L’arte di pescare aringhe rosse nei gialli che più gialli non si può

Immaginate di essere un detective alle prese con un caso intricato. Seguite una traccia che sembra promettente, raccogliete indizi, formulate teorie… e poi, ta-da! Scoprite che era tutto un abbaglio, una deviazione studiata ad arte dall’autore per portarvi fuori strada. Ecco, avete appena abboccato a un’aringa rossa!

L’aringa rossa è il depistaggio, è quel dettaglio (cosa, persona, situazione) che ha il compito di distrarre il lettore, facendogli credere di essere sulla buona strada per scoprire qualcosa… quando in realtà non è così. È come guardare il gioco di un illusionista.

Crea suspense, ingaggia il lettore coinvolgendolo nell’indagine, sostiene il ritmo, amplifica l’effetto di quando ci sarà davvero il colpo di scena.

Ma perché proprio un’aringa e non un granchio?

La tradizione vuole che i cacciatori usassero proprio le aringhe affumicate (che nel processo assumevano un colore rossastro) per addestrare i loro cani. Trascinavano questi pesci sul terreno per creare false piste e insegnare ai cani a non farsi distrarre durante la caccia. Oppure venivano usate per distrarre i cani dei concorrenti… Da qui, il termine è passato alla letteratura per indicare quegli elementi della trama inseriti appositamente per sviare il lettore.

L’aringa rossa è uno strumento prezioso – direi un passaggio obbligato – per gli scrittori di gialli, thriller e mystery.

Ma attenzione: come in cucina, anche in narrativa il segreto sta nel dosaggio. Una falsa pista ben piazzata deve essere:

  • abbastanza convincente da attirare l’attenzione del lettore e distrarlo dal vero colpevole o dall’indagine
  • sufficientemente integrata nella trama da non sembrare posticcia
  • non troppo ovvia da risultare banale
  • non così dominante da far perdere di vista la vera storia
  • non ripetuto allo sfinimento da far perdere fiducia al lettore.
    Facile no?
“Ah, ma io sapevo che quello era il McGuffin!”
Eh no, sapevi male.

Il McGuffin è un altro espediente narrativo ancora. Il McGuffin è qualcosa (un oggetto) che tutti i personaggi vogliono disperatamente, ma il contenuto in sé non è importante per la storia. Classico esempio: la valigetta di Pulp Fiction.

Il McGuffin serve a far muovere la trama (è il motivo per cui i personaggi agiscono) mentre l’aringa rossa serve a ingannare il lettore distraendo dalla vera direzione della trama (è una falsa pista, abbiamo detto, no?). Il McGuffin resta importante fino alla fine (anche se poi il suo contenuto non lo è), mentre l’aringa rossa perde di importanza una volta rivelato l’inganno. Nel caso del McGuffin, è cercato attivamente dai personaggi; nel caso dell’aringa rossa spesso i personaggi lo ignorano (è più destinato al lettore).

Quindi: il McGuffin è come un cane da caccia che insegue una preda: non importa quale sia la preda, l’importante è continuare a inseguirla. L’aringa rossa è invece la falsa traccia lasciata per confondere il cane: svelato l’inganno, esaurisce la sua funzione.

Se vuoi andare a pesca o a caccia di storie… patrizia@cartaforbicesasso.com

Autografi e tanta emozione in libreria

Scrivere è un mestiere solitario. Lo dicono i grandi scrittori e io, umilmente, condivido.

Condivido l’aspetto della solitudine, ma soprattutto, il fatto che fare lo scrittore è praticare un mestiere. Infatti, se cercate la voce “mestiere” nel vocabolario Treccani troverete: “attività, di carattere prevalentemente manuale e appresa, in genere, con la pratica e il tirocinio, che si esercita quotidianamente”, e in effetti, questa è l’attività principale di chi come me si ritrova a fare questo lavoro.

Inoltre, mi sento di aggiungere che per scrivere è necessaria anche una quotidiana ricerca. Documentarsi, infatti, è parte integrante del mestiere di scrittore e l’aspetto della manualità, almeno per me, è prendere appunti, a mano, per studiare l’eventuale location oppure per caratterizzare i personaggi o ancora, per registrare la cronologia degli eventi e fissare la trama.

Ogni giorno sento la necessità di scrivere, aggiungo, tolgo, leggo, studio e mi documento, ma la parte più difficile resta sempre quella: il romanzo è pronto e deve essere inviato a una casa editrice. È la parte più difficile perché in questa fase si concentrano le speranze e spesso si sperimentano le frustrazioni.

Quando ho spedito il giallo “Presente sospeso” alla “Golem Edizioni”, una casa editrice indipendente di Torino, mi sono giocata il tutto per tutto. Se avessi subìto un rifiuto, avrei “appeso le scarpe al chiodo”.

Il mio più grande desiderio era quello di tornare in libreria, per godere di quella particolare emozione che solo chi ama aggirarsi curioso tra scaffali pieni di libri può capire. Perché chi scrive deve amare anche leggere e la lettura ha i suoi rituali, e i libri sono oggetti quasi sacri e chi li ama, adora toccarli, annusarli, sfogliarli e magari desidera in qualche modo di interagire con loro.

A me, per esempio, capita di lasciare un libro sul comodino o accanto alla poltrona preferita, in attesa del momento in cui posso dedicarmi alla lettura.
Dopo una giornata frenetica di lavoro o piena di incombenze, leggere è un toccasana, una terapia per l’anima, e io tengo conto di ciò quando presto le parole ai protagonisti dei miei romanzi.

Scrivere poi, può essere paragonato a viaggiare e il viaggio è quello che ogni autore fa con se stesso, magari accompagnato dai suoi personaggi e dalle emozioni che loro trasmettono.

Molti dei miei personaggi sono nati per dare voce a chi in vita non ne ha avuta una, perché magari non ha trovato il coraggio oppure non ha avuto il tempo per raccontare la propria storia.

Per quanto riguarda il pubblico dei lettori, quando ho la possibilità di incontrarlo, come nel firmacopie di Presente sospeso – cosa che non mi capitava da un po’, avendo scelto negli ultimi anni l’autopubblicazione – il calore e l’emozione che si provano sono qualcosa di incredibile, che non si riesce a descrivere.

In certi momenti poi, si pensa a chi ti ha sempre sostenuto e ha creduto in te, e allora si ricordano in particolare coloro che non ci sono più, ma che sono comunque presenti e sai che vegliano su di te.

In memoria di Adria Pannelli
Sconosciute onde ti culleranno nel tuo amato mare.

“Presente sospeso” di Elisabetta Rossi. Firmacopie in Ancona

Ancona, sabato 27 aprile, presso la libreria Mondadori, c.so Mazzini 31, dalle ore 17:00 ci sarà il firmacopie del giallo “Presente sospeso” di Elisabetta Rossi. Siete tutti invitati.

Manhattan. Terrazza di un grattacielo. Una donna si risveglia. Non ricorda il suo nome e non sa di essere già morta.

Con lei c’è un uomo che condivide il suo stesso destino.
Una sanguinosa rapina è appena avvenuta nel quartiere di Chelsea, su cui indaga l’ispettore Michael Cox dell’11° Distretto della Polizia di New York e la sua squadra.

Il caso diventa sempre più complicato, ma due delle vittime colpite a morte durante la rapina prendono coscienza di quanto accaduto e a loro modo affiancano l’ispettore nelle indagini per assicurare alla giustizia il loro assassino.

Cox riuscirà a ricostruire che la rapina finita nel sangue, racchiude tanti lati oscuri che si intrecciano con il mercato e lo spaccio della droga, in un quartiere dove mettersi contro criminali come Billy Miller, può costare la vita.

La Discrezione della Servitù: 1° caso per Fulgenzio Marcel dall’Orto

La Discrezione della Servitù 1° caso per Fulgenzio Marcel dall'Orto

Che cosa succede se un parrucchiere abbandona forbici e pettine per risolvere un omicidio?

Lo scoprirete se avrete voglia di avventurarvi tra le pagine dell’ultimo giallo firmato A.J. Evans.
Il protagonista, Fulgenzio Marcel dall’Orto, oltre al nome alquanto singolare, possiede un intuito sopraffino, utile non solo a individuare il miglior taglio o la perfetta acconciatura per ogni vip milanese che frequenta il suo salone, ma anche per condurre un’indagine che lo coinvolge da vicino…

Per altre informazioni, potete leggere l’intervista su questo racconto.

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Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #3

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 3

Il giallo è un genere in continua evoluzione, nella sua lunga e fortunata storia è stato oggetto di numerose trasformazioni, seguendo mode, cambiamenti sociali e subendo sempre nuove contaminazioni.

Nel periodo che va dagli anni cinquanta agli anni settanta, il giallo fu sempre meno caratterizzato dalla sua originale funzione catartica e consolatoria, acquisita negli anni dominati dal modello inglese.
I nuovi intrecci hanno un impianto meno ottimistico, sia se si guarda al genere hard boiled americano sia alle esperienze europee, con Simenon, ad esempio, e il suo Maigret.
Inizia in questi anni a profilarsi lo “spettro” della fallibilità della giustizia umana che con Friedrich Dürrenmatt (Stalden im Emmental, 5 gennaio 1921 – Neuchâtel, 14 dicembre 1990; scrittore, drammaturgo e pittore svizzero), poco tempo dopo, sarà condotta alle estreme conseguenze.

Per Dürrenmatt il romanzo giallo è soltanto una costruzione artificiosa studiata dagli autori, perché il più delle volte è la casualità a decretare il successo o il fallimento di una trama investigativa.
Per lo scrittore svizzero, la macchina della giustizia, che racchiude le indagini svolte dalla polizia sino agli aspetti giudiziari-processuali, non è in grado di comprendere appieno la verità umana che si cela dietro a un delitto.

Su questa linea procedono anche diversi altri autori europei. In Italia, citiamo Giorgio Scerbanenco (Kiev, 28 luglio 1911 – Milano, 27 ottobre 1969; scrittore, giornalista e saggista) i cui romanzi, dei capolavori del noir, mostrano l’amara realtà degli anni sessanta in Italia. L’Italia di quella fase storica era un paese difficile, cattivo, che aveva la smania di emergere ed era al contempo disincantato.

Negli anni settanta, il genere giallo affronta sempre di più il tema dell’sopraffazione da parte del potere di cui svela intrighi e nefandezze, ed è sempre più evidente l’impotenza di coloro che indagano.
Molti gialli italiani, stampati dagli anni quaranta in poi dichiarano le responsabilità criminali delle istituzioni. Da Scerbanenco a Fruttero & Lucentini, numerosi commissari sono raffigurati come dei perdenti e le trame dei gialli si tingono sempre più di noir. I lettori non si trovano più di fronte al finale classico, quando le istituzioni intervenivano e l’ordine precostituito era ristabilito, ora c’è solo disordine e caos.

A partire dagli anni ottanta fino a oggi, il giallo ha iniziato a proporre tematiche esistenziali, ma soprattutto sociali, come pure politiche e storiche. Pensiamo in questo caso, alle pagine di scrittori come: Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Manuel Vázquez Montalbán, Andrea Camilleri, Daniel Pennac, Stieg Larsson.
Queste nuove tendenze sono volte a sensibilizzare e a destare le coscienze, piuttosto che a divertire, come avveniva con le storie classiche, secondo il modello inglese.

In Italia, hanno avuto particolare fortuna i gialli di Camilleri, che si caratterizzano per: ambientazione; ironia; umanità dei personaggi; finezza degli intrecci polizieschi calati in uno sfondo sociale ben definito.

Alla fine del Novecento, inizia a profilarsi una schiera di giallisti scandinavi, quali Stieg Larsson, Jo Nesbø, Henning Mankell, Per Wahlöö, Camilla Läckberg, Liza Marklund, uniti da vari fattori: la scelta di ambientazioni similari, ovviamente, nordiche; dal fatto che le indagini sono condotte da detective “anomali” sia a livello umano sia investigativo; dalla presenza di forti legami tra fatti criminosi, indagini e tematiche con un considerevole impatto sociale.

Valutando l’evoluzione del genere giallo, possiamo rilevare che il divario tra il modello anglosassone e quello europeo si consoliderà fino ai nostri giorni. Questo è dovuto a motivi sia culturali sia commerciali, che hanno fatto sì che il giallo anglosassone restasse più o meno nei suoi binari, mentre in Europa, la tendenza di questo modello classico di giallo è andata affievolendosi negli anni, fin quasi a sparire.
Restano comunque ancora degli scrittori estimatori della tipologia classica, ad esempio, Gōshō Aoyama (pseudonimo di Yoshimasa Aoyama; Daiei, 21 giugno 1963; fumettista giapponese) che con il suo famoso Detective Conan riprende lo stereotipo dell’investigatore infallibile; la deduzione è ancora il suo strumento di indagine fondamentale; la struttura di alcuni suoi gialli ricalca quella degli emblematici delitti impossibili (enigma della camera chiusa).

Il genere giallo, così come altri generi altrettanto fortunati, con una lunga vita e un nutrito pubblico, hanno subito varie contaminazioni e dato vita a singolari ibridismi.
Un’interessante sfumatura assunta dal genere è rappresentata dal romanzo mistery, dove l’aspetto razionale, tipico del romanzo di indagine, si unisce a un’esplorazione del mondo dell’occulto e del paranormale. Questi nuovi esempi di giallo “contaminato”, oltre a svolgersi in atmosfere gotiche, hanno anche subìto una trasformazione a livello strutturale, spesso non del tutto in sintonia con una narrazione che richiede, proprio per sua natura, razionalità.
Una volta terminata questa fase di passaggio, nonché di riordino, potremo scoprire quale direzione prenderà il nuovo romanzo giallo.

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #2

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 2

A inizio Novecento soffiano venti di cambiamento per il giallo. Tra gli anni venti e trenta, il genere prenderà le distanze dal modello instaurato dai gialli di Conan Doyle e si creeranno correnti diverse in Europa e in America.

Agli inizi del Novecento il genere giallo incontra sempre più consensi, innanzitutto da parte dei lettori, successivamente, anche da parte della critica.

Molti autori si dedicano alla scrittura di gialli e un certo numero di essi ha anche raggiunto una fama mondiale, tra questi: Raymond Chandler (1888-1959), Rex Stout (1886-1975) e Agatha Christie (1890-1976).

Compaiono anche dei tentativi di dare forma a un detective diverso, più umano, meno freddo, altrettanto si cerca di fare con le storie.

Un esempio di tali iniziative si rilevano nei libri di Gilbert Keith Chesterton (1874 – 1936; scrittore e giornalista britannico, molto prolifico e versatile), creatore del prete detective, Padre Brown.

Il vero cambiamento, però si avrà solo verso la metà degli anni trenta, quando gli autori di questo genere inizieranno ad affrancarsi dagli schemi del giallo classico. Ed è proprio in questa fase che iniziano a definirsi due strade che, parallelamente, e in modo molto diverso, in Europa e in America, prenderanno le distanze dal modello creato da Conan Doyle (1859 – 1930) con “Sherlock Holmes”.

Negli anni venti e trenta, negli Stati Uniti si afferma un genere di giallo che sarà poi definito hard boiled. Le storie di questo tipo sono descritte con toni oscuri e negativi; lo stile è tagliente, il linguaggio crudo si spinge ai limiti del volgare.

Il delitto è uno degli elementi della narrazione, mentre le ambientazioni e la descrizione psicologica dei personaggi assurgono a parte di rilievo nella storia.

Gli scenari degradati delle metropoli americane fanno da sfondo a una società in cui contano solo potere e denaro, mentre i buoni e i deboli sono – ahimé – destinati a soccombere.

I detective di queste storie sono figli dell’America spietata e disincantata degli anni successivi alla terribile crisi del 1929. Sono dei solitari, avventurieri, dei duri, traditi dalla vita e per questo, spesso alcolizzati o comunque forti bevitori, che non hanno più nulla in cui credere.

In Europa, invece, dai primi anni trenta i cambiamenti nel genere giallo assumono toni meno duri di quelli usati dagli scrittori che vivono dall’altra parte dell’oceano.

In Italia, Augusto De Angelis (1888 – 1944; scrittore e giornalista, attivo in particolare durante gli anni del fascismo) diede vita al suo commissario De Vincenzi, una sorta di Maigret italiano che, purtroppo, non incontrò grande favore di pubblico. Forse, anche a causa della chiusura culturale dovuta al fascismo e anche per lo scarso apprezzamento del genere poliziesco da parte del regime.

Nel 1943, fu imposto il sequestro in Italia di “tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita“. Fu anche chiusa la famosa collana di gialli di Arnoldo Mondadori Editore.

Il regime fascista, per motivi propagandistici e di ordine pubblico, mirava a nascondere sotto il tappeto qualsiasi cosa potesse incrinare la facciata positiva e integra della società italiana, che era mostrata agli italiani e al mondo. Per questo motivo, il crimine fu fatto scomparire sia dalla cronaca sia dalla letteratura. I gialli, anche se trattavano di atti criminali immaginari, erano comunque visti con sospetto, come un mezzo per istigare e sovvertire l’ordine costituito.

In Europa, invece, il genere continuava la sua inarrestabile evoluzione.
A metà degli anni trenta, George Simenon (1903 – 1989) creò il personaggio di Maigret e sovvertì in maniera definitiva l’idea di indagine e persino il concetto di romanzo poliziesco. Grazie a lui, non mutò solo la figura del detective, ma anche gli ambienti, le situazioni e i personaggi in generale, diversissimi da quelli cui si era abituati a “frequentare” con il giallo classico.

Ora, sotto la lente dell’investigatore non c’è più il mondo aristocratico, ma l’uomo comune, il piccolo borghese, e le trame dei nuovi libri gialli tengono sempre più conto delle tematiche esistenziali, filosofiche e psicologiche.

Lasciando al passato le ambientazioni rarefatte e mondane, si scende nelle strade, ad affrontare le inquietudini della gente comune. Il romanzo poliziesco a questo punto non è più strettamente letteratura di genere, ma accresce il suo spessore sia a livello contenutistico sia stilistico e finisce per mescolarsi con una letteratura dotata di un più ampio respiro.

Simenon, a braccetto con il suo Maigret, ha fatto e tuttora fa “visitare” ai suoi lettori una Parigi fatta di brasserie e quartieri popolari, spingendosi fin nella provincia francese.

Il commissario di Simenon non è un eroe, è un uomo ordinario e vulnerabile, un poliziotto e un borghese, che però è dotato di una profonda umanità.

Le sue indagini, condotte in modo molto diverso da quelle dei suoi predecessori, danno quasi l’idea che non stia per niente indagando, e arrivano a rivelare il più delle volte una verità amara.

Anche gli assassini di Maigret non hanno niente a che vedere con i loro predecessori del genere: sono persone comuni che uccidono, perché un imprevisto ha sconvolto le loro vite e le ha costrette ad agire di conseguenza.

Nelle storie di Simenon, non c’è il gioco della deduzione, al fine di individuare l’assassino. Il colpevole, infatti, è spesso individuato o comunque sospettato abbastanza presto, ma quello che conta in questo percorso non è capire chi, piuttosto perché, cioè ricostruire la verità umana, arrivare al motivo che ha fatto scatenare il dramma e ovviamente, ottenere le prove per inchiodare il colpevole.

Quello che conta, insomma, per Maigret e per Simenon è la vicenda umana dietro al crimine che si è consumato.
(prosegue)

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #1

Il genere letterario che va, almeno in Italia, sotto il nome di “giallo” ha avuto negli anni una grande fortuna. Negli anni ha visto mutare le ambientazioni, le figure degli investigatori, il suo contenuto e persino le sue finalità, ciò che è rimasto intatto è il fascino che ancora esercita sui lettori.

Il termine “giallo”, usato per definire un genere letterario, è valido solo nella lingua italiana e deriva dalla collana “I Libri Gialli”, concepita da Lorenzo Montano (pseudonimo di Danilo Lebrecht, 1893 – 1958; scrittore e poeta italiano) e pubblicata in Italia, dal 1929 in poi da Arnoldo Mondadori (1889 – 1971; editore italiano fondatore della omonima casa editrice).
Questa scelta editoriale ha influenzato il modo di riferirsi al genere poliziesco che, mentre nei paesi francofoni resta invariato (roman policier e polar), in Italia, mutuato dalle copertine gialle di Mondadori, sarà associato d’ora in poi a questo colore.

Parlare di storia del giallo significa fare riferimento alla storia del genere poliziesco, in quanto la nascita e lo sviluppo di nuove ramificazioni del genere si è verificata solo più avanti, con una produzione variegata che comprende: thriller, spy-story e giallo psicologico.

La nascita del genere giallo si fa risalire al mese di aprile del 1841, quando sulla rivista “The Graham’s Magazine di Filadelfia” fu pubblicato “The Murders in the Rue Morgue” (I delitti della Rue Morgue), un racconto di Edgar Allan Poe (1809 – 1849; scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense) in cui compare Auguste Dupin, investigatore che risolve i casi, senza neppure recarsi sulla scena del crimine, ma che trae indizi da resoconti giornalistici e sfruttando le sue incredibili capacità deduttive.

Sulla scia di Dupin, comparirà un altro infallibile detective, Sherlock Holmes dalla penna di Arthur Conan Doyle (1859 – 1930). La sua prima indagine sarà narrata nel romanzo “Uno studio in rosso”, del 1887.

Il panorama giallo italiano si anima dal 1852, con “Il mio cadavere”, di Francesco Mastriani (1819 – 1891; scrittore, drammaturgo, giornalista; autore di romanzi d’appendice di grande successo).
Il romanzo, inizialmente, apparve in appendice sul periodico napoletano di politica e cultura “L’Omnibus”. La prima puntata (‘’La famiglia dello stradiere’’) uscì in stampa il 13 dicembre 1851.
Nel 1888, Emilio De Marchi (1851 – 1901; scrittore, poeta e traduttore italiano; fra i più importanti narratori del secondo Ottocento italiano) pubblica “Il cappello del prete”, romanzo giallo fra i più interessanti dell’epoca.

In Italia, il genere giallo inizia a prendere campo nel dopo guerra e nelle pagine dei nuovi romanzi si inizia a sentire l’influenza dalla scuola americana “Hard boiled” della narrativa poliziesca.

A essere considerati, universalmente, come primi gialli sono comunque le avventure di Sherlock Holmes. Il personaggio creato da Conan Doyle ha proiettato una lunga ombra sul genere, che è giunta fino agli anni trenta del Novecento, e molti personaggi concepiti sotto questo ascendente da autori europei e americani derivano direttamente da Holmes.
Tra questi, appartenenti al periodo classico del giallo, citiamo i più famosi: Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie (1890 – 1976; scrittrice e drammaturga britannica); Philo Vance di S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright, 1887 – 1939; scrittore e critico d’arte statunitense); Lord Peter Wimsey di Dorothy L. Sayers (1893 – 1957; scrittrice, poetessa e drammaturga britannica) ed Ellery Queen, il più famoso degli pseudonimi di Frederick Dannay (1905 – 1982) e Manfred Bennington Lee (1905 – 1971), scrittori di letteratura poliziesca e inventori del detective che ha il nome del loro pseudonimo.

Questa messe di investigatori letterari non è, ovviamente, una pedissequa ripresa del modello, ma ogni detective citato presenta caratteristiche specifiche e ogni autore ha tentato a suo modo di proporre elementi nuovi, ad esempio, nello stile e nel contenuto.
Ma restano molti aspetti in comune con l’originale. Prima di tutto la capacità deduttiva, a seguire l’abilità di riconoscere l’importanza di indizi che agli altri sembrano trascurabili e infine, la dote di mettere insieme i pezzi e trovare la soluzione di casi intricati o quasi impossibili.

L’arma della deduzione che questi abili investigatori possiedono deriva dal positivismo ottocentesco. Questi personaggi hanno una fede incrollabile nei confronti della logica, della scienza e della ragione.
Ogni indagine conduce immancabilmente a una sola e unica soluzione che è possibile affermare grazie all’analisi delle tracce trovate sulla scena del crimine e attraverso tale analisi si può giungere alla verità, senza possibilità di errore.

Questo tipo di detective sono uniti anche perché appartengono a classi sociali assimilabili: spesso benestanti o di nobili origini e svolgono le loro indagini principalmente per vanità intellettuale oppure per curiosità o diletto, per il puro desidero di risolvere un mistero. Non rappresentano la legge e mirano essenzialmente a scoprire la verità.
Inoltre, gli ambienti in cui avvengono i crimini sono spesso altolocati ed eleganti, lontani dai luoghi quotidiani in cui avvengono di norma fatti criminali.

Gli investigatori del giallo classico sono sempre dilettanti. Il motivo è semplice: questi personaggi non sono vincolati da regole e possono indagare in piena libertà, mentre un poliziotto o un funzionario dello Stato devono attenersi ad esempio, alle norme e alle direttive dei superiori.

I gialli di questo periodo hanno una forte componente morale, anche se sono stati ritenuti per molto tempo una “letteratura di evasione”.
In queste storie, il colpevole, dopo essere stato individuato, subisce una punizione, la giustizia trionfa e torna l’ordine precostituito, che era stato sconvolto dalle azioni del criminale. Questo processo di ripristino delle regole rientrava nelle consuetudini sociali dell’epoca, ancora dipendente dalla visione moralistica di stampo vittoriano.
(prosegue)

Hard boiled: il genere letterario e i suoi “eroi”

Hard boiled il genere letterario e i suoi eroi

L’hard boiled è un genere letterario che si sviluppa negli Stati Uniti e darà il via a una vera e propria rivoluzione del genere poliziesco.

Pistola in pugno e bionda al fianco può essere una descrizione spiccia ma adeguata del detective del genere letterario hard boiled.
Il termine deriva da un’espressione colloquiale riferita alle uova. Per un uovo essere “hard boiled” significa “essere sodo”, “duro”.

Questo genere letterario risale agli anni venti, prende forma nei romanzi di Dashiell Hammett ed è messo a punto negli anni trenta da Raymond Chandler.
L’hard boiled fa parte della detective fiction e del genere poliziesco, come la variante francese del noir, ma in questo tipo di romanzi il crimine è rappresentato in modo realistico, così come il sesso e la violenza, lasciando ben poco spazio alla deduzione dei gialli classici.

Sin dai suoi esordi, questo particolare genere era saldamente connesso all’esistenza di certe riviste “pulp”, come “Black Mask”. Il termine “pulp”, cioè polpa, trae origine dalla carta con cui erano stampate questo tipo di riviste. Essa si otteneva dalla polpa dell’albero ed era di una qualità più scadente rispetto a quella proveniente dal resto del tronco. Era più ruvida e spessa e ingialliva in poco tempo.
Queste riviste sono ricordate in particolare per le storie che contenevano: sfacciate, violente e a volte addirittura oscene. A colpire i lettori erano anche le copertine, generalmente sexy o raccapriccianti.

Dopo essere apparsi sulle riviste, i romanzi hard boiled finiscono negli scaffali delle librerie, pubblicati dalle case editrici specializzate. Si tratta di edizioni in brossura, note come “pulps”.

Gli eroi di questo genere letterario sono detective come Sam Spade di Hammett o Philip Marlowe di Chandler. Questo tipo di investigatori, oltre a risolvere i casi, fronteggiano ogni sorta di pericolo e spesso sono coinvolti in scontri violenti.

Il detective hard boiled è un “duro”, un solitario, sfrontato, freddo e irriverente. È un investigatore privato che lavora da solo; la sua età oscilla tra i trentacinque e i quarantacinque anni.
Non è quello che si potrebbe definire un buon padre di famiglia; non ha molti amici e in genere, incontra le sue conoscenze nei luoghi che abitualmente frequenta, in particolare, locali notturni, dove mostra la sua natura di incallito bevitore. Ma si tratta di un vizio che non gli annebbia la mente e neppure i riflessi, sempre pronti, se necessario.

La dieta dell’eroe targato hard boiled è improntata a favorire l’infarto o gravi malattie cardiovascolari, costituita com’è da uova fritte, pancetta e caffè nero, cui si aggiungono sigarette e whiskey, tanto per accelerare la dipartita, se il piombo di coloro contro i quali incoccia non facessero prima il loro dovere.

Il linguaggio che utilizza il detective hard boiled è fortemente gergale e come la sua vita, spesso fuori dai binari della legalità, passa dai vocaboli malavitosi ai termini delle forze dell’ordine.
In effetti, è un uomo di poche parole, ha una netta preferenza per i monosillabi, ma quando esprime un concetto è capace di allestire metafore colorite. È anche sarcastico, ma con scarso senso dell’umorismo.

Il protagonista del genere hard boiled non abbandona mai la sua pistola che non esita a usare contro i criminali.
Le sue donne ideali sono bellissime e bionde. Tendenzialmente, sono delle clienti piombate nel suo ufficio per offrirgli l’incarico di seguire il marito infedele, e il più delle volte rivelano un lato oscuro.

In ogni caso, i suoi rapporti con il genere femminile sono difficili, conflittuali. Spesso il detective hard boiled deve fare i conti con una storia d’amore fallita, che gli ha lasciato delle ferite e una profonda amarezza e disillusione. All’apparenza sembra un misogino.

Non ha mai il becco di un quattrino, eppure è generoso: quando prende un caso il più delle volte si accontenta di una paga simbolica.
Le vicende in cui si trova invischiato sembrano facili da risolvere, all’inizio, ma poi si rivelano complesse e ingarbugliate e lo costringono ad affrontare mille peripezie e disavventure.
Spesso, seguendo le sue piste, si scontra con la malavita organizzata ed è costretto a muoversi per le strade più malfamate di città come New York, Los Angeles o Chicago.

I guai lo cercano e lui non può farne a meno. Spesso è un ex poliziotto e nelle sue nuove vesti di investigatore ha un rapporto ambiguo con le autorità, anche se a volte, intuisce che come lui sono dalla parte del bene, però la disillusione, specie se si trova a contrastare la corruzione, lo portano ad agire da solo, anche se questo significa infrangere le regole.

Noir: un genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #2

Noir genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #2

Il noir si distingue come genere letterario per vari aspetti, come: la figura del protagonista, le ambientazioni e le finalità delle vicende narrate.

Nel XX secolo, il termine “noir” subì una svolta: storici e critici letterari francesi ripresero il termine per identificare un importante genere narrativo: l’hard boiled, nato negli Stati Uniti, nei primi anni ’20 e che vede negli autori, Dashiell Hammett, John Carroll, John Daly, Raymond Chandler, Mickey Spillane, James Hadley Chase e gli scrittori della rivista “Black Mask” i principali esponenti del genere.

Questa sovrapposizione del termine, però, resta una convinzione tutta francese: negli Stati Uniti, il noir era ritenuto, e tuttora è così, un sottogenere narrativo distinto dall’hard boiled.

In America il termine noir è stato usato ufficialmente dal 1968, parlando però di opere cinematografiche, e solo dal 1984 si fa riferimento anche a opere narrative di autori, come: David Goodis; Jim Thompson; Cornell Woolrich.

Il genere hard boiled e quello noir presentano notevoli differenze che li distinguono nettamente l’uno dall’altro. Ad esempio, nel genere hard boiled, le storie per la maggior parte sono scritte in prima persona e la figura del detective è preponderante: protagonista della storia, conduce la linea narrativa principale, svolge le indagini e tenta di risolvere il caso.
Nel noir classico invece non si svolgono attività investigative di rilievo. La narrazione si sviluppa e gira intorno ai fatti criminosi compiuti dal personaggio o dai personaggi principali e raramente si assiste a un lieto fine.

Inoltre, nel noir il protagonista non è un investigatore, bensì una vittima oppure un sospettato o ancora, un esecutore. In ogni caso, si tratta di un soggetto auto-distruttivo che si trova ad affrontare sia un persecutore sia il sistema legale e politico, solitamente corrotti, oppure deve perseguitare altri soggetti; in ogni caso, per lui non ci sarà alcuna possibilità di vittoria.

Spesso poi, il protagonista di un noir è un individuo comune che in apparenza vive una vita ordinaria e che a un certo punto della sua vita si trova a dover commettere un crimine. In altri casi, il personaggio principale è un criminale. È comunque sempre un antieroe, un soggetto che agisce tra ambiguità morale, avidità, cinismo e alienazione.

La storia di un noir si snoda intorno a uno o più crimini che avvengono in ambienti diversi, a volte anche familiari o malavitosi. L’atmosfera è cupa, densa di intrighi, violenza, rapine, tradimenti, corruzione, omicidi e ricatti.

L’ambientazione del noir è fondamentale per la nascita e l’evoluzione della storia. La città e la metropoli in queste storie non costituiscono un semplice sfondo, ma sono delle protagoniste a loro volta, tanto quanto la violenza, la criminalità, il degrado morale e ambientale.
L’ambientazione nelle metropoli consente anche un certo grado di azione: inseguimenti, scontri fisici e sparatorie.

Nei romanzi noir la risoluzione del crimine non rappresenta l’obiettivo della storia, bensì narrare gli aspetti cupi e violenti della società, trasferendo al lettore l’immagine di una realtà negativa e drammatica.

È presente anche il sesso, privo solitamente dell’aspetto sentimentale. I personaggi femminili delle storie rispondono allo stereotipo della “femme fatale”, donna seducente e manipolatrice, spesso avida e interessata soltanto al denaro.

Il linguaggio del noir, soprattutto i dialoghi tra i personaggi, è crudo, realistico ed essenziale, e fa largo impiego del gergo metropolitano.

I più noti scrittori di noir metropolitano sono: Ed McBain (per New York), James Ellroy (per Los Angeles), Jean-Claude Izzo (per Marsiglia), Lawrence Block, Jim Thompson, Shane Stevens, James Mallahan Cain, David Goodis, Henry Kane, Jean Patrick Manchette, Giorgio Scerbanenco, Ruth Rendell, Derek Raymond, Horace McCoy, William Riley Burnett.

Noir: un genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #1

Noir genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #1

Noir, cioè nero, rimanda al concetto di cupo, malinconico e marcatamente pessimista, caratteristiche fondamentali delle storie noir, dove un protagonista, antieroe per eccellenza, si muove in metropoli violente tra intrighi, omicidi e corruzione.

In questi giorni di caldo intenso, leggere, sotto l’ombra provvidenziale di un ombrellone, sdraiati su un comodo lettino, può essere uno svago piacevole.
In genere, durante le vacanze, specie quelle estive, i lettori apprezzano tuffarsi tra le pagine di un giallo, di un thriller o comunque, di un buon poliziesco o magari di un noir.
Tutte queste definizioni non sono altro che delle sotto tracce di un genere molto amato, e chi gradisce questo tipo di letture ha davvero solo l’imbarazzo della scelta tra tante sfumature narrative, tutte ugualmente coinvolgenti.

Una di queste varianti di successo è appunto il noir o “romanzo nero”, che deriva dal sottogenere hard boiled nato alla fine degli anni venti del Novecento, negli Stati Uniti.
L’aggettivo “nero” fa riferimento alle caratteristiche fondamentali di questo genere, cioè storie contraddistinte da tematiche e atmosfere cupe, tetre, malinconiche e pessimiste.

Il termine noir proviene dal mondo anglosassone e fu un genere particolarmente sfruttato in Francia, sulla traccia delle novelle tragiche (“Les Histoires tragiques de nostre temps”) di François de Rosset (1571-1619; traduttore e scrittore francese di successo) e le storie cupe e violente, ispirate alla tradizione dei racconti orrorifici, di Jean-Pierre Camus (1584 – 1652; scrittore e prelato francese).

Nel Settecento, gli stessi argomenti prendono una piega lacrimosa-sentimentale, in particolare in certe parti dei “Mémoires du comte de Comminges” (1735) di M.me de Tencin (1682 – 1749; baronessa de Saint-Martin-de-Ré, scrittrice francese, madre di D’Alembert), nei romanzi dell’abate Antoine-François Prévost (1697 – 1763; scrittore francese) e in alcune opere di Denis Diderot (1713 – 1784; filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d’arte francese).

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, dopo Horace Walpole (1717 – 1797; quarto Conte di Orford, scrittore inglese, autore de “Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico propriamente detto) e Clara Reeve (1729 – 1807; scrittrice inglese, autrice del romanzo gotico “Il vecchio barone inglese”) il romanzo gotico fu denominato “romanzo nero” (romain noir) o del terrore.

Con Ann Ward (nota come Ann Radcliff, 1764 – 1823; popolare scrittrice inglese, pioniera della letteratura dell’orrore e in particolare del romanzo gotico) poi, il genere del romanzo nero subisce un’evoluzione narrativa.
La nuova tipologia contrappone tematiche all’estremo (innocenza virtuosa-crudeltà fisica e morale, religione-satanismo), come in “Han d’Islande” di Victor Hugo (1802 – 1885; scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia) e ne “La morte amoureuse” di Pierre Jules Théophile Gautier (1811 – 1872; scrittore, poeta, giornalista e critico letterario francese), fino a giungere ai testi eccessivi di Pierre Mac Orlan (pseudonimo di Pierre Dumarchais, 1882 – 1970; artista e scrittore francese) e a quelli de “Les Mystères de la Morgue ou les Fiancés du IV arrondissement. Roman gai” (1918) di Francis Carco (pseudonimo di François Carcopino-Tusoli, 1886 – 1958; scrittore francese, ambientò le sue opere tra i bassifondi parigini e la vita bohèmienne di inizio Novecento).

Successivamente il filone noir fu assimilato al romanzo giallo, guadagnando un notevole successo, in particolare con Leo Malet (1909 – 1996; scrittore francese che con Georges Simenon e André Héléna è stato uno dei maggiori rappresentanti del romanzo poliziesco in lingua francese), Pierre Siniac (1928 – 2002), Tito Topin (1932) e A.D.G. (pseudonimo di Alain Fournier, detto Camille, 1947 – 2004; giornalista e scrittore francese).

Nel XX secolo, il termine noir subì una svolta… (prosegue nel prossimo post)