Arthur Conan Doyle e il mitico detective, Sherlock Holmes

Arthur Conan Doyle e il mitico detective, Sherlock Holmes

Il 22 maggio del 1859, nasceva Sir Arthur Conan Doyle (Edimburgo, 22 maggio 1859 – Crowborough, 7 luglio 1930), capostipite del giallo deduttivo, padre, almeno in veste letteraria, del genio investigativo, Sherlock Holmes.

Conan Doyle – insieme a Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849) – è considerato il fondatore di ben due generi letterari: il giallo e il fantastico.
Nella sua vasta produzione, lo scrittore scozzese è passato dal romanzo d’avventura, alla fantascienza; dai temi storici al soprannaturale.

La prima opera di Doyle risale al 1879: “Il mistero di Sasassa Valley”, scritto pochi anni prima di laurearsi in Medicina e Chirurgia (1881), presso l’Università di Edimburgo. Non si trattava di un giallo, bensì di un racconto del terrore che Conan Doyle vendette al Chambers Journal.
Fu proprio mentre faceva da assistente medico a diversi dottori che iniziò ad appassionarsi alla letteratura e a scrivere le sue prime opere. Si ritiene, oltretutto che, il personaggio di Sherlock Holmes fosse ispirato a uno dei suoi professori di medicina: il brillante e freddo dottor Joseph Bell. Lo scrittore riprese anche il suo particolare metodo scientifico, oltre che le sue capacità deduttive.

Conan Doyle era indubbiamente un uomo dalle forti convinzioni, con un notevole senso dell’onore e durante la sua vita, sostenne diverse battaglie per i motivi più disparati, utilizzando la stampa per propugnare e sostenere il suo punto di vista, in modo davvero efficace e intraprendente.
Visse una gran varietà di esperienze umane: passò dalla povertà a una grande notorietà; conobbe anche molte persone importanti della sua epoca.
Esercitò come medico ed ebbe una lunga carriera come scrittore, praticò anche molti sport, come: cricket, biliardo, boxe, sci, motociclismo e calcio.

Fu mentre passava da un incarico di lavoro all’altro, ancora come medico, che iniziò a scrivere le avventure di Sherlock Holmes, più precisamente, nel periodo in cui aveva aperto uno studio medico nel Southsea (sobborgo di Portsmouth).
Le storie del singolare detective iniziarono ben presto ad avere un discreto successo. Il primo romanzo, dove compare questo singolare e arguto personaggio, risale al 1887: “Uno studio in rosso”, pubblicato sul Beeton’s Christmas Annual.
In questa prima apparizione, Doyle presenta Sherlock Holmes, delineando le principali caratteristiche del suo acuto investigatore e esponendo, al contempo, la perspicace scienza della deduzione che contraddistingue il suo metodo di indagine. Lo fa, utilizzando la voce del dottor Watson che in un certo senso è il suo alter ego.
Nel 1880, compare una seconda avventura di Sherlock Holmes, “Il segno dei quattro”, questa nuova avventura dell’infallibile detective gli decretò un enorme successo.

Nonostante la notorietà di Doyle sia dovuta proprio al personaggio di Holmes, il rapporto fra i due fu piuttosto contrastato: lo scrittore lo odiava, perché era diventato più famoso di lui.
Inoltre, Doyle avrebbe preferito esplorare generi letterari diversi, come l’avventura o il fantastico oppure dedicarsi a opere di ricerca storica, invece di soffermarsi prevalentemente sui gialli.
L’elemento fantastico penetra, però, anche in alcune storie di Sherlock Holmes, ad esempio, il romanzo “Il mastino dei Baskerville” (1902) e il racconto “Il vampiro del Sussex” (1927).

Il personaggio di Sherlock Holmes è comparso in quattro romanzi e cinquantasei racconti ed è diventato l’emblema del giallo. Inoltre, il successo di cui è stato oggetto lo ha portato a uscire dalle pagine scritte, per passare nel mondo del teatro, del cinema e della TV, e, secondo alcuni critici, è la più famosa figura di detective della storia del giallo.

Doyle ci presenta Holmes in questo modo: “il suo sguardo era acuto e penetrante; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un’aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell’uomo d’azione. Le mani, invariabilmente macchiate d’inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia” (La scienza della deduzione, II capitolo di “Uno studio in rosso”, Mondadori, 1976).

Non sappiamo molto del passato di Sherlock Holmes e neppure della sua vita personale. Le sue storie, poi, sono quasi tutte narrate in prima persona dal dottor John Watson, amico e biografo, che Holmes conosce nel 1881, quando cerca un coinquilino con cui condividere l’appartamento al 221B di Baker Street.

La convivenza tra l’investigatore e il dottore funziona alla perfezione e anche le indagini guadagnano da questa perfetta simbiosi, mentre il rapporto tra Doyle e il suo personaggio continua a essere tutt’altro che sereno: lo scrittore giunse a un punto da tale di insofferenza nei confronti del suo investigatore, da volersi liberare di lui in modo definitivo.

Nel racconto “L’ultima avventura”, Sherlock Holmes muore, durante un duello con il suo formidabile antagonista: Moriarty.
Purtroppo per Doyle, il suo pubblico si oppose alla prematura dipartita del personaggio e lo scrittore, a malincuore, si convinse a scrivere un nuovo romanzo con lo stesso protagonista: “Il mastino dei Baskerville”, ambientato prima della presunta morte, avvenuta nel 1891.
Successivamente, siccome il corpo dell’incredibile detective non era stato rinvenuto, Doyle lo fece risuscitare e tornare alacremente al lavoro ne “L’avventura della casa vuota”, ambientata nel 1894.
Nei tre anni mancanti, Sherlock Holmes – veniamo a sapere dallo scrittore – sarebbe stato nascosto, per occuparsi di un incarico segreto da parte del governo britannico.

La carriera investigativa di Sherlock Holmes termina con un tranquillo pensionamento: il detective si ritira dapprima nel Sussex, a studiare l’apicoltura, poi in una fattoria vicino a Eastbourne, dove si occuperà di agricoltura e filosofia, ma solo dopo aver dato man forte all’Inghilterra, come agente del governo, durante la prima guerra mondiale.

Sherlock Holmes è un personaggio complesso, pieno di sorprese. Oltre a una mente brillante, il nostro intraprendente detective non disdegna di affrontare faccia a faccia i suoi avversari, anche contrastandoli fisicamente: è un eccellente schermidore e pratica il pugilato a mani nude. Inoltre, conosce il bartitsu (sistema di lotta derivato dal jujitsu giapponese), ciò lo rende uno dei primi occidentali ad aver praticato le arti marziali orientali.

Holmes possiede anche curiose conoscenze e abitudini: è in grado di distinguere all’istante vari tipi di terreno; è edotto di ogni dettaglio, riguardante misfatti commessi nel suo secolo; è un profondo conoscitore di tabacco (ha scritto un trattato su questo argomento); non disdegna i travestimenti nei quali è piuttosto abile.
Inoltre, è anche un buon violinista, oltre che un accanito fumatore di pipa.

Per quanto riguarda le capacità sociali e relazionali, nei vari romanzi, il personaggio di Sherlock Holmes mostra di avere un buon rapporto solo con il suo amico Watson, mentre sembra emotivamente distaccato e disinteressato a tutti gli altri.
Non si interessa neppure alle donne: vuole avere la mente lucida, mentre “l’amore è un’emozione, e tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io pongo al di sopra di tutto” (“Il segno dei Quattro”).

Per le sue investigazioni, Sherlock Holmes applica il metodo scientifico: osserva la realtà circostante, raccoglie prove e indizi e poi trae le sue mirabili deduzioni.
Un’attenta osservazione dei dettagli è sempre il primo passo, cui segue la raccolta di prove inoppugnabili, grazie alle quali è possibile formulare le giuste conclusioni.

Per quanto riguarda la scrittura di Doyle, in riferimento alle storie di Sherlock Holmes, il suo linguaggio appare serratissimo, anche quando ci sono in corso dei monologhi o delle descrizioni. In entrambi i casi la scrittura è asciutta e quasi concatenata, da tale modo di procedere, si ottiene un quadro netto e preciso.
Interessante poi, è la contrapposizione tra i casi che Holmes deve risolvere, che sono di una singolarità estrema e la semplicità della loro soluzione, ovviamente, una volta risolti.

Il personaggio di Sherlock Holmes, al di là delle sue caratteristiche psicologiche e fisiche che lo contraddistinguono, risulta particolare per il contrasto tra il modo in cui appare e quello che invece è (es. tenente Colombo). È alto, ha una figura esile, all’apparenza sembra debole, mentre in realtà, è esattamente il contrario; appare come uno sciocco, mentre è chiaramente tutt’altro.

In ogni caso, le capacità di Conan Doyle non si fermano qui: non solo lo scrittore è abile nel descrivere le situazioni e i personaggi, ma sa sfruttare brillantemente anche gli elementi atmosferici, associandoli all’andamento della storia: es. una sera tempestosa collegata a eventi drammatici e straordinari.

Codice 206: I casi del commissario Nick Raisi

In “Codice 206”, il commissario Nick Raisi si troverà coinvolto in un cold case. A trascinarlo dentro le indagini saranno i misteriosi messaggi lasciati da “Ala”, un writer che ha fatto della sua arte un’arma al servizio della giustizia.

Dopo “Rime Mortali“, torna con “Codice 206”, il personaggio di Nick Raisi, un tipo davvero singolare a cominciare dalle sue passioni: l’hip hop e i dolci. Il commissario romano odia la neve e la montagna, ma a causa di un’indagine scabrosa si ritrova catapultato, suo malgrado, dalla sua amata Roma a Brunico, in Alto Adige. Il suo arrivo ha portato diversi cambiamenti in città, soprattutto nel modo di condurre le indagini.

Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.” (Friedrich Nietzsche)

Nick Raisi è insolito, a volte divertente.
Conduce le indagini con una patina d’ironia e riesce sempre a fiutare la pista giusta che conduce alla verità.
Stavolta il commissario romano, trasferito a Brunico, deve indagare su un uomo scomparso anni prima, che i suoi concittadini credevano morto per un incidente in montagna.
Ad aiutarlo ci sarà un misterioso writer che si firma “ALA” e che lo sfiderà a risolvere i suoi rebus tappezzati per la città.
Raisi con l’aiuto della sua squadra e le felici intuizioni della sua ragazza, Larissa Meier, darà una luce completamente diversa al caso dell’uomo scomparso che dietro una impeccabile facciata nascondeva un terribile segreto.
Il commissario dovrà muoversi tra omertà e coni d’ombra, fino a svelare la vera natura della vittima e l’identità del suo assassino.

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Agatha Christie, regina del giallo, e l’infallibile detective, Hercule Poirot

Agatha Christie regina del giallo e l'infallibile detective Hercule Poirot

Il 12 gennaio ricorre l’anniversario della morte di Agatha Mary Clarissa Christie (Torquay, 15 settembre 1890 – Winterbrook, 12 gennaio 1976), una delle più famose e prolifiche scrittrici del XX secolo.
Per misurare la sua notorietà, basta dire che, subito dopo Shakespeare, è la scrittrice inglese più tradotta.
I personaggi più celebri dei suoi gialli: Hercule Poirot e Miss Marple sono famosi in tutto il mondo.

Agatha Christie è nota soprattutto per i suoi intricati e geniali racconti e romanzi gialli, ma in effetti, è stata anche autrice di diverse opere teatrali e di alcuni romanzi rosa che firmò con lo pseudonimo di Mary Westmacott.
I suoi gialli sono diventati così famosi per diversi motivi, tra questi, la fortuna che hanno incontrato due dei suoi personaggi più riusciti: Hercule Poirot e Miss Marple. I due diversissimi detective, accomunati però da un eccezionale acume, hanno fatto il giro del mondo e tuttora, le opere che li vedono protagonisti sono oggetto di nuove edizioni a stampa e di diversi adattamenti per il cinema e per la TV.

La Christie aveva sempre avuto una spiccata passione per i romanzi polizieschi. Dopo aver letto tutto quello c’era a disposizione alla sua epoca su quel genere, in particolare, Wilkie Collins e Sir Arthur Conan Doyle, scrisse il suo primo romanzo poliziesco, “Poirot a Styles Court”. In questo primo giallo, la Christie ci presenta per la prima volta l’ex ufficiale di polizia belga, destinato a diventare uno dei detective più famosi a livello mondiale: Hercule Poirot, la cui notorietà è paragonabile solo a quella di Sherlock Holmes.

Nel 1916, quando il primo romanzo dell’eccezionale detective vede la luce, l’Europa era in guerra, già da due anni, e la Christie lavorava come infermiera volontaria; il suo compito principale era quello di gestire il dispensario dell’ospedale, dove era possibile reperire medicinali ma anche veleni letali.

Secondo l’autobiografia della scrittrice, il suo romanzo nacque in seguito a una sfida, lanciata da sua sorella: “scommetto che non sei capace di scrivere un bel romanzo poliziesco”.
La Christie accettò la sfida e trovò ben presto l’ispirazione per dare vita a una storia avvincente.
Dal suo lavoro trasse l’idea in merito all’arma del delitto: un veleno, mentre Torquay, località del Devon, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, le fornì, anche se indirettamente, le indicazioni per il suo detective. Nel 1916, nella città natale della scrittrice, passavano molti belgi in fuga dal loro Paese, qualcuno di loro, o forse proprio uno in particolare, magari con dei baffi curiosi e ben curati, accese la sua fantasia e divenne l’ex poliziotto belga che con le sue brillanti “celluline grigie” risolverà crimini intricati.

Hercule Poirot non colpisce per la sua imponenza: è un uomo di bassa statura, grassoccio e leggermente claudicante, nonostante ciò, il suo portamento è eretto e dignitoso, e conserva l’aspetto del militare con i suoi baffetti rigidi e sottili, dei quali si prende molta cura.
Ha una testa di forma ovale che ricorda un uovo e di solito, la tiene inclinata verso destra. Ha ancora molti capelli e si distingue per il suo abbigliamento sempre preciso e perfetto. Inoltre, Poirot ama il cibo, ma solo quello di qualità e preparato con cura.

L’atteggiamento di Poirot è tendenzialmente flemmatico; è riflessivo ed estremamente preciso, non gli sfugge nulla, neppure il più trascurabile dettaglio, e grazie al suo fiuto straordinario e ai suoi accurati metodi di indagine, alla fine, anche il colpevole più scaltro finisce nelle mani della giustizia.
Inoltre, è presentato come un uomo molto sicuro di sé e delle sue capacità investigative.
Sappiamo anche che abita in un appartamento al 56B Whitehaven Mansions, Charterhouse Square, Smithfield, London W1, che ha scelto per la sua simmetria.
Agatha Christie, però, non ci dà alcuna indicazione della famiglia d’origine del suo famoso detective; scopriamo solo, in un altro dei suoi romanzi, che la sua nonna paterna si chiamava Marie.

In “Doppia colpa”, è Poirot stesso che ci informa della sua storia pregressa.
Come già accennato, veniamo a sapere che, sino allo scoppio della Grande Guerra, era capo della polizia di Bruxelles. Del suo periodo belga, veniamo a sapere che risolse un caso di omicidio: un ricco produttore di sapone, aveva ucciso la moglie per sposare la sua segretaria.
Inoltre, dalle parole dell’ispettore Japp, scopriamo che nel 1904, i due hanno già lavorato insieme, a Bruxelles, al caso Abercrombie.

Una volta lasciata la polizia belga e la sua stessa patria, Poirot giunse in Inghilterra come rifugiato, e qui iniziò la sua brillante carriera di investigatore privato. Il suo primo caso inglese gli conferirà una certa notorietà, lo risolverà insieme al suo più fidato amico, il capitano Arthur Hastings, dopo che i due amici ripresero i contatti il 16 luglio del 1916.

Durante la prima e la seconda guerra mondiale, Poirot viaggia in Europa e in Medio Oriente, sempre impegnato a indagare su crimini e omicidi.
Solo in pochi casi, l’eccezionale investigatore consente ai criminali di sottrarsi alla giustizia, ciò accade con la contessa Vera Rossakoff, una ladra di gioielli, della quale Poirot si è innamorato.
Non sarà però mai magnanimo nei confronti degli assassini, l’unico caso di omicidio che lo costringerà a insabbiare tutto è “Assassinio sull’Orient Express”, ma è la situazione stessa che in un certo qual senso lo obbliga a farlo.

Al termine della sua carriera, Poirot passa gran parte del suo tempo libero a riflettere su casi irrisolti dalla polizia, a leggere racconti polizieschi e a scrivere un libro.
Per quanto riguarda la sua morte, il famoso detective uscirà di scena alla fine del romanzo il “Sipario”, a causa di complicazioni cardiovascolari.
Prima di morire, Poirot commette un omicidio: uccide un serial killer; il senso di colpa, unito all’età avanzata e alla salute precaria, lo condurranno alla morte.
Le ultime parole pronunciate da Poirot “Cher ami!” sono per il suo amico di sempre, il capitano Hastings. Verrà sepolto a Styles Court e il cerchio così si chiuderà, perché è proprio qui che tutto aveva avuto inizio; il funerale sarà organizzato da Hastings.

Poirot appare come protagonista in ben 33 romanzi e in 5 antologie di racconti. Inoltre, lo troviamo anche in alcune raccolte di racconti, insieme con altri personaggi.
La Christie fu un’autrice molto prolifica, ma il suo primo poliziesco richiese ben quattro anni di lavoro. In questo periodo la scrittrice pensò spesso di abbandonare tutto, ma alla fine, “Poirot a Styles Court” sarà dato alle stampe, il 1° gennaio 1920, quando l’autrice, dopo aver apportato al testo le modifiche suggerite dall’editore, firmerà con John Lane il suo primo contratto.

Agatha Christie ebbe un successo immediato. Della sua prima storia poliziesca, i lettori gradirono la chiarezza espositiva e lo stile narrativo fluido. Inoltre, la scrittrice aveva una capacità descrittiva notevole che si riscontra nel tratteggio essenziale ma efficace dei personaggi.
Il finale del suo primo romanzo, consumato in una location informale: un elegante salotto, diverrà l’apprezzata cifra distintiva di molti altri finali della Christie, come: “l’Assassinio di Roger Ackroid”, “Il pericolo senza nome”, “Tragedia in tre atti”, “Delitto in cielo”, “La serie infernale”, “Il ritratto di Elsa Greer” e molti altri ancora.

Questo esordio poliziesco di Agatha Christie contiene tutti gli elementi che saranno presenti in gran parte dei suoi romanzi, anche quelli in cui Poirot non sarà presente.
La Christie sceglie ambientazioni casalinghe, dove si trovano diverse persone, legate fra loro da relazioni conflittuali, al punto da rendere chiunque un possibile omicida.
Lo schema della scrittrice è semplice ma ben congegnato: avviene un omicidio, ci sono più sospettati che nascondono segreti, questi sono svelati dal detective nel corso della storia, e solo verso la fine, sono rivelati quelli più sensazionali.

La Christie non esclude nessun possibile colpevole nelle sue storie: narratori, bambini, poliziotti, soggetti già deceduti, i sospettati in toto (“Assassinio sull’Orient Express”).
Le ambientazioni predilette dalla scrittrice sono di tipo casalingo e il finale è un vero colpo di genio: il detective riunisce i sospettati in una stanza e li coinvolge nel suo ragionamento deduttivo, durante il quale svela il colpevole. Ci sono davvero poche eccezioni a questo schema ma anche in questi casi, la scrittrice non delude mai i suoi lettori.

Per quanto riguarda il personaggio di Poirot, la Christie si stancò di lui, proprio come Sir Arthur Conan Doyle finì per odiare Sherlock Holmes.
La scrittrice, alla fine degli anni trenta, scrisse nel suo diario che riteneva Poirot “insopportabile”, mentre negli anni sessanta disse che era “un cagnaccio egocentrico”. Ma la Christie resistette alla tentazione di eliminare il suo detective, mentre era ancora popolare, a differenza di Conan Doyle.

La scrittrice non scrisse mai un romanzo o una storia breve, dove Poirot e Miss Marple si trovano a indagare insieme. In una registrazione, pubblicata nel 2008, la Christie ne rivelò la ragione: “Hercule Poirot, un egoista completo, non vorrebbe che gli venissero insegnati i suoi affari o avere suggerimenti da un’anziana signora zitella. Hercule Poirot – un investigatore professionista – non sarebbe affatto a casa nel mondo di Miss Marple“.

Hercule Poirot è l’unico personaggio di finzione che fu commemorato con un necrologio sul New York Times: dopo la pubblicazione di “Sipario”, apparve un articolo sulla prima pagina del giornale, il 6 agosto 1975.

Uso scrupoloso delle parole per aiutare il lettore a visualizzare una scena

uso delle parole

Fondamentale per una lettura coinvolgente è riuscire a scrivere in modo che il lettore possa visualizzare la scena che state descrivendo.

I termini da usare vanno scelti con grande oculatezza, in particolare i verbi che sono il propellente dell’azione.
Se utilizzate le parole giuste, con poche frasi ben delineate e una serie di verbi trascinanti, potrete costruire una scena che possiederà grande chiarezza e consentirà ai vostri lettori di entrare nella storia e farne in qualche modo parte.

Ad esempio, una frase semplice, tratta da “Le molliche del commissario” di Carlo F. De Filippis:
Il commissario spense la sigaretta, infilò la giacca e si alzò“.
Questa frase contiene nella sua brevità una scena perfettamente costruita e facilmente immaginabile dal lettore.
Si riesce a vedere il commissario che compie le tre azioni descritte; i verbi danno ritmo alla frase che è composta da tre segmenti che segnalano i tre gesti dell’uomo.

Nei gialli, in particolare, dove spesso le descrizioni sono usate ai minimi termini, è importante tracciare con rapidità una scena o i tratti caratteristici di un personaggio; è importante non far “soffrire” l’azione né farla stagnare, per questo, spesso, nei romanzi gialli compaiono frasi scarne ed efficaci e verbi incalzanti.

Regole di scrittura: in una storia, ogni elemento deve essere necessario

regole di scrittura

In una storia ogni elemento descritto ha una sua valenza. Una narrazione che funziona non introduce oggetti o situazioni inutili.

Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari” (A. Checov)

Checov aveva le idee chiare su come strutturare una storia.
Secondo il suo punto di vista, un oggetto che compare a un certo punto della narrazione viene introdotto perché ha uno scopo, una valenza precisa all’interno della storia che si sta raccontando.
In una narrazione accurata, quindi, non ci si sofferma su dettagli inutili o situazioni trascurabili.

Se un autore descrive un dato oggetto, vuol dire che esso avrà una valenza nella storia, a un certo punto, quella data cosa dovrà svolgere un compito, ad esempio, essere un elemento di svolta per il racconto e magari, cambierà completamente le sorti di un personaggio o più personaggi.

La stessa cosa avviene per le scene di un libro o di un film: se non producono un cambiamento nella vita del protagonista, se non servono all’economia della storia vanno eliminate.
In effetti, le storie sono più funzionali e sicuramente più efficaci senza fronzoli, ma strutturate solo con gli elementi necessari al dipanarsi delle varie situazioni e della vicenda in generale.

I gialli sono un genere dove tale tipo di regola è ancora più pressante: se in un libro viene descritto un dato oggetto o in un film l’inquadratura indugia su un particolare, il pubblico sa che a un certo punto della narrazione spunterà fuori di nuovo, così lettori o spettatori lo terranno a mente e magari, più avanti scopriranno che era l’elemento chiave che avrebbe condotto alla soluzione del caso.

Il Latinista: una nuova indagine per il commissario Lambert

Cover Il Latinista

Il commissario Lambert è alle prese con una nuova complicata indagine.

Parigi. In una ex casa di cura abbandonata viene ritrovato il corpo di uno sconosciuto ucciso a pugnalate.
Una scritta in latino campeggia su una parete della scena del crimine: è un motto, usato da Cesare Borgia e da molti altri prima di lui.
L’assassino non ha lasciato altre tracce dietro di sé, neppure l’arma del delitto, e la frase misteriosa sarà il punto di partenza e il filo conduttore di uno strano gioco di rimandi con cui il commissario Lambert e i suoi collaboratori dovranno fare i conti.
Mentre il Latinista, questo il nome che si è guadagnato l’assassino, continua a uccidere, il commissario e i suoi consulenti vedranno spiazzate le loro supposizioni e per risolvere il caso dovranno seguire l’istinto più che le prove…

Sullo sfondo di una Parigi accennata, eppure presente, A.J. Evans, al suo quinto appuntamento con il giallo, ci conduce attraverso inquietanti scene del crimine all’inseguimento di un spietato assassino.
Supposizioni, dubbi, una scritta misteriosa e tracce di un passato che sembra esigere vendetta, mettono  a dura prova la perspicacia e l’intuizione del commissario Lambert e dei suoi capaci collaboratori che faranno di tutto per assicurare il colpevole alla giustizia.