Il ruolo dell’artista: comunicare

Pennelli pittoreDopo aver visto un interessante documentario su Sandro Botticelli mi sono interrogata sul vero ruolo dell’artista: il comunicare.

Ovviamente, la comunicazione attraverso un’opera d’arte è a un livello diverso rispetto ai dialoghi di tutti i giorni; è una “conversazione” complessa e ambigua, anche se persino il linguaggio quotidiano conserva le sue ambiguità e necessita spesso di una lettura tra le righe, e di una certa abbondanza di segnali concomitanti.

Quindi, tanto più misterioso e difficile da decifrare sarà il dialogo tra artista e spettatore, se il tramite è, ad esempio, un quadro.

Spesso, quando un’opera d’arte raggiunge il suo pubblico, l’artista non è più in vita e il passare dei secoli contribuisce a cambiare i gusti e la visione del mondo, quindi, anche la fruizione delle opere d’arte.

Eppure ci sono opere ed artisti che restano vivi e contemporanei nei secoli, anzi, nonostante i secoli. L’interesse per queste creazioni artistiche e per chi le ha realizzate sopravvive al passare del tempo e le opere si caricano di nuove aspettative e significati.

Spesso le interpretazioni non rispecchieranno per intero la visione dell’artista, molte volte questi significati verranno moltiplicati attraverso gli occhi di ogni spettatore, assumendo di volta in volta la visione di chi guarda.

Qualsiasi artista si chiederà se è riuscito a comunicare quello che sentiva al suo pubblico, alla ricerca di una comprensione che può diventare un’eredità, una pretesa d’immortalità, se l’opera è veramente grande, e se lo è, continuerà a suscitare echi, discussioni, confronti e animerà dubbi che magari non avranno mai soluzione.

L’arte è vita e le sue espressioni più vere dovrebbero travalicare i secoli e far trasalire, gioire, suscitare meraviglia e indurre a riflettere generazioni dopo generazioni.

Entrate nel mio mondo: il mestiere della scrittura #1

scrivania dello scrittoreLa mia giornata assomiglia sempre più a un grafico a torta.

Le percentuali sono gli impegni quotidiani.
Mi sto già preparando, specie nei fine settimana, alla mia nuova entrata nel mondo degli ex dipendenti.
Sono stata licenziata e attendo la fine del preavviso, ma già nel tempo libero lavoro per me stessa: scrivo.

La scrittura, oltre che una passione, è stata una magnifica scoperta, nonostante gli sforzi e il lavoro che comporta, dà un grande senso di libertà e di appartenenza. Appartenenza a qualcosa di esclusivamente mio e il solo pensarlo mi rende felice.

Torniamo agli impegni della giornata tipo.
Inizio presto a lavorare. Alle 7:30 sono già operativa o quasi. Prima di tutto c’è il rito della colazione, poi, ricaricati, si passa al lavoro.
Rileggo quanto ho scritto, prendo appunti su idee nuove oppure proseguo a scrivere se ho già una traccia precisa.

A volte mi attardo a viaggiare su Google maps, alla ricerca di un luogo in un posto remoto, dove ambientare una storia e mi diverto a studiare gli edifici, le strade, il traffico, le distanze.

Misuro, controllo, verifico e, infine, utilizzo le informazioni per collocare i personaggi in un contesto specifico o per descrivere l’ambiente dove si svolte la trama del mio libro.
Non do niente per scontato e ogni scoperta è un arricchimento, un valore aggiunto, un traguardo superato che già me ne indica un altro in prospettiva.

Lo scopo della scrittura #2

#DonneEBorse2

donne e borse 2 valigia giallaDi solito, sono i cassetti a racchiudere i sogni, gelosamente immobili, li proteggono dal mondo che a volte sembra ostile o diverso da come l’avevamo immaginato e che temiamo non sia in grado di accoglierli come dovrebbe.

I sogni rimangono lì, dentro quell’involucro rigido, fermo in un angolo della casa, ogni tanto ci sinceriamo che siano ancora lì, pronti a essere liberati.
I miei sogni in attesa di rivedere la luce sono dentro a una piccola valigia gialla.

Non ho il coraggio di lasciarli impolverare dentro a un cassetto, ma non intendo neppure regalarli al mondo come ho fatto finora, rivestendoli di parole, di frasi, di emozioni.
I miei sogni resteranno dentro la rigida valigetta gialla che porto con me ovunque e forse un giorno riuscirò ad aprirla con meno tristezza.

#DonneEBorse1

#DonneEBorse1

Donne e Borse 1
Devo comprarmi una gonna, larga e abbastanza lunga per coprire quello che non ho voglia di mostrare.

Deve essere comoda, morbida che lasci le gambe libere di muoversi. Forse è meglio un vestito, no meglio di tutto è se mi compro una borsa, grande e colorata per affrontare l’autunno.

Deve essere colorata per ricordarmi l’estate, capiente come quelle usate per andare in spiaggia e dentro devo metterci tutto, tutto quello che mi fa sentire viva, amata, protetta.

Non è così che noi donne decidiamo, a volte, di cambiare qualcosa nella nostra vita?
Non è questo un modo per spezzare la monotonia o una noiosa routine?
Allora perché non iniziare da una borsa capiente e colorata?

#DonneEBorse2

Quando la lettura diventa emozione

quando la lettura diventa emozioneQuando avresti voluto scrivere una frase simile e invece…

A volte il cruccio di uno scrittore non è la pagina che rimane inesorabilmente bianca, ma leggere altri scrittori e “innamorarsi” di un incipit, di una descrizione, di un concetto espresso così bene che è riuscito a farti provare delle forti emozioni e vorresti che almeno uno dei tuoi lettori possa aver sperimentato, almeno una volta, sensazioni simili leggendo un tuo romanzo.

Non cadete nella tentazione di dire che c’è invidia, per me, è ammirazione.

La leggerezza di una frase, la sua schiettezza, la capacità dell’autore di tenderti la mano e farti entrare nel suo racconto per consentirti di vedere le cose con i suoi occhi e poi di tradurle nella tua personale visione di lettore.

Certi autori sono in grado di lasciarti vagare con la fantasia per pagine intere e poi ti riprendono con destrezza e ti riconducono sulla “retta via”: nella loro storia, focalizzandoti di nuovo sui fatti che ti stanno raccontando.
Altri, ancora, ti incalzano, non lasciandoti neppure respirare; ti fanno sognare e poi soffrire, ti sorprendono, ti fanno sorridere.

Fare lo scrittore non è facile, ma è un mestiere talmente bello che ti fa dimenticare tutta la fatica che c’è dietro un nuovo libro: il sacrificio di non dormire, di rileggere dieci volte una frase che non è perfetta. Il più delle volte, si dimenticano persino i lunghi momenti dedicati a studiare libri interi per chiarire un dato aspetto che si vuole descrivere, per poi trovarsi a trascrivere solo poche righe.

Leggere in ogni caso ritengo sia uno degli aspetti più importanti del lavoro di uno scrittore. Un dovere, oltre che un piacere.

Ogni scrittore è prima di tutto lettore, ma leggere è anche un gesto di umiltà, di chi sa che non si finisce mai di imparare e che è fondamentale confrontarsi con gli autori del passato e del presente per poter crescere e migliorare il proprio mestiere.
Inoltre, leggere è importante per coltivare le emozioni, per sentirsi vivi, per meravigliarsi di quanta bellezza e singolarità ci sia nel mondo, nella vita degli altri, nel senso profondo delle parole.

Concludo con una frase di un libro che mi ha fatto emozionare, spero che faccia su di voi lo stesso effetto.

Vista così, dall’alto, la città addormentata sembra una costruzione infantile, un modellino che ha rifiutato di adattarsi alle regole, fossero pure quelle della fantasia. La collina d’origine vulcanica potrebbe essere un grumo di plastilina nera, il castello che si erge saldamente su di essa un distorto agglomerato di mattoncini dentellati. I lampioni stradali coi loro globi arancioni sono carte di caramelle stropicciate in cima a bastoncini di lecca-lecca.
Nelle acque del Firth of Forth, pallide lampadine di torce tascabili illuminano barche giocattolo, appoggiate su un foglio di carta crespata nera. In questo mondo, le guglie frastagliate del’Old Town potrebbero essere fiammiferi piegati ad angolo, i giardini di Princess Street un ritaglio di moquette spugnosa, gli edifici tante scatole di cartone, con porte e finestre accuratamente disegnate da pennarelli di vari colori e con cannucce a simulare gronde e tubature. Disponendo di una lama affilata (magari di un bisturi), quelle porte potrebbero anche essere aperte. Ma sbirciarvi dentro… Se si guardasse all’interno, quell’impressione verrebbe distrutta” (“Anime morte” Ian Rankin).

Social, Acquisti online, e-mail e… quant’altro

social acquisti online emai quantaltroSarà capitato anche a voi…

Canta Mina nella famosa Zum, zum, zum, parlando di un’ossessione musicale che le è spuntata in testa.

A me invece capita di essere sempre più spesso ossessionata dalla rete.

Per motivi di lavoro, di studio, di ricerca e di diletto, mi ritrovo a fare i conti con mareggiate di e-mail, carrelli virtuali, post, commenti, “mi piace” più o meno consapevoli, tweet, miriadi di video sempre più fantasiosi e sciami di  emoticon che tentano con ogni mezzo di esprimere le mie emozioni più profonde con sempre nuove faccette.

Sprofondata a inseguire link e rimandi su un topic, inciampo su query e tento vanamente di formulare nel frattempo pensieri legati alla scrittura, mentre le informazioni si gonfiano, si moltiplicano a dismisura e io finisco per avvertire una gran confusione in testa e mi ritrovo con poche, ossute e spigolose parole da mettere in fila per costruire un personaggio, una trama o un umile canovaccio.

Flussi di dati e onde di pensiero… un intreccio, quasi una musica che quando smetterà di suonare, mi auguro di riuscire a tirare i remi in barca e, rigorosamente offline, di iniziare a riflettere e programmare il mio prossimo libro, sperando di riuscire a tradurre, senza fare e farvi confusione, quanto accumulato in questo tempo sospeso, in cui vivo da un po’, con il mio Zum, zum, zum quotidiano e tanti “quant’altro” da mettere in ordine.

Il Bullismo e il Brutto Anatroccolo

bullismoCosa associa la fiaba di Hans Christian Andersen “Il brutto anatroccolo” e un comportamento sociale basato su violenze fisiche e psicologiche?

Quando ho iniziato a scrivere “Sei come ti voglio” ho ricordato come ero stata vessata e derisa per il fatto che portavo gli occhiali: “quattrocchi” “sgorbio” e altri epiteti erano all’ordine del giorno, quando frequentavo le elementari e le medie.

Lasciata ai margini dei gruppi che “contavano”, composti da figli di papà che non mancavano mai di ricordare agli altri il loro retaggio, facevo gruppo con altri “sfigati” come eravamo chiamati da chi pensava di appartenere a una élite di privilegiati, il mio non uniformarmi era visto come una diversità.

Ma il tempo può cambiare tante cose…

Alle superiori, quando ho visto il bullismo che anche io avevo subìto riversarsi sui miei nuovi compagni di classe, non sono riuscita a non farmi coinvolgere e ho difeso chi ne era vittima.

Forte della mia esperienza di bambina derisa e perse le piume da brutto anatroccolo, avevo ora un atteggiamento diverso rispetto a certi comportamenti: ero combattiva contro chi sfotteva il prossimo solo perché era più debole e indifeso e avevo iniziato la mia personale crociata contro chi offendeva gli altri solo per riempire la sua misera giornata.

Con il passare del tempo, rincontrando alcuni “sfigati” ho scoperto che alcuni di loro avevano posti di prestigio, avevano fatto carriere soddisfacenti nel mondo del lavoro e avevano anche stupende famiglie, proprio come era successo a me.

Ho incontrato anche qualcuno di quei bulli, purtroppo per loro, il passare degli anni era servito solo a far maturare il nulla che erano e dai loro racconti scoprii che le vite che conducevano erano spezzate o nei migliori dei casi, vuote.

Vorrei che il mio libro veicolasse questo messaggio di speranza e fosse un’esortazione a reagire, a scoprire la bellezza che c’è in ognuno di noi, al di là dell’aspetto fisico.

Mi auguro che le mie parole possano aiutare le vittime del bullismo a prendere coscienza che chi offende e umilia gli altri è solo una persona debole che si sente forte solo se può opprimere qualcun altro; questo perché di solito il bullo si rende conto di essere in qualche modo inferiore alla sua vittima ed è così, già solo per il fatto che chi non commette atti di bullismo è di sicuro una persona migliore.

Vorfreude: la gioia dell’attesa

attesa

Leggendo “Piccolo viaggio nell’anima tedesca” di Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi, mi sono imbattuta nella parola: Vorfreude, l’attesa che precede la gioia.
Le autrici sostengono che tale parola per i tedeschi “è quasi una profilassi contro le possibili amarezze della vita. La premonizione che la delusione verrà e che il momento della gioia non sarà quello che ci siamo immaginati. In fondo, perciò, è quasi meglio non provarlo mai“.

Vorfreude ist die schönste Freude, l’attesa della gioia è la gioia più grande, dice il proverbio.

Ho subito pensato a Leopardi.
Vorfreude potrebbe essere il correlativo del Sabato:

Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
(Sabato del villaggio)

È il sabato il giorno più gradito della settimana, perché la felicità può risiedere solamente nell’attesa.

Questa Weltanschauung (concezione del mondo e della vita) condivisa da due nazioni diverse, mi fa ben sperare.
In un’Europa che si è unita sulla carta, ma che ha ancora molta strada da fare per diventare un organismo effettivamente unitario, esistono comunque affinità di “poetica” in cui la Freude diviene il vero momento di gioia e di condivisione, che, per una volta, non è solo… nell’attesa.

Coreografia come scrittura dell’anima

coreografia danza

Le due opposte fazioni si sfidarono con lo sguardo e con la postura, in un silenzio teso, quasi magico. Poi Lisa si mosse, agitò le braccia in gesti ampi e frenetici […].
A turno partirono anche le altre ragazze, con lo stesso movimento […] aggiungendosi una alla volta, finché non furono tutte insieme […].
I ragazzi erano immobili e le osservavano in silenzio.
Le ragazze continuarono a sfidare i ragazzi con movimenti sinuosi delle braccia che si intrecciavano e si scioglievano, creando un complesso tessuto visivo, mentre postura e sguardi comunicavano una forte carica emotiva.
I ragazzi rispondevano, proponendo la loro serie di movimenti molto più audaci […]
Guardandoli si aveva l’impressione di uno strano contrappunto visivo […].
Gli unici suoni erano i passi strisciati sul palcoscenico, i colpi dei piedi che toccavano le tavole di legno del pavimento, quando i ragazzi atterravano dai salti e i suoni secchi prodotti dalle ragazze che scandivano il tempo con colpi ritmici di tacco all’unisono.
La scena in sé aveva qualcosa di affascinante e minaccioso al tempo stesso” (da Segui il cuore di Jillian Moore).

Quando ho scritto questa scena di danza conoscevo già Pina Bausch, avendo fatto danza per diversi anni, ma è solo dopo aver visto un documentario dedicato a questa donna straordinaria che sono rimasta folgorata.

Mi ha colpito in particolare la sua interpretazione coreografica de “La sagra della primavera“, anche se tutti i suoi lavori sono di un’intensità tale da lasciare senza parole l’osservatore.

Nelle sue coreografie i ballerini prima di tutto esprimono se stessi, la loro individualità. I movimenti hanno una forza di penetrazione incredibile sia i gesti singoli portati all’estremo sia i movimenti corali dove gruppi di persone esprimono con gesti identici uno stato d’animo condiviso.

Nei suoi lavori trapelano emozioni molto intense, espresse in gesti a volte esasperati che tendono il corpo dei ballerini fino al limite. Spesso le sue coreografie contemplano movimenti ripetuti all’infinito, in un ciclo disperato e metodico.

Ritmi infernali della musica vengono rappresentati con virtuosismi ritmici, cesure di attesa, dove campeggia un’immobilità o una lentezza esasperata dei movimenti. A volte i ballerini si muovono senza alcun legame l’uno con l’altro, pur essendo compresenti sulla scena. In altri casi il confronto tra soggetti è estraniato e si assiste a una parodia dei classici passi a due, dove il collegamento della coppia si esprime in gesti folli o pieni di frenesia.

L’isterismo di alcune coreografie, il senso di solitudine e incomunicabilità che si percepisce dalle dinamiche dei danzatori in molti lavori della Bausch colpiscono per la loro intensità e per il parallelo che di essi si può fare con le nostre attuali realtà sociali che ci vedono allontanarci sempre di più l’uno dall’altro, mentre i rapporti umani diventano ogni giorno più complessi e difficili da gestire.

Nel documentario c’erano anche spezzoni di interviste e alcune parti in cui Pina Bausch spiegava ai danzatori alcuni movimenti della coreografia. Ascoltando le impressioni dei ballerini e osservando gli insegnamenti della Bausch, ho concluso che lei lavorava con i danzatori per spingerli a far emergere la loro personalità, esortandoli a usare il corpo in modo totale per rivelare i moti dell’anima. Per questo nelle sue coreografie non è più il virtuosismo tecnico a rivelarsi, ma l’espressione portata a livelli altissimi.

Ritratto d’autore

ritratto d'autore

Dal 7 ottobre 2015 fino al 10 gennaio 2016 si è svolta a Londra alla National Gallery la Mostra dedicata ai ritratti di Goya.

Non ho potuto ammirare i quadri dal vero, ma ho assistito a un documentario dedicato alla mostra.
Tra le interessanti osservazioni fatte dagli studiosi del pittore, mi ha colpito in particolare una: il rapporto intimo tra artista e soggetto.

Tra Goya e i suoi modelli o modelle c’era un’intimità tangibile, tuttora evidente e riconoscibile negli sguardi che i soggetti rivolgono a chi li osserva.

Quegli sguardi a volte sono carichi di passione o di forza, in altri casi da essi trapela ambizione o orgoglio per la propria posizione sociale.
Su ognuno di quei volti, però, si può leggere la personalità del soggetto, perché Goya non si limitava a riprodurre le fattezze dei suoi soggetti, ma si spingeva oltre, misurava il loro carattere, catturava i moti della loro anima.

Perciò, ogni ritratto conserva, imprigionato dai colori e dai tratti decisi del pennello, l’essenza vitale dei soggetti, che miracolosamente si rigenera, ogni volta che lo spettatore si pone davanti a essi per ammirarli.