piatti, zuppiere, bicchieri e cuccume; ma anche vecchi giocattoli, carte, biancheria. Camere da letto, due con materassi e cuscini ammonticchiati sulle reti, una con un letto che pareva qualcuno ci avesse dormito la notte prima, ce n’erano tre; e forse altre dietro le porte che il brigadiere non aprì. La casa era stata abbandonata e anche dispogliata di arredi, libri, quadri e porcellane (si scorgeva qualche segno delle cose involate), ma non dava il senso di essere disabitata. Mozziconi di sigarette erano nei portacenere, e fondi di vino nei bicchieri, cinque, che erano stati portati in cucina certo con l’intenzione di sciacquarli. La cucina era spaziosa, con focolari a legna, forno, mattonelle valenziane murate intorno; pentole di rame e tegami appesi alle pareti: davano un certo splendore, nella poca luce, anche se verdicavano di solfato ormai. Dalla cucina, una porticina si apriva su una scala che saliva stretta e buia, e non si vedeva dove finiva“. (Una storia semplice, Leonardo Sciascia)

Per descrivere le stanze e gli arredi, Sciascia declama, come fosse una filastrocca, una lista di oggetti. Il ritmo dell’elenco è serrato e potrebbe essere indifferentemente scandito dai battiti di un metronomo o recitato da voci cantilenanti di bambini.

Gli ambienti sono ridotti a una carrellata che sopraffà la vista, ma è gradevole all’orecchio.
Una musicalità che incanta e avvolge il lettore, una sorta di formula magica che costringe a proseguire senza sosta.

Il ritmo fornisce alla storia vitalità espressa anche nei battibecchi tra la polizia e i carabinieri.

Poco meno di due ore dopo, arrivarono tutti quelli che dovevano arrivare: questore, procuratore della Repubblica, medico, fotografo, un giornalista prediletto dal questore e un nugolo di agenti tra i quali per sussiego spiccavano quelli della scientifica. Sei o sette automobili che anche dopo che erano arrivate continuarono a rombare, stridere e urlare, così come dal centro della città erano partite suscitando la curiosità dei cittadini e anche quella […] dei carabinieri: per cui il colonnello dei carabinieri, cupo in volto, arrabbiatissimo, pronto a litigare, col dovuto rispetto, col questore, arrivò una mezz’ora dopo, le porte tutte già aperte con quelle chiavi che stavano sulla scrivania, il rilevamento delle impronte già un po’ a casaccio cominciato, il morto fotografato da ogni parte“.

L’atmosfera da filastrocca prosegue con l’elenco di tutti i partecipanti al “gioco” e poi l’autore infila tre verbi “rombare, stridere e urlare” uno dietro l’altro riferiti alle automobili che introducono nell’atmosfera concitata presente sulla scena del delitto.

Nelle descrizioni frenetiche, quasi l’assolo di uno strumento impazzito, non mancano i numeri, come in qualsiasi filastrocca che si rispetti:

1 massiccio tavolo di rovere; 4 credenze; 3 camere da letto; 5 bicchieri; 6 o 7 automobili…

Scrittura #3 Clara Sánchez: la descrizione ‘emozionale’ dei personaggi

Penna e taccuino

Minuzioso, ed ‘emozionale’ il modo di descrivere di Clara Sánchez.

Il personaggio di Verònica ci giunge attraverso gli occhi e le sensazioni dell’altra co-protagonista: Laura ed è un vero e proprio racconto, dal ritmo incalzante.

Una ridda di particolari che si susseguono come se chi osserva e definisce la ragazza sia colto dalla sua forte vitalità che s’impone alla vista e fluisce nelle parole usate per descriverla.

Era una di quelle persone che ti rimangono in testa anche se le guardi appena. Con alcune devi fare uno sforzo sovrumano per ricordarne il viso o il nome, e invece altre ti sembra di averle conosciute in un’altra vita più intensa. Non era quello che si dice una bella ragazza, e neanche brutta, ma tutto quello che aveva era molto forte: la brillantezza dello sguardo, la lucentezza dei capelli, la forma del naso, le guance, il rosa della bocca, l’ombra marcata delle occhiaie, le spalle, le mani, le cosce tese sotto i jeans, la voce roca come quella di una cantante nera. L’energia che sprigionava era così densa che si poteva vedere e toccare“. (tratto da: ‘Entra nella mia vita‘)

In un evolversi di elementi sempre più incalzanti: i capelli, il naso, le guance, la bocca, ecc. arriviamo alla frase conclusiva, dopo una corsa tra sostantivi e aggettivi accumulati a bella posta per farci sentire tutta la carica vitale di Verònica.
La Sánchez chiude il suo miniracconto con una frase che interrompe il flusso ritmico precedente e ci porta di colpo all’interiorità del personaggio, come se ogni elemento esteriore di questa ragazza scaturisca dalla sua anima e da essa sia modellato e reso palese a chiunque la osservi.

Sì anche a te che leggi le sue pagine, soprattutto a te…

Scrittura #2 La descrizione dei personaggi: Agatha tu mi stupisci

Agatha Christie

Un’autrice che descrive con grande rapidità e precisione è Agatha Christie.

I suoi personaggi sono un insieme di indizi.

Quadri in miniatura: suggeriscono ai lettori fisionomia e tratti caratteriali dei soggetti della storia.

A voler definire in una sola parola il signor Jesmond, questa sarebbe stata “discrezione”. Tutto, in lui, era discreto. Gli abiti di ottimo taglio ma non vistosi, la voce garbata e ben educata che raramente si alzava in toni che si staccassero da una piacevole monotonia, i capelli castano chiaro che cominciavano a diradarsi alle tempie, la faccia pallida e grave“.

La signora Lacey era vicina alla settantina, dritta come un bastone, con i capelli candidi come la neve, le guance rosee, gli occhi azzurri, un nasino spiritoso e il mento risoluto“.

I signori Baker […] ci stavano aspettando. Erano una coppia simpatica. Lui tutto rattrappito e con le guance rosse, come una mela raggrinzita, e sua moglie una donna di vaste proporzioni e con la calma della gente del Devonshire“.

Niente è superfluo nelle sue descrizioni.

Come nelle sue storie, dove ogni cosa va al suo posto e ogni particolare trova la giusta collocazione e una successiva spiegazione, anche i protagonisti dei suoi gialli vengono definiti con la stessa logica ed essenzialità.

Scrittura #1 La descrizione dei personaggi: introduzione

typewriter

C’è chi si attarda e chi procede rapido, chi usa brevi stoccate, chi lievi pennellate.

Altri ancora rielaborano e descrivono con minuzia certosina, non limitandosi all’aspetto esteriore, ma indagando nell’animo con gli strumenti di un esperto analista.

Chi scrive necessita di un bagaglio di parole, ma anche di strumenti.

E dove attingere se non nella lettura?

Gli scrittori leggono i libri, o almeno dovrebbero, con la consapevolezza di cui parla Stephen King in “Misery“.

Con il passare degli anni Paul si era sempre più rassegnato al fatto che non sarebbe stato più capace di leggere come soleva da bambino: divenuto scrittore lui stesso, si era condannato a una vita di dissezioni“.

La lettura è ancora un piacere, ma per ‘lavorare’ sui libri è necessaria una lettura più profonda che vaglia con attenzione ogni aspetto della scrittura.

Un lavoro chirurgico che non trascura nulla, sezionando ogni cosa: lo stile in generale, le descrizioni di ambienti e dei personaggi, il modo di veicolare le emozioni, il ritmo nello snodarsi delle frasi; persino l’uso di singolari metafore, quelle meravigliose creatrici di immagini:

le più riuscite restano impresse nei ricordi di chi legge e creano stupore ogni volta che riaffiorano alla mente.

Pino Matia: Finalmente a “casa”

cover pino Matia

Il giovane Matia, di “mestiere” pinolo, è protagonista di alcune simpatiche disavventure, mentre tenta di ritornare a casa.

Lungo il cammino incontrerà vari amici: Dandy, il ragno Trendy, Trilly, una coccinella che gli svelerà alcuni “misteri” legati agli “umani” e altri personaggi ancora…

Alla storia che si dipana nel libro, divertente e illustrata con dovizia, si intreccia una vicenda parallela che ha visto questo libro destreggiarsi tra una miriade di “tentativi editoriali” che lo stavano per relegare in fondo ad un cassetto.

Molti entusiasti, ma nessuno intenzionato a portare a compimento un’avventura che sembrava destinata a non andare a buon fine.

Grazie all’autopubblicazione, io e mia sorella possiamo sottoporre finalmente questo libro al semplice e puro giudizio dei lettori, senza intermediari e speriamo che possiate apprezzare il nostro lavoro.

Ora, il piccolo Pino Matia è nelle vostre mani e spero che entri nei vostri cuori…

Un’autrice… “perfetta”

Venerdì, 15 febbraio, 2013 – 01:48

Milly

In the Spotlight/Sotto i Riflettori: Elisabetta Rossi

L’AUTRICE

Mi chiamo Elisabetta Rossi e sono nata ad Ancona.
Ho riempito di scrittura quaderni di poesie e racconti sin dall’infanzia e tutto, solo per passione.
Ora, alla passione si è aggiunta la determinazione e la necessità di scrivere tutti i giorni.
Il mio primo incontro con l’editoria è grazie a delle illustrazioni, quelle per un libro di favole: “Cammerville”.
Poi, una rivista femminile a tiratura nazionale mi ha dato l’occasione di saggiare le mie qualità di scrittrice. Ho collaborato con loro per quattro anni scrivendo racconti e romanzi brevi.
Nel frattempo, il mio desiderio di scrivere inseguiva nuove e più impegnative mete: un romanzo più ampio e strutturato.
Nel settembre del 2008 l’Armando Curcio Editore pubblica il mio primo romanzo, utilizzando uno pseudonimo. Questa avventura è proseguita con la pubblicazione di due romanzi rosa e quattro gialli, l’ultimo è uscito a giugno del 2012.
La tappa successiva del mio percorso è stata quella dell’editoria digitale affrontata come self-publisher.
Attualmente, la mia “squadra” di ebook auto pubblicati spazia dal romance al giallo con diversi titoli diffusi su molti store online.
Nonostante i vari cambiamenti e i naturali passi avanti nel mio modo di scrivere, alcuni punti restano tuttora fermi dai primi personali tentativi di scrittura ad oggi: la passione che continua a spingermi imperiosa e la speranza di riuscire ad inchiodare il lettore alle mie pagine, fino a fargli dimenticare quello che lo circonda.

 

IL LIBRO

cover_due_gioni_perfettiGianna ha la ricetta perfetta per dimenticare un tradimento amoroso: assumere dosi massicce di panna cotta e crème brûlée.
Il suo lavoro, invece, la aiuta un po’ meno. La nostra golosa amica si occupa di una rubrica dedicata alle future spose e il suo lavoro consiste nel rispondere alle mail delle sue interlocutrici prossime al matrimonio riguardo ad ogni dettaglio, dalla cerimonia all’abito e agli accessori da indossare.
Un giorno, leggendo tra le infinite mail delle sue lettrici, un particolare frivolo: una giarrettiera, la incuriosisce e le resta in mente. Quella sera stessa, mentre chiacchiera con una sua amica al bar, ascolta per caso una conversazione tra due sconosciuti e scopre che “una delle sue spose”: Cristina, non farà di certo un matrimonio felice.
A seguito di questa scoperta, Gianna che non è tipo da lasciar perdere delle questioni amorose controverse, cerca a tutti i costi di aiutare la sua sconosciuta interlocutrice. Mentre cerca di rintracciare la donna indecisa sulla giarrettiera si imbatte per caso in Luca, un ragazzo fantastico che per due giorni sarà compagno e amante perfetto.
Solo due giorni, però, perché Luca deve partire per Rotterdam, per lavoro e questo breve lasso di tempo è tutto quello che possono concedersi.
La sua breve e intensa relazione non le ha fatto dimenticare che deve impedire a tutti i costi un matrimonio: quello tra Cristina e Alberto, e Gianna, che non è certo tipo da demordere, tenta veramente di tutto, ma i suoi sforzi sembrano non approdare a nulla. Il giorno delle nozze di Cristina, però, la attende un’ulteriore sorpresa…
Incomprensioni, litigi, riconciliazioni, segreti e molti colpi di scena si susseguono senza sosta.
Riusciranno Gianna e Luca a dare un seguito a quei due giorni perfetti o la nostra amica dovrà di nuovo rifugiarsi nella sua tanto amata panna cotta.
Continua a leggere Un’autrice… “perfetta”

Due storie… imperdibili

banner copertine

Due appuntamenti con la lettura da non perdere, due storie molto diverse che hanno in comune l’incipit: un incontro fortuito che darà origine a situazioni e sviluppi molto diversi.

Questo è l’unico punto in comune delle due storie.

Anime ribelli” è un romance ambientato durante il periodo risorgimentale.
Due giovani dal carattere indipendente e appassionato si incontrano per caso e si innamorano. Sullo sfondo, le vicende sanguinose dell’Unità d’Italia.
La storia d’amore e quella di guerra si intrecciano e si mescolano dando vita ad un libro avvincente che coinvolgerà il lettore sia nelle vicissitudini vissute dai personaggi sia nelle tristi vicende storiche.

Cambiando completamente scenario, “Le cinque W” è un breve racconto, una narrazione in prima persona di una serie di avventurose situazioni che scaturiscono da un rapido, quanto coinvolgente incontro di sguardi.
Gli ingredienti per intrigare il lettore ci sono tutti: una donna misteriosa, una morte inesplicabile, una fuga movimentata, fino all’epilogo, al quale si giungerà dopo aver risposto alle classiche cinque W giornalistiche e avere finalmente svelato ogni enigma.

Lavori in corso

Cartello lavori in corso

Sto lavorando ad un giallo natalizio che spero di riuscire a mettere online prima delle feste.

Sono immersa nelle ricerche, perché per essere credibili e soprattutto per evitare di scrivere un cumulo di sciocchezze bisogna documentarsi a fondo sugli argomenti che si intendono trattare nelle proprie storie.

Ho il naso immerso nei manuali e nella contemporanea lettura di gialli per cogliere suggerimenti sulla descrizione dei personaggi, per valutare con attenzione, oserei dire misurata, descrizioni, ambientazioni, atmosfera nella quale personaggi e vicissitudini si caleranno.

È necessario un lavoro di grande equilibratura, perché quando si scrive un giallo (qualcuno saggiamente mi ha fatto notare) non è prudente dilungarsi o divagare troppo con lo sguardo perso tra le nuvole, perché anche un’occhiata alle nuvole deve rientrare nella storia.

Anche le divagazioni devono necessariamente far parte di un processo sottile che sostiene e nutre la strategia della narrazione.

Un giallo è fatto di meccanismi molto delicati che vanno rispettati. Diciamo che ogni cosa va vista nell’economia del fatto principale: di solito qualcuno muore e qualcun altro indaga, il resto però non è solo cornice, ma è un misurato e studiato contorno che, oltre a garantire una forma piacevole, deve seguire l’andamento degli avvenimenti.

In questo momento sto ragionando intensamente sui personaggi e sono riuscita a creare un’insolita correlazione.

I lavori sono in corso…