Letture pressappochiste: oggi chi legge non presta molta attenzione

Leggere parole social

La lettura pressappochista è ormai un fenomeno convalidato e, frequentando i social, rispondendo alle mail e osservando la svariata gamma di comportamenti online e offline delle persone, ho riscontrato una cronica mancanza di attenzione per la lettura.

I lettori forti non hanno bisogno di incoraggiamento, ma in pratica vivono su un binario parallelo rispetto alla gente comune, quella che ad esempio, legge un titolo di un post e trae le sue conclusioni, senza approfondire, senza, a volte, capire neppure il contenuto di un articolo.

Questa lettura pressappochista spesso conduce a conclusioni errate su un argomento e oggi, il passaparola, specie su internet, può diventare virale e produrre una valanga di notizie false che a loro volta scatenano reazioni a catena e sono difficili da emendare.

Leggere con attenzione e capire quanto si legge è essenziale e non solo per chi è del mestiere, come gli scrittori, è importante per tutti, perché ogni messaggio che ci arriva dal mondo può aiutarci a: relazionarci con gli altri nel modo giusto; comprendere quello che ci circonda; valutare il futuro che ci attende.

Inoltre, capire è essenziale per fare scelte giuste e consapevoli e tutta la tecnologia del mondo non ci salverà dal pressappochismo.

Intervista a Flaminia Mancinelli: un’amica e una scrittrice

Flaminia Mancinelli scrittrice

Flaminia Mancinelli è una scrittrice, ma per noi è prima di tutto un’amica, per questo abbiamo deciso di dedicarle una breve intervista in concomitanza con la pubblicazione del suo secondo romanzo con la casa editrice Newton Compton.

Raccontaci qualcosa di te
Nata a Roma e cresciuta a libri e scritture!
Ho fatto mille studi e quasi altrettante professioni. Dagli studi di filosofia e teologia al lavoro nel cinema, e poi la libraia, la giornalista, ecc…
Mi sono mossa molto su e giù per lo “stivale” e poi mi sono trasferita nel nord della Francia, dove ora vivo in aperta campagna, insieme a tutta la mia biblioteca.

Quando hai sentito il bisogno di passare dallo scrivere solo per te alla pubblicazione?
Davvero tu credi che si scriva per se stessi?
La scrittura, come la parola, è una forma di comunicazione. Estremizzando così come chi parla da solo ha qualche problema, anche chi scrive per infilare tutto in un cassetto a me sembra un po’ “strano” o… se la racconta. Dopo aver scritto un testo congruo io ho sempre fatto fatica ad andare a bussare alla porta degli editori, e difatti mi stupiscono quegli autori che raccontano di aver mandato i loro romanzi a decine di editori prima di trovarne uno disposto a pubblicarli. A me è successo sempre per caso. Non credo che avrei avuto la testardaggine né l’insistenza di provare e riprovare.
Mi piaceva il Self publishing perché non è necessario… bussare…

In base alla tua esperienza, quali sono i vantaggi e gli svantaggi che hai rilevato quando sei passata dall’autopubblicazione alla pubblicazione con una casa editrice?
In realtà io ho fatto il cammino inverso: all’inizio ho pubblicato il mio primo romanzo con una casa editrice romana, ma era stata un’esperienza tutt’altro che esaltante, quindi quando ho scritto La Profezia della Stella, l’ho stampato per conto mio. Era il “lontano” 2008 e Amazon e gli scrittori indie erano ancora all’inizio. Dal 2011 ho iniziato e leggere eBook sul Kindle e dopo qualche mese, dopo aver ripubblicato La Profezia in elettronico ho continuato così fino al 2016 quando…
… È una storia un po’ lunga, spero di non annoiarti…
Dunque nel 2016 avevo autopubblicato numerosi testi, di vario genere, e uno di questi (Omicidi all’ombra del Vaticano), dopo aver conquistato le vette della classifica di Amazon, ha attirato l’attenzione della Newton Compton che mi ha proposto di entrare a far parte della loro squadra di autori. Ho accettato e così ho riprovato le vie dell’editoria tradizionale.
La difficoltà maggiore per me, che sono uno spirito molto indipendente (con una buona tendenza all’anarchia) è dover rinunciare alla libertà cui sono avvezza. Ma è naturale, se si fa parte di una squadra devi sottostare alle regole degli altri. In cambio hai indubbi vantaggi. Ad esempio mi sono liberata dell’impaginazione e della grafica della cover, che erano senz’altro compiti impegnativi. E poi con questo secondo libro l’editore mi ha affiancato un Editor davvero valido, che mi sta facendo rivalutare questa figura professionale.
Insomma un po’ meno libertà ma in cambio molte professionalità utili a darmi una mano.

Parlaci del tuo ultimo romanzo e delle tua esperienza lavorativa come scrittrice in generale.
Senza movente” nasce, per molti aspetti, dalla mia esperienza personale. Sono nata a Roma e vivo in Francia, quindi mi è venuto spontaneo creare una duplice trama ambientata sia nella Capitale sia nelle regioni francesi della Bretagna e della Normandia. Ma dalla mia vita passata ho tratto anche diversi personaggi con i quali ho popolato le pagine di questo mio ultimo romanzo. Non solo “personaggi” positivi, anzi… Alcuni, purtroppo, attraversati da una tragica vena di follia. Tutto ciò generato dalla mancanza di amore.
Tutta la vita ho scritto. Ho iniziato a 9 anni. Mia madre mi propose di fare un regalino al mio fratellino e io gli scrissi una favola, illustrandola con orribili disegni (non sono affatto dotata in questo settore della creatività!). Ho sempre scritto considerandolo un secondo lavoro, al quale mi sono dedicata sempre più assiduamente a mano a mano che crescevo, ed ora lo faccio a tempo pieno. Gran bel mestiere, ma che purtroppo molto di rado consente la sopravvivenza economica.
È molto frustrante se si considerano il tempo e l’impegno necessari a creare un prodotto professionalmente valido.

Cosa pensi dell’ebook?
All’inizio tutto il bene possibile. Ho iniziato a leggere in formato elettronico nel 2011.
Comodo (soprattutto quando le librerie di casa hanno ormai alzato bandiera bianca!), praticissimo in viaggio e in vacanza (puoi avere con te decine di libri con un ingombro minimo). Ma poi a questa tecnologia si è affiancato il fenomeno dell’autopubblicazione. Così, visto che tutti si considerano scrittori, siamo stati invasi da milioni di manoscritti. Troppi. Molti sono lavori approssimativi, tirati via e sgrammaticati. E questo ha penalizzato in generale il libro elettronico. Molti lettori, dopo essere incappati in brutti libri, hanno preso le distanze da Self ed eBook.
Occorrerebbe una certa selezione, ma chi potrebbe farla? Per Amazon gli scrittori Indie rappresentano uno splendido business e quindi lo alimentano senza porsi questioni di qualità, e gli altri market plance seguono a ruota l’esempio del gigante di Seattle.
Peccato…

Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato e in bocca al lupo per i tuoi futuri lavori!

Pubblicazioni dell’autrice

Musica e Scrittura: analogie tra strutture poetiche e musicali #2

Libro con note musicali e lettere

Come le lettere dell’alfabeto sono le parti elementari e indivisibili della voce articolata, da cui sono composte le sillabe, le quali a loro volta compongono i verbi e i sostantivi con cui si forma il testo di un discorso compiuto, così le note sono gli elementi primi della voce cantata, dalla loro combinazione sorgono gli intervalli e dalla combinazione di questi i sistemi musicali (dal “Musica enchiriadis” [dal greco: Manuale di musica] di autore anonimo).

Nella trattatistica della seconda metà del IX secolo emergono già chiare analogie tra funzionamento del sistema linguistico e quello musicale.
Dalle lettere dell’alfabeto che non possono essere mescolate casualmente tra loro, si passa alle note che altrettanto devono essere scelte per produrre un effetto armonioso.

L’armonia, quindi, si genera attraverso elementi in accordo tra loro.

Componimenti poetici e composizioni musicali vengono costruiti utilizzando strutture regolari, tali strutture migrano dalle forme poetiche nella musica in maniera diretta: brani musicali così realizzati sono costituiti di sezioni omogenee per ampiezza e numero di elementi, seguendo le norme metriche della poesia.

Molti trattatisti teorizzano riguardo alle corrispondenze tra linguaggio e musica, un altro interessante parallelo è tra la struttura del discorso in retorica e quello in musica, quindi, anche le melodie finiscono per avere un principio uno svolgimento e una fine, proprio come un ben congegnato discorso fatto di parole.

Le analogie possono essere davvero tante.

le frasi musicali hanno un incipit, proprio come un qualsiasi testo letterario; possono contenere domande e risposte; si sviluppano in certi casi con un crescendo, come una conversazione che cerchi di essere convincente e piena di pathos; possono simulare il senso delle parole (come una scala ascendente che tratteggi la parola “salire” o una scala o un accordo discendente che simuli la parola “inferno”); addirittura possono riprodurre il canto degli uccelli, con dovizia di espedienti, o i rumori prodotti da una battaglia.

Il discorso delle analogie non finisce qui, ovviamente, questa è solo l’esile punta di un iceberg. Le possibilità di associare testi e musica sono davvero infiniti e presentano mille sfumature: dalla percezione in un testo letterario di ritmo e musicalità, al tono di conversazione o dialogo di un brano musicale.

Il mestiere della scrittura inizia da una “buona” lettura

Lettore LetturaUno scrittore, di cui non ricordo il nome, sosteneva che una volta che si inizia a scrivere per mestiere, il modo di leggere gli altri autori cambia profondamente. Secondo la sua tesi, uno scrittore non può limitarsi a leggere un libro solo e semplicemente godendosi la storia, ma la sua lettura sarà un’indagine vera e propria, uno studio approfondito del testo.

Aveva ragione.
Intrapreso il mestiere della scrittura, anche leggere non può essere più soltanto un piacere per chi scrive. Non ci si può limitare ad apprezzare in modo superficiale una storia, ma è necessario entrarci dentro, scomporre il testo, le frasi, passare al vaglio gli aggettivi, saggiare l’uso e l’efficacia della punteggiatura.

In una sorta di autopsia del contenuto si procede in certi casi come farebbe un patologo con un corpo sul tavolo dell’obitorio: si ricerca la causa della perfezione nascosta dietro una storia, dietro espressioni prive di sfilacciature, ci si sofferma su metafore e modi di dire.

Si tenta di comprendere come una serie di frasi concatenate possano creare quel senso di ansietà, quel brivido di accelerazione dato dall’azione che fa salire l’adrenalina e spinge a cercare la frase successiva, il nuovo paragrafo e la pagina ancora a seguire.
Oppure si indaga all’opposto su quel senso di quiete, di pausa a effetto che ci costringe a fermarci, a riflettere, magari a sognare a occhi aperti…

Leggere diventa studiare, con attenzione, con cura e poi, quanto appreso va rielaborato, spesso in modo inconscio, e ci si accorge che scrivendo una nuova storia c’è stata una maturazione, una crescita, uno sviluppo inatteso.
Nuove cose prendono forma: nuovi concetti, nuove parole, nuove strutture con cui fare nuove costruzioni, più complesse, più intense, spesso più vicine alla realtà.

Musica e Scrittura: le pause, elementi pieni di significato #1

musica notazione musicale

Oggi, mentre giravo le pagine di uno spartito musicale a un mio amico organista, mi sono ritrovata a riflettere sull’importanza delle pause.

Una pausa consente di prendere un respiro sia che si parli di note sia di parole. E questo fatto non è per niente trascurabile.

Una pausa, inoltre, consente all’ascoltatore di riflettere, di ripensare a quanto ha udito e poi di proseguire.
Le pause musicali sono piuttosto semplici: sono contraddistinte da segni ben precisi che le indicano con chiarezza e ne stabiliscono la durata.
Una pausa può essere più o meno lunga e, a volte, la durata è a discrezione del musicista.

In alcuni casi, ho osservato che una pausa è seguita da una ripresa di un tema che diventa più significativo dopo quell’interruzione ad hoc; è come se il tema che ritorna, che spesso è introdotto in una tonalità diversa, apparisse indossando un abito con lo stesso taglio di prima, ma con un colore differente. In pratica, il tema riemerge rinnovato, rinfrancato e inquadrato sotto una luce diversa.

Quando poi, dopo molte vicissitudini e magari dopo un’opportuna pausa, il tema torna, riproposto nella stesse veste dell’originale, l’orecchio non lo percepirà più, comunque, uguale al primo ascolto.
L’ascoltatore sarà felice di risentirlo, come se rivedesse un vecchio amico venirgli incontro dopo tanti anni di assenza, e le note pur essendo le stesse (o quasi del tutto) saranno diverse, come se nel frattempo, nel trascorrere dello spartito, fossero maturate, cresciute, avessero un’esperienza alle spalle che le rende più attraenti, più appetibili all’orecchio e di solito, a questo punto, il brano si chiude, un po’ come il vecchio e trito, ma pur sempre efficace “E vissero felici e contenti”…

Come produrre nella scrittura simili opportunità?

Ci sto riflettendo, indagheremo insieme nei prossimi post…

Il Latinista: una nuova indagine per il commissario Lambert

Cover Il Latinista

Il commissario Lambert è alle prese con una nuova complicata indagine.

Parigi. In una ex casa di cura abbandonata viene ritrovato il corpo di uno sconosciuto ucciso a pugnalate.
Una scritta in latino campeggia su una parete della scena del crimine: è un motto, usato da Cesare Borgia e da molti altri prima di lui.
L’assassino non ha lasciato altre tracce dietro di sé, neppure l’arma del delitto, e la frase misteriosa sarà il punto di partenza e il filo conduttore di uno strano gioco di rimandi con cui il commissario Lambert e i suoi collaboratori dovranno fare i conti.
Mentre il Latinista, questo il nome che si è guadagnato l’assassino, continua a uccidere, il commissario e i suoi consulenti vedranno spiazzate le loro supposizioni e per risolvere il caso dovranno seguire l’istinto più che le prove…

Sullo sfondo di una Parigi accennata, eppure presente, A.J. Evans, al suo quinto appuntamento con il giallo, ci conduce attraverso inquietanti scene del crimine all’inseguimento di un spietato assassino.
Supposizioni, dubbi, una scritta misteriosa e tracce di un passato che sembra esigere vendetta, mettono  a dura prova la perspicacia e l’intuizione del commissario Lambert e dei suoi capaci collaboratori che faranno di tutto per assicurare il colpevole alla giustizia.

Personaggi in cerca di autore o Autore in cerca di personaggi?

Principe ranocchioPersonaggi e autore hanno un rapporto complicato che non si limita alla penna e al foglio di carta. I personaggi di un libro sono per il suo autore degli amici, dei compagni di viaggio e spesso i rapporti con loro non sono semplici.

In realtà, lo scrittore intraprende con i suoi personaggi delle vere relazioni, a volte di amicizia, a volte di amore e odio.

Quando alcuni autori sostenevano di litigare a volte con i loro personaggi o di essere costretti a determinate scelte per “soddisfarli”, non volevo crederci.
Continuando a scrivere, devo riconoscere che ho dovuto ricredermi, e non poco…

Negli ultimi racconti “gialli” scritti, ho affrontato situazioni simili: un personaggio a cui pensavo di assegnare un ruolo secondario, per fare risaltare un altro del quale credevo di avere in testa una perfetta caratterizzazione, sorprendentemente si è preso a forza una quantità di spazio che io non avevo immaginato in alcun modo di dargli.
Con rassegnazione, ho dovuto lasciarlo fare.

Il suo carattere si è definito a mano a mano che procedevo con la scrittura e, di storia in storia, la sua particolare personalità ha finito per lasciare in ombra il personaggio a cui avevo destinato un ruolo di primo piano.

La conferma di questa inversione di piani e parti rispetto a quanto avevo preventivato mi è giunta dalla recensione di un lettore che nell’occasione aveva trovato il personaggio che doveva essere, nei miei intenti, “secondario”: “più riuscito e interessante”.

Nell’ultimo racconto che sto ultimando, devo contrastare la veemenza di un altro similare personaggio che, nonostante i miei tentativi di soffocarne le ambizioni, di fatto mantiene in una certa subalternità tutti gli altri. Osservo con una certa preoccupazione che sono sempre più numerosi i personaggi che riescono ad imporsi, presentandosi con arroganza sulla scena, e mi impongono una revisione nella pianificazione degli eventi e intrecci, tanto da cambiare la storia che avevo in testa.

Perciò, mi sono chiesta se in effetti non siano i personaggi a cercarci, mettendo a disposizione le loro vite, piuttosto che noi scrittori a crearli, illudendoci di aver inventato un personaggio e la sua storia.
Non mi stupirei, a questo punto, che un ranocchio diventasse un principe o viceversa…

Lo scrittore: un lanciatore solitario. “Per gli scrittori non ci sono panchine”

palla da baseball

Mi sono immersa nella lettura de “Il mestiere dello scrittore” con la stessa fiducia e curiosità con cui avevo affrontato “On Writing” di Stephen King.
Leggere i consigli degli scrittori sulla scrittura è un’esperienza interessante da cui si riemerge più consapevoli e muniti di qualche strumento in più per destreggiarsi nel difficile mestiere di scrivere.

Ingenuità, semplificazione e spontaneità sono, secondo Murakami, essenziali per chi decide di affrontare lo scoglio della scrittura, per chi ha deciso di iniziare a comunicare, scrivendo.

Ho trovato interessante l’osservazione disincantata di Haruki Murakami della sua stessa scrittura e della sua evoluzione nel tempo.
Il suo primo romanzo è stato partorito con assoluta ingenuità (nei confronti del panorama letterario del momento, di cui non sapeva nulla e nella totale ignoranza delle regole da seguire per scrivere un romanzo) ed estrema semplificazione (parole semplici ottenute con un lavoro di sottrazione).

Scrivere il suo primo romanzo per Murakami è stato come, metaforicamente parlando, costruire uno scheletro che nel tempo si è dotato di una muscolatura.
In pratica, per lui, l’esercizio di scrivere è stato un vero e proprio processo di stratificazione e ispessimento; i suoi lavori successivi si sono irrobustiti e sono diventati più complessi, seguendo una sorta di evoluzione fisiologica.

La scrittura, secondo l’autore, nasce da pochi elementi, parole semplici e discorsi semplificati, dove la sottrazione è un’operazione fondamentale.
In seguito, questa struttura andrà ispessita e acquisterà forza ed energia, in modo naturale e, crescendo, con costanza e determinazione, acquisterà concretezza e un certo livello di maturità.

Tutto però deve partire da un impulso puramente interiore.
La gioia spontanea e il senso di libertà che ne consegue, insiti nel gesto di scrivere, devono permeare il lavoro dello scrittore.
Murakami, parlando di questo impulso, fa un esempio che mi ha ricordato due parabole evangeliche: quella del seminatore (Matteo 13,1-23, Marco 4,1-20 e Luca 8,4-15) e quella della casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia (Matteo 7,21-29), quando dice che chi scrive senza avere dentro di sé questo impulso non combinerà granché, come le piante che non hanno radici saldamente affondate nella terra.

Lo scrittore è un accumulatore di informazioni.
Leggere, senza dubbio, è il primo dovere di un buon scrittore.
La lettura continua e infaticabile è un compito imprescindibile del processo di scrivere.
Inoltre, un esercizio molto importante, per Murakami e non solo per lui, è osservare con attenzione: cose, eventi, persone e riflettere su quanto si è osservato, senza, però, formulare giudizi.

Questa operazione di raccolta del materiale deve essere seguita da un’efficace organizzazione di quanto si è accumulato.
La memoria ovviamente non riesce a ricordare ogni cosa al millesimo, quindi, bisogna operare una selezione, centellinare quanto si è raccolto dal mondo circostante, isolare e poi, conservare dettagli concreti e peculiari, quelli cioè che hanno maggiormente attirato la nostra attenzione, “tanto meglio se inspiegabili, è ovvio. Poco ragionevoli, privi di filo logico, poco convincenti o misteriosi“.
Murakami sostiene che “gettando dentro la mente le cose alla rinfusa, quello che deve sparire sparisce, quello che deve restare resta. A me piace questa selezione naturale della memoria“.
Rimanendo in argomento, Burrhus F. Skinner (psicologo statunitense) definisce cultura “ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto“, quindi, bisogna fidarsi del potere selettivo della nostra mente di conservare solo ciò che è davvero importante, quello che è indispensabile o utile e magari, abbandonare il fedele taccuino su cui normalmente si annota ogni cosa, per lasciare sedimentare i ricordi e filtrare solo ciò resta.

Dal ripostiglio dove sono rinchiusi alla rinfusa i materiali più disparati, bisogna trarre gli elementi che opportunamente composti diano vita a una sorta di magia
.
Murakami sostiene di scrivere come se stesse componendo musica, la magia, che dà senso a una storia e la rende meritevole di essere letta, secondo lui, si crea tenendo conto di alcuni preziosi alleati: il ritmo, elemento fondamentale per costruire e tenere in piedi una storia, un ritmo saldo dall’inizio alla fine; l’armonia creata da una serie di accordi molto diversi fra loro; l’improvvisazione, quella dei musicisti jazz che attraverso la libera espressione mettono in gioco tutte le loro capacità tecniche e il gusto musicale.
Secondo Murakami se ritmo e armonia sono ben gestiti si può improvvisare in maniera spontanea. Improvvisare per creare liberamente il proprio suono.

Secondo Murakami si scrive perché si ha il desiderio di farlo, mossi da un interesse genuino, da una forza che permette di superare ogni difficoltà.
In ogni caso, quando l’autore inizia a scrivere un romanzo, è solo. Nessuno lo può aiutare a organizzare il materiale nella sua testa o a trovare le parole giuste per esprimere quello che intende dire. Quello che si è iniziato da soli, si deve portare avanti e completare da soli.
Non si può fare come i giocatori di baseball, che di questi tempi, dopo aver lanciato sette volte, lasciano il posto a un altro e vanno ad asciugarsi il sudore in panchina. Per gli scrittori non ci sono panchine. Una volta iniziata la lunga sfida, devono continuare a lanciare la palla, forse anche quindici, diciotto volte, fino al termine della partita“.

Scrivere storie semplici: un interessante progetto in lingua tedesca

scrivere storie semplici

Da un po’ di tempo scorro con interesse gli articoli sulla Deutsche Welle e traduco dal tedesco per fare esercizio.

Leggere e tradurre è molto utile per chi, come me, sta imparando una nuova lingua ed io cerco di leggere in tedesco il più possibile, per accelerare l’apprendimento di questa lingua che mi affascina moltissimo.

Il desiderio di studiarla a fondo è nato ai tempi dell’università, allora, ammiravo alcuni dei miei insegnanti che conoscevano piuttosto bene il tedesco (nello studio della musicologia, conoscere il tedesco è importante, considerato il numero elevato di compositori di lingua tedesca, così come per gli stranieri è utile conoscere l’italiano, specie per gli amanti e gli studiosi dell’opera lirica), quindi, ho inseguito questo sogno, lasciandolo lì, ad aspettare tempi migliori che, finalmente, sono arrivati.

Tra gli articoli che ho letto, ne ho trovato uno che riguarda un progetto molto interessante realizzato dalla Literaturhaus Frankfurt (Istituto culturale di Francoforte) che ha proposto a 6 scrittori una sfida: scrivere dei testi semplici e comprensibili, per favorire la lettura a chi ha difficoltà di comprensione della lingua tedesca, pare, infatti, che in Germania siano davvero in tanti ad avere problemi sia di lettura che di scrittura.

I 6 autori che hanno aderito al progetto si sono dati 11 regole da seguire per la stesura dei testi: dovranno fare riferimento a eventi, luoghi, persone o oggetti della storia di Francoforte; possono anche essere inventati; letti ad alta voce non devono durare più di 20 minuti; parole e frasi usate devono essere semplici; se si usano figure retoriche, queste dovranno essere spiegate; i salti temporali vanno evitati; il racconto avverrà da un unico punto di vista; la struttura del testo sarà suddivisa in modo chiaro; si dovranno usare pochi sostantivi e molti verbi.

Affascinato dal progetto ha aderito anche lo scrittore tedesco-islandese, Kristof Magnusson che è stato intervistato e ha spiegato alcune delle sue personali scelte riguardo al suo breve racconto: “Die billige Wohnung” (L’appartamento a buon mercato).

Kristof ha scelto come argomento un fatto di cronaca: l’omicidio di una prostituta di Francoforte, Rosemarie Nitribitt, avvenuto nel 1957.
La particolare scelta è dovuta al fatto che la storia era nota a tutti; inoltre, tematiche come sesso e violenza sono facilmente comprensibili per chiunque.

Magnusson ha fatto una scelta anche riguardo alle parole straniere: farne un uso ridotto e dove sono proprio necessarie far sì che vengano chiarite dallo stesso io-narrante, evitando spiegazioni didascaliche.
La storia è narrata in prima persona da una giovane donna che si esprime con frasi semplici, per la maggior parte costituite da un’unica affermazione.

Nel complesso trovo il progetto molto interessante e sarei curiosa di vederlo attuato anche in Italia.
Sarebbe molto utile, considerata la presenza massiccia di stranieri nel nostro paese e l’alfabetizzazione in preoccupante diminuzione.
Potrebbe essere una valida iniziativa per aiutare chi vuole leggere e incontra difficoltà di comprensione, magari, potrebbe anche invogliare chi, invece, semplicemente, legge poco.

Indagare? Un’opera di fede. Singolari figure di detective

Saturno cappello prete

Che cosa ne pensate della figura del sacerdote-investigatore?

A giudicare dalle serie che circolano in televisione, direi che questa singolare figura di detective riscuota un notevole successo sia nei libri che in TV.

Penso alla serie dei gialli con protagonista Padre Brown (tratta dai libri dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton), al più recente Don Matteo o ancora,  alla serie inglese Grantchester (tratta dal ciclo di romanzi “The Grantchester Mysteries” di James Runcie) che ha come protagonista un sacerdote anglicano, Sidney Chambers; senza dimenticare poi, altri soggetti le cui storie sono ambientate in periodi storici più remoti.

In effetti, la figura di un sacerdote alle prese con delle indagini poliziesche è un ottimo accostamento: chi può conoscere meglio l’animo umano di un prete abituato ad armeggiare con il materiale umano e allenato a scrutare oltre l’apparenza per arrivare a sondare i lati più oscuri dell’animo umano?

Alla fine, queste storie che hanno come protagonisti investigatori con la tonaca vedono la netta distinzione tra giustizia terrena e giustizia divina.
A un certo punto, le due strade, quella della polizia e quella “ecclesiastica” che indagano si dividono. Entrambi i rappresentanti delle due istituzioni fanno il proprio lavoro: chi vuole assicurare alla legge il criminale e chi vuole redimerlo, ma il viaggio fino al punto dello svelamento è davvero interessante.

Di solito, assistiamo a divertenti scaramucce tra il sacerdote e il rappresentante ufficiale della giustizia, fino a una resa più o meno evidente, di fronte alla soluzione del caso che, ovviamente, viene brillantemente risolta dal detective dilettante (che proprio dilettante non è).
Queste baruffe servono a rendere più interessante la storia, allentano la tensione e offrono spesso spunti comici, donando vivacità alle storie e facendo da riempitivo nei momenti in cui l’indagine langue.

Inoltre, una buona parte di questi sacerdoti, oltre a una notevole intelligenza e astuzia, sono dei tremendi ficcanaso, la loro curiosità li rende ancora più simpatici e quando prendono (in buona fede, per carità) per i fondelli il rappresentante della legge di turno, non possiamo far altro che stare dalla loro parte e sorridere di quanto accade.

In ogni caso, questi preti-investigatori, impiccioni e arguti, agiscono sempre a fin di bene, in fondo, fanno solo la volontà di Dio…