Quando ti salta la mosca al naso

 pesca a mosca

Il più delle volte inizio a scrivere partendo da un’immagine sorta in modo spontaneo nella mia mente.

Nel giallo “La firma dell’assassino” ho visualizzato questa scena:

“Lasciati guardare… Sfumature morbide, ali nell’esatta angolazione… perfetta. Ora, possiamo andare a pesca”.
L’uomo posò con delicatezza il piccolo ‘insetto’, un capolavoro di fili e piume, sul tavolo insieme agli attrezzi e poi, fissò la parete tappezzata di ritagli di giornale, alcuni più vecchi, altri più recenti: un muro d’odio allestito con cura e caparbietà.
Ogni tassello era al suo posto, non restava che uccidere.

Mi sono quindi documentata sulla pesca a mosca e soprattutto sulle “mosche”, argomento affascinante e coinvolgente.
Ho passato diverse serate a leggere riviste del settore corredate di immagini molto belle e ho intuito la passione che c’è dietro questo “sport” singolare.

La sfida che pescatore e pesce mettono in atto è davvero intrigante.

Il pescatore a mosca deve usare tutta la sua abilità per convincere il pesce ad abboccare e le mosche artificiali sono solo uno dei tanti stratagemmi che impiega per raggiungere il suo scopo.

Pazienza, passione e una buona dose di astuzia sono alcuni degli elementi che possono condurre a buon fine una giornata passata lungo il fiume.

Dalle mie letture ho concluso che i pesci sono come le persone: ognuno ha il suo carattere e le sue esperienze.
Sono certa che alcuni sono più furbi di altri, più difficili da ingannare e quindi, da catturare. Del resto, la cattura, per i “veri” pescatori a mosca, dura solo pochi istanti: il tempo di una fotografia, da mostrare poi con orgoglio agli amici del circolo.

Ho voluto trasferire alcune di queste qualità nel mio personaggio che ha deciso di uccidere invece che limitarsi a pescare.

Se volete scoprire perché e come finisce questa avventura in giallo, non vi resta che leggere tutta la storia, altrimenti, godetevi questo piccolo cammeo dedicato alla pesca a mosca.

 

Emozione e creazione: un gioco di rimandi

emozioni paesaggio albero

Il termine emozione viene dal francese “émotion“, derivato di émouvoir “mettere in movimento”.

Mi piace l’idea che la parola emozione contenga in sé l’idea del “movimento”.
In effetti, un’emozione crea indubbiamente un movimento che a volte procede dall’esterno (dopo un particolare avvenimento) per poi raggiungere l’interno di una persona. In altri casi, il movimento parte da dentro e si propaga fuori.

L’emozione produce un’energia, in certi casi positiva, in altri negativa: comunque produce un cambiamento.

Ritengo che i libri siano in grado di provocare un’infinità di emozioni diverse, quello è il loro scopo, come l’arte in genere, dalla pittura, alla musica, al teatro.

Una produzione artistica deve coinvolgere, rendere partecipe il lettore, l’ascoltatore o lo spettatore, suscitando una reazione: un’emozione, appunto, che possa collegare l’artista al fruitore.

In altre parole, una creazione artistica aspira a costruire dei ponti virtuali tra “il creatore” e un pubblico, attraverso i quali si può viaggiare avanti e indietro, in un gioco di rimandi e di emozioni infinite.

Ognuno percepisce la creazione artistica in modo diverso, assorbendola e filtrandola sulla base delle sue esperienze e conoscenze, ma l’importante è che ci sia uno scambio.

Più un’opera è complessa, più emozioni è in grado di suscitare e più si manifesterà longeva, comunicando ed emozionando ancora resterà intatta, seppure differente, a distanza di molti secoli.

Quando un libro ti chiama

libro lettura lettrice

Quando bastava un monumento, un cartello stradale, una rovina famosa, uno scorcio naturalistico per affermare che c’eri stato…

Ora la mania di protagonismo ha fatto slittare l’emozione di quell’attimo irripetibile a pensare immediatamente dopo ad un selfie da mostrare al mondo.
Una via stretta che si apre su una piazza immensa, un rettangolo scuro tra le mura antiche che inquadra un pezzo di cielo o fa tuffare lo sguardo nel mare, la bellezza naturalistica che ti lascia senza parole, diventano sempre più spesso sfondo o quinta incolpevole di un selfie con uno o più faccioni in primo piano a volte distorti dalla vicinanza del cellulare.

Se non sei presente nella foto pensi che i tuoi amici non ti credano?

Essere immortalati con contorsioni ridicole ti fa sentire più protagonista che gustarti l’attimo di quell’abbandono verso quello che prima non avevi mai visto?
Entrare in una foto è così determinante, come se senza quella testimonianza tu che scatti una foto non esistessi?

Mania di protagonismo che ancora non mi ha assorbito, mentre mi capita sempre più spesso che sia un libro a diventare il protagonista indiscusso dei miei pensieri giornalieri e se fosse possibile vorrei poter entrare tra le parole, vivere la vita dei personaggi per la durata della lettura.
Tuffarmici ogni momento della giornata, anche se non mi è possibile, ma tenere sempre in mente la storia, per tornare a parteciparvi, appena riaprirò le pagine.

Essere immortalata in un’immagine con i personaggi che si muovono nel loro tempo, nella loro storia.

Esserci per me è ormai diventato anche e solo quando entri a far parte di un racconto, di una narrazione che trovi stupenda, innovativa che ti cattura e che ti fa dimenticare tutto il resto del mondo, allora per me quello è il libro che dovevo leggere in quel dato momento e io ho risposto alla sua chiamata, quello era il momento giusto perché io potessi apprezzarlo e nello stesso tempo esso potesse ispirarmi.

Ma questo è possibile solo se un libro è così potente da farti viaggiare con la fantasia, mentre sei in un’altra epoca, in un’altra città, dall’altra parte del mondo o solo a pochi chilometri, ma comunque un prolungamento delle pagine, un’assenza che si materializza nel racconto che scorre sotto ai tuoi occhi.

Di nuovo libera, la mano di Stephen tornò alle conchiglie vuote. Simboli anche di bellezza e di potere. Un rigonfio nella tasca. Simboli insozzati da cupidigia e avarizia”.

Ecco le loro controparti: anche loro fiati indolciti, con tè e marmellata, la sciocca ridarella dei loro braccialetti quando litigano”.

Il sole tra l’intarsio delle foglie spandeva paillettes e monete danzanti sulle sue sapienti spalle”.

Passi di: James Joyce tratti dall’“Ulisse

Vorrei tenere a mente solo le emozioni che possono sfiorarmi e scivolare sottopelle, mentre leggo quello che uno scrittore ha saputo mettere nero su bianco e cercare in tutti i modi a me possibili, riuscire a trasferire parte di quelle emozioni quando a mia volta sentirò il bisogno di raccontare.

La società dell’immagine, ci rende sempre più spesso protagonisti del niente, mentre entrare in una narrazione più profonda, fare un viaggio introspettivo attraverso la lettura o osservando quello che ci circonda. per me, è molto più importante.

Scegliere di essere piuttosto che apparire e smettere di illudersi che una serie di immagini di noi stessi possa raccontare noi e la nostra vita o per assurdo farci entrare nella vita degli altri.

Una parola per il nuovo anno: Coraggio

Bucaneve fiore

Spero che il nuovo anno ci porti doni meravigliosi; io posso farvi solo un piccolo regalo, una semplice parola: Coraggio.

Vi auguro e lo auguro a me stessa, di trovarlo sulla soglia del nuovo anno ad attenderci, per prenderci per mano e condurci giorno dopo giorno, aiutandoci ad affrontare il buio e l’ignoto, durante questo viaggio pieno di scossoni che è la vita.

Il coraggio ha molti volti e interpretazioni, nessuna trascurabile.

Può riguardare il modo di affrontare la vita sia quando si incontrano momenti di difficoltà sia quando ci assumiamo dei rischi.

Ci sono anche vari tipi di coraggio con un’ampia gamma di sfumature: si può essere scalatori impavidi e affrontare vette irraggiungibili oppure una donna o un uomo comuni che entrano in un supermercato all’ora di punta per fare la spesa, magari dopo una lunga giornata di lavoro.

Non ci sono standard, né misure da rispettare: anche i piccoli gesti quotidiani possono essere coraggiosi, quanto gli esercizi di un acrobata che ci lascia senza fiato.

Vivere è già un atto coraggioso; per alcuni anche alzarsi ogni mattina e affrontare la giornata richiede un grande coraggio: se si deve superare un dolore o combattere una malattia.

Il coraggio è stato anche oggetto di attenzioni da parte di scrittori e pensatori di ogni tempo che ne hanno dato una loro definizione.

Don Abbondio, famoso personaggio dei “Promessi Sposi” diceva: “Uno il coraggio se non ce l’ha, non se lo può dare”.

Mentre Seneca parla di osare per riuscire a raggiungere i nostri obiettivi: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”.

E sostiene pure che: “Colui che è coraggioso è libero”.

Steve Jobs, uomo dal grande intuito e genialità ha invece detto che “dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario”.

Ora, voi potete farvi la vostra opinione al riguardo, io, però, condivido appieno le parole di  William Blake: “Chi non osa osservare il sole in volto non sarà mai una stella”.

 

“Che fai tu, Luna, in ciel?”

Mongolfiera luna paesaggio lunare

Casta Diva che inargenti
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante
Senza nube e senza vel.

Tempra o Diva,
Tempra tu de’ cori ardenti,
Tempra ancor lo zelo audace,
Spargi in terra quella pace
Che regnar tu fai nel ciel”.

Questa è la preghiera che nella Norma di Bellini, la sacerdotessa gallica rivolge alla luna.

Certamente non sarei in grado ci cantarla come la Callas, interprete divina di questa opera.
Non ho mai potuto vederla da vicino come forse Margherita Hack avrà fatto tante volte studiandone i crateri, anche i Pink Floyd hanno dedicato un album alla luna: Dark Side of the Moon (Lato Oscuro della Luna).
Poi penso ai lupi che non conoscendone la natura le dedicano spesso una serenata, contagiandosi da branco a branco con i loro ululati prolungati nella notte.

Ma fondamentalmente la luna è degli innamorati, dei sognatori e a differenza del sole che non puoi guardare quando è allo zenit, in assenza di nubi la luna è lì in mezzo al cielo scuro e spesso ci soffermiamo ad ammirarla.

Taluni le parlano o le confidano segreti e pensieri, sicuri che lei possa capire ogni cosa, lei che ci guarda da lassù incastonata nel cielo, immutabile e bellissima.

Ma se la luna non riesce a capire sono loro che si sono spiegati male o forse, come sono certe persone, anche lei rimane irraggiungibile, con quell’alone di mistero che nessuno sa spiegarsi bene.

Parola del giorno: leggerezza

colibri leggerezza

Oggi, camminando tra i miei pensieri sono inciampata sulla “leggerezza”.

Che pesa relativamente poco, che fa sentir poco il suo peso
Così definisce il termine “leggero” il vocabolario Treccani

Calvino, nelle Lezioni americane, tenta di definire la leggerezza che ritiene una caratteristica ben presente nelle sue opere.
Lo scrittore sostiene di aver sottratto peso alle figure umane, ai corpi celesti e alle città, ma soprattutto, ritiene di aver tolto peso alla struttura del racconto e del linguaggio.

Seguendo i suoi suggerimenti si arriva a Montale, a Piccolo testamento, dove la leggerezza assume labili sembianze:
traccia madreperlacea di lumaca/o smeriglio di vetro calpestato

Questi sono solo alcuni esempi letterari legati a questa parola: molti si sono interrogati sul suo significato e hanno cercato di dare risposte o definizioni, magari attraverso complessi trattati filosofici.

Lascio a voi il compito di rintracciare altre impronte della leggerezza nella letteratura, nella filosofia, e perché no, anche in qualche singolare trattato scientifico.

Se facessi diversamente, appesantirei questo post che vuole essere un semplice suggerimento.

Per quanto mi riguarda, io credo che in qualsiasi modo la si rappresenti, la leggerezza sia una conquista, la capacità di sentire le cose che ci circondano senza farsi soffocare da esse, dalla pesantezza delle giornate, dalle fatiche quotidiane e dal dolore.

Ritengo che leggerezza sia la capacità e la certezza di avvertire un barlume di gioia nascosto o lontano; il desiderio che prende corpo senza pesare sull’anima.

Parola del giorno: Pace

Colomba bianca simbolo pace

Pace, una parola controversa e bellissima.

In questi giorni la si avverte nell’aria, compare in molte canzoni legate al Natale e mai come in questo momento è oggetto di attenzione profonda.

Credo bisognerebbe riflettere un po’ sulla sua etimologia e su i significati che può assumere, considerarla con cura, in base a punti di vista e contesti diversi.

Può essere un relazionarsi sereno con gli altri, vivendo in armonia nel mondo e nella natura. Può essere una condizione interiore, ma per molti in questo momento incarna il desiderio profondo e intenso di non vivere più con il rischio opprimente della morte, per cui vi esorto a riflettere su questa parola, ad aprire un semplice dizionario per vedere ogni suo possibile significato.

Un piccolo prontuario per iniziare la ricerca:

Wikipedia
La pace è una condizione sociale, relazionale, politica (per estensione anche personale ovvero intraindividuale, o eventualmente legata ad altri contesti), caratterizzata dalla presenza di condivisa armonia e contemporanea assenza di tensioni e conflitti.

Treccani
Condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo, di uno stato, di gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., sia all’esterno, con altri popoli, altri stati, altri gruppi.

A me piace pensare alla pace come a qualcosa che aiuta a sollevarsi da terra; una sensazione di leggerezza che rende l’animo appagato; uno stato in cui pensieri cupi e pesanti siano scacciati, come inutile zavorra che non siamo costretti a trasportare.

Il simbolo? Una colomba: mi piace pensare che la pace possa posarsi ovunque…

E voi, come ve la immaginate?

Natale è alle porte: auguri di Buone Feste!

Auguri Buone Feste

Un altro Natale, un altro albero e magari un altro presepe e noi, quanto siamo cambiati dall’ultimo Natale?

Quanti sogni che avevamo nel cassetto sono riusciti a prendere il volo e quanti se ne stanno ancora là, ad attendere la loro occasione?

Stelle, decorazioni, musiche di festa risuonano un po’ ovunque.

Io vi auguro di cogliere il meglio di questo Natale, la gioia sottile e la magia che avvolge la città, le piazze e le vetrine e soprattutto, vi auguro di vivere appieno lo spirito particolare di questa festa.

Lo so, pare sciocco e banale parlare di felicità e di gioia sotto le feste natalizie, sembra di fare eco ai banali e consunti slogan con cui le pubblicità ci bombardano.

Ma credetemi, mai come in questo momento abbiamo un disperato bisogno di aprire il cuore, di amare e accogliere e ricordate: non è mai troppo tardi per vivere il Natale ogni istante della nostra vita.

Auguri e siate molto, molto felici!

Proust e il sapore del ricordo

madeleine biscotti

Sono due i motivi che mi hanno fatto pensare a Proust: i fatti recenti di Parigi e l’anniversario della sua morte che ricorre proprio oggi (18 novembre 1922).

Al di sopra delle polemiche, dei pugni alzati, delle voci indignate e di quelle pacificatrici, io voglio solo porgere un omaggio a un grande autore francese, parigino di nascita, e attraverso lui, alla letteratura francese e alla Francia, luogo in cui è nato lo scrittore e in cui si è sviluppato il suo talento.

In particolare, la mia attenzione si appunta su una singolare e minuta descrizione di “quei dolci corti e paffuti, chiamati Petites Madeleines, che sembrano modellati nella valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo“.
Il testo in questione è tratto dal primo volume della Recherche, “Dalla parte di Swann”.

Appena il palato di Proust assapora la madeleine ammorbidita nel tè, prova un delizioso piacere la cui natura gli è oscura.

Come può un semplice dolcetto rendere “indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, allo stesso modo in cui agisce l’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio questa essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale“.

Proust descrive l’esperienza del ricordo evocato da uno dei sensi: il gusto.

Spesso è un profumo o una serie di suoni a richiamare alla memoria un momento passato della nostra vita, con una forza incredibile, e quando riusciamo a ricordare, ci troviamo a rivivere l’istante passato con la stessa intensità originaria, recuperando il luogo e il tempo insieme alle emozioni che lo hanno caratterizzato.

È proprio quello che succede a Proust che all’inizio non riesce a focalizzare il motivo della gioia inaspettata che sta provando; beve un secondo sorso di tè, per sollecitare attraverso il gusto la sensazione e ripercorrere a ritroso il tempo e lo spazio, fino a recuperare la causa della forte emozione che ha provato.

Si concentra, si affatica, si estrania dall’ambiente in cui si trova e tenta di pensare ad altro, sempre all’inseguimento del ricordo sfuggente.
E ad un tratto il ricordo m’è apparso“.

Quel sapore era lo stesso del pezzetto di madeleine che, la domenica mattina, a Combray […], quando andavo a darle il buongiorno nella sua camera, la zia Léonie mi offriva, dopo averlo immerso nel suo infuso di tè o di tiglio“.

Il ricordo riaffiora in tutta la sua potenza vivificatrice, affacciandosi a fatica dal buio del passato, riemerge dalle onde del tempo, evocato da un sapore, e Proust conclude con una frase magnifica su come il ricordo, fragile all’apparenza, continui a vivere anche là, dove ogni cosa è scomparsa o distrutta.

Ma, quando di un passato lontano non resta più nulla, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore rimangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto, a sorreggere senza piegare, sulla loro stilla quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo“.

Ognuno di noi ha un ricordo felice nel suo bagaglio di vita, auguro, perciò, a tutti, di riuscire a recuperare quel particolare ricordo, coinvolgendo tutti i sensi; vi auguro di farlo rivivere intenso e magnifico nel presente, e spero che la luce di quell’istante di gioia resti a lungo a scaldare il vostro cuore.

Linguaggio, evoluzione del cervello e comportamento sociale

Mente e linguaggio

Sto leggendo un libro di Annamaria Testa, “La trama lucente” e ho trovato un’interessante notizia sull’evoluzione della specie umana, riguardo al linguaggio e allo sviluppo del nostro cervello.

Il miglioramento delle nostre facoltà e della capacità creativa umana ha diverse cause.

La prima causa è dovuta alla discesa della laringe.

In alcuni individui appartenenti al genere Homo, in seguito a modificazioni anatomiche intercorse da una generazione all’altra, l’organo della fonazione viene a trovarsi in una posizione più in basso rispetto a quella originaria. Questo cambiamento consente a tali individui di produrre una gran varietà di suoni distinti e consente alla lingua una più ampia gamma di movimenti.
Ora che l’apparato vocale ha acquisito la capacità di parlare è il cervello che deve fare la sua parte.

La seconda causa è il fatto che i nostri antenati iniziano a parlare.

Forse, passano da passatempi per bambini a mimare melodie musicali fino a costruire un linguaggio, definendo dapprima oggetti, poi indicando azioni e infine, collegamenti tra oggetti e azioni.

La terza causa è la crescita del cervello.

Lo sviluppo del linguaggio implica lo sviluppo cerebrale e viceversa.

In ogni caso, lo sviluppo del linguaggio è stato fondamentale per la mente umana: linguaggio articolato e processi cognitivi complessi hanno influenzato anche il comportamento sociale.

Quindi, comunicare non ci aiuta solo ad avere migliori rapporti umani, ma aiuta anche il nostro cervello a evolversi, a crescere, a creare nuove strutture cognitive e adattive che ci consentono di vivere meglio o, perlomeno, di capire meglio quello che ci circonda e le persone con cui entriamo in contatto.

Meditate gente meditate….