Passeggiando con Raffaello, il principe delle arti

Raffaello Sanzio autoritrattoSono diventata una habitué degli appuntamenti con i film-documentario della NexoDigital. L’ultimo in ordine di visione: “Raffaello. Il principe delle arti“.

Colpisce di questi film non solo la spettacolarità delle immagini e la meticolosa esposizione dei dettagli e dei fatti rappresentati, ma anche la possibilità di immergersi in un’altra epoca, di cogliere le sfumature di relazioni umane diverse, di visitare luoghi sotto una luce differente, coperta dalla patina del tempo.

Ho trascorso 90 affascinanti minuti passeggiando con Raffaello per Urbino, Firenze e Roma, incontrando Leonardo, Bramante e Michelangelo.
Ho scoperto alcuni segreti della sua vita e ammirato la bellezza incomparabile dei suoi quadri, afferrando le minuzie dei volti, gli incredibili particolari dei panneggi e soprattutto la grazia e la delicatezza del suo tocco, nonché la lussureggiante meraviglia dei suoi colori.

Al termine di questo magnifico viaggio non si può che concordare con Pietro Bembo che scrisse l’epitaffio per il suo amico pittore (morto nel 1520 a soli 37 anni) inciso sulla tomba di Raffaello al Pantheon a Roma: “Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori” (Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire).

Jazz e passione: un concerto da ricordare

Manifesto concerti jazz 2017Provate a immaginare di avere tutti gli ingredienti per fare un piatto perfetto.
Bene, ora avete un’idea di come mi sono sentita ieri sera al concerto jazz a cui ho assistito.

Sin dall’inizio gli ingredienti c’erano tutti e si sono mescolati alla perfezione a mano a mano che l’esibizione procedeva.
Melodie che si muovevano da uno strumento all’altro acquistando differenti colori e sfumature, come uno stesso discorso pronunciato da voci diverse.
Echi e richiami dalla tromba alla chitarra, alle tastiere, mentre il ritmo della batteria era talmente incalzante, specie nel secondo brano, da attrarre tutti nella propria orbita ritmica.

Quello che però mi ha colpito di più di questo concerto è stata la passione, tangibile a ogni nota.
Ringrazio l’Associazione “Artemusica” che ci ha regalato questo frammento meraviglioso di musica a due passi da casa.

Leggere: un dono senza prezzo

Libro apertoOggi è la festa del papà e il mio dono per festeggiare questa ricorrenza sarà un ricordo.
Mio padre ha fatto, molti anni fa, un grande regalo a me e a mia sorella: la passione per la lettura.

C’è un ricordo in particolare che mi fa ancora sorridere.
Quando ancora andavo a scuola, spesso i miei libri di testo sparivano e io sapevo dove trovarli: sul comodino di mio padre.
Non riusciva a resistere alla tentazione di tuffarsi in una nuova lettura e “rubava” i nostri libri, per scoprire nuove storie, nuove invenzioni, nuove notizie.

Ha trasmesso a me a mia sorella lo stesso desiderio di aprire le pagine di un libro e cercare l’avventura, i viaggi, le scoperte.
Leggere è un dono prezioso, inestimabile, davvero senza prezzo.
“Chi legge vive molte vite”, questa frase come un tormentone compare spesso sui social e ogni volta mi fa riflettere.

Voi direte ma con tutte le possibilità che ci offre oggi la rete e la tecnologia in generale, ancora si parla di leggere?

E io rispondo sì, bisogna leggere, se si vuole ancora scoprire il mondo, se si vogliono vivere i sogni degli altri per entrare in empatia con loro o semplicemente se vogliamo dare corpo ai nostri sogni e alle nostre fantasie.

Leggere ci fa sorvolare mondi sconosciuti, mondi invisibili o addirittura inesistenti, ma ci consente anche di superare i pregiudizi, di ragionare con la nostra testa (e oggi ne abbiamo più bisogno che mai). Ci permette di sentirci meno soli con i nostri problemi e magari ci aiuta ad affrontarli.

Leggere ci restituisce dignità e libertà, ma soprattutto ci apre il cuore e ci fa sentire vivi.
Per cui, oggi, per la festa del papà vi consiglio caldamente: festeggiate regalando un libro.

Scrivere: un mestiere accurato

quaderno penna tazzina gialla

Scrivere è un mestiere complesso.
Si devono raccogliere più dati possibili dal mondo circostante e tenere in serbo ogni pensiero per un loro eventuale uso futuro.
Dettagli colti dalla natura e dalle persone sono valori inestimabili, terreno fertile da cui ricavare storie, ma c’è anche l’altro lato della medaglia: in questo vasto mare, bisogna saper scegliere.

Perché al di là della capacità di osservare, qualità indispensabile per chi scrive, è anche necessario saper filtrare quanto arriva dal mondo esterno per giungere all’accuratezza estrema, altro requisito indispensabile di una buona scrittura.

Prima di tutto, si screma il materiale quotidiano che ci arriva attraverso i sensi, poi si costruisce una storia, valutando i percorsi, le svolte e l’andamento generale. Poi si revisiona con cura il materiale, più e più volte, tagliando e affinando le frasi e vagliando con puntigliosità i termini con cui esprimersi, per lasciare alla fine, solo quelli esatti, quelli che possano comunicare con precisione il nostro messaggio al lettore, comprese le sfumature che ogni frase, parola e persino ogni segno di punteggiatura portano con sé.

Per un periodo ho studiato canto e ricordo ancora un consiglio che la mia insegnante mi ripeteva sulla posizione dei suoni.
Diceva che più si sale verso l’acuto e più la voce, idealmente, dovrebbe uscire da un punto posto sulla fronte, un punto piccolissimo: una punta di spillo, per intenderci, e più si riesce a indirizzare il suono verso questo “punto immaginario di sfogo”, più il suono sarà giusto, alto, in maschera.

La voce è essenzialmente un’entità invisibile all’interno del corpo e sono necessari punti di riferimento concreti per orientarsi e districarsi, anche se di concreto hanno solo il fatto di servire al cervello come spunto per controllare i suoni e veicolarli attraverso l’apparato vocale (corde vocali e tutto il resto) nel modo migliore possibile.

Perché questo esempio?
Perché oggi, pensando all’accuratezza indispensabile per scrivere in modo corretto, mi sono figurata come traguardo, quello stesso punto minuscolo e invisibile dal quale dovrebbero passare pensieri, sensazioni e dati per diventare una storia. Quello spazio ristretto non è altro che un filtro attraverso il quale andranno scremati anche i termini che utilizziamo per esprimerci, al fine di individuare la parola giusta, quella che definisce con estrema esattezza quello che vogliamo dire.
Riprendendo l’esempio del canto, è concentrare il suono in quel punto immaginario di spilla per ottenere il risultato perfetto o quasi.

Scrivere, a conti fatti, non è che l’estremo tentativo di far passare il cammello per la cruna dell’ago.

 

Punto di vista: anticamera della creatività

mani attorno agli occhi
Più leggo cose interessanti e mi imbatto in personaggi curiosi, più mi rendo conto che il punto di vista è fondamentale per creare una storia che funzioni.

Il punto di vista permette di dare omogeneità a una storia, consente di creare un microcosmo di persone e situazioni che si muovono come gli ingranaggi di un orologio: ognuno apportando il suo contributo unico e irripetibile affinché il meccanismo in toto possa svolgere il compito per cui è stato creato.

Personaggi relazionati tra loro si compensano dando vita a un equilibrio e spesso mettendo in moto la storia stessa.

Il lettore, immedesimandosi in uno di questi personaggi o nel narratore stesso, non fa che entrare in questo meccanismo che per funzionare necessita di un fruitore che valuterà gli eventi con gli occhi di chi ha scelto come suo interprete.

Il punto di vista è anche il punto di partenza.
Chi racconta la storia? C’è un narratore o è uno dei personaggi che si fa carico di metterci al corrente di quanto è accaduto?

La creatività può essere stimolata e introdotta da un punto di vista singolare.

Il punto di vista aiuta chi scrive, grazie a esso si può dare una certa struttura alla storia e ai personaggi e si imposta il tono di voce da assumere.
Il lettore verrà guidato e influenzato a seconda di chi racconta: una storia sarà molto diversa se a narrarla è un gatto o un oggetto inanimato oppure un uomo folle, cieco o sordo.

Il punto di vista scompone una storia come un prisma un raggio di luce: colori diversi a seconda di chi interpreta cosa.

Scrivere è come aprire una pista nella neve alta: si rischia di perdersi

Paesaggio con neve alta

In questi giorni, leggendo la cronaca quotidiana e ascoltando i bollettini meteorologici che parlano di freddo intenso, neve e gelo, ho ripensato a una frase che ho letto recentemente e che riguarda da vicino la lettura e la scrittura: le due passioni che mi legano a doppio nodo ai libri.

In un susseguirsi, un cerchio magico che crea una continuità fatta di pensieri, di parole assaporate, masticate e digerite e infine inserite in una nuova storia, in mezzo a nuovi concetti e sulla bocca di nuovi personaggi.

Magari un po’ diverse, più vissute, più tristi o più felici.

Mi sono distratta e mi sono fatta prendere la mano, parlavo di neve e al tempo stesso di lettura e di scrittura. Il tutto, come vedrete, riassunto in un’efficace metafora.
Il gesto di scrivere è come aprirsi la strada in mezzo alla neve alta, in una distesa bianca e immacolata.

Una distesa immensa di cui non si vede il confine.

Si rischia di perdersi e non è una strada per tutti: ci vuole molto coraggio, passione e determinazione e tanta pazienza per continuare a procedere, senza vedere bene dove si va. È un po’ la dannazione dei pionieri e dei profeti condita con l’ostinazione dei santi. La preghiera giornaliera di noi scrittori è questo avanzare in mezzo alla neve e ogni tanto è bello invertire le parti.

Tornare a essere lettori, viaggiando comodi, su una pista tracciata da altri, a cavallo o a bordo di un trattore, come dice Šalamov, per riprendere lo slancio e tornare nei giorni appresso al faticoso, ma irrinunciabile cammino, quando si tornerà ad avanzare immersi fino al busto nella neve, con le forze rinnovate e il cuore più leggero, mentre le dita volano rapide sui tasti.

Come viene aperta una strada nella neve vergine? Un uomo avanza per primo, sudando e imprecando, muove con difficoltà una gamba poi l’altra, e sprofonda ad ogni passo nello spesso manto cedevole. […] L’uomo sceglie da sé i punti di riferimento nell’infinità nevosa: una roccia, un albero alto. […] Se si camminasse, passo dopo passo, nella traccia del primo, si otterrebbe un cammino visibile ma stretto e a stento praticabile. […] Ognuno di quelli che seguono la traccia, […] deve posare il piede su di un lembo di neve vergine e non nella traccia di un altro. Quanto ai trattori e ai cavalli, non sono per gli scrittori, ma per i lettori“. (“I racconti di Kolyma” di Varlam Tichonovič Šalamov; citato in L’arte di leggere di Guido Conti).

Largo all’intuizione

lampadina luce intuizione
Tornando a piedi in ufficio Adamsberg rifletteva in maniera vaga. Lui non rifletteva mai a fondo. Non aveva mai capito cosa accadesse quando le persone si prendevano la testa tra le mani e dicevano: “Su, riflettiamo”. Quel che si ordiva nel loro cervello, come facessero per organizzare idee precise, indurre, dedurre e concludere, era per lui un assoluto mistero. […] Adamsberg non si accorgeva mai di riflettere e, se gli capitava di rendersene conto, subito la cosa si bloccava. Perciò tutte le sue idee, tutti i suoi propositi e tutte le sue decisioni, non sapeva mai da dove venissero“. (“L’uomo dei cerchi azzurri” Fred Vargas)

L’intuizione credo funzioni un po’ allo stesso modo sia quando si cerca di risolvere intricati casi polizieschi (almeno quelli dei libri: gli unici che conosco da vicino) sia quando si affrontano questioni di routine professionale o di vita quotidiana.

Da qualche parte ho letto che l’intuizione proviene da un lungo lavorio mentale di cui non siamo consci, è il risultato di un lungo processo a ritroso, un accumulo di singoli frammenti di esperienza che si fondono in un istante di profonda consapevolezza, come un lampo che illumina un luogo che conosciamo bene.

Per cui tutte le intuizioni che folgorano i vari detective, perché tutti, a prescindere dalla raccolta di indizi e prove, alla fine, mettono in gioco il loro intuito, prima di giungere alla soluzione di un caso.

Ma riflettere a lungo e intensamente, non sempre è il sistema migliore per trovare la soluzione a un problema, qualunque sia la sua natura.

Invece Adamsberg era esposto a tutti i venti come un capanno di legno, il cervello all’aria aperta, insomma, pensò Danglard.  È vero, era come se tutto quello che gli entrava dalle orecchie, dagli occhi o dal naso, che fosse fumo, colore, fruscio di carte, facesse una corrente d’aria sui suoi pensieri impedendo loro di prendere corpo. Questo qui, si disse Danglard, è attento a tutto, quindi non presta attenzione a niente“.

Forse è proprio questo il segreto: non concentrare troppo o troppo a lungo i propri pensieri e neppure rinchiuderli in modo claustrofobico in riflessioni contingenti.

Lasciare liberi i pensieri, consentire loro di mescolarsi ai ricordi. Esporre ai venti le nostre emozioni e magari, così saremo travolti, da idee impensabili e irraggiungibili attraverso un normale percorso di riflessione.

La parola giusta per esprimere questo processo potrebbe essere: contaminazione.

Attraverso la contaminazione si possono vedere e creare nuovi mondi, nuove strutture, si possono cogliere le sottili implicazioni che sfuggono alla logica di un pensiero completamente razionale, perché spesso le idee più originali provengono da luoghi misteriosi della nostra mente resi fertili dall’atmosfera che riusciamo a creare attorno a loro.

Indagando un po’ si potrebbe valutare con il raziocinio come certe intuizioni si siano create e poi sviluppate in pensieri più complessi e molti studi sono stati fatti in questo senso, investigando sulle possibilità della mente, a volte, però, vale la pena di lasciare qualcosa al mistero, al puro sortilegio.

La magia, anche quando siamo pienamente consci che è solo frutto di un’abile manipolazione, conserva il suo fascino immortale.

Le frasi idiomatiche in tedesco come espressione di una cultura

Kartoffeln patateQuando pensiamo alla lingua tedesca, la prima impressione è quella di una lingua estremamente logica, inflessibile nelle regole che la caratterizzano e “dura”.

In realtà se la si inizia a conoscere ed a studiare in maniera approfondita, spinti da un interesse che deve essere davvero profondo, si comprende che da un lato il tedesco ha certamente queste caratteristiche ma dall’altro troviamo una grandissima, anzi infinita varietà di verbi, espressioni idiomatiche che la rendono vivace e particolarmente interessante. Questi due aspetti del tedesco possono sembrare antitetici, in realtà sono due facce della stessa medaglia attraverso le quali questa lingua vive ed è in continua evoluzione.

Ogni lingua per i suoi modi dire utilizza delle espressioni che si rifanno ad alcuni aspetti culture-bound, ovvero legati alla propria cultura.

In tedesco, tantissimi modi di dire sono legati al cibo e questo fatto può sembrare strano visto che la Germania o l’Austria non sono poi così rinomate per il cibo. Però la domanda da porsi è: ci sono degli elementi tipici della varietà culinaria tedesca? La risposta è: le patate, famosissime “Kartoffeln” in tutto il mondo.

Per questo possiamo ritrovare innumerevoli espressioni idiomatiche che citano le patate, ad esempio: “Die dümmsten Bauern haben die dicksten Kartoffeln” ovvero “Le patate più grandi crescono sempre nel campo del contadino più stupido”. In italiano non esiste un modo di dire simile ed il significato è che anche le persone che si impegnano di meno e non sono troppo intelligenti possono avere successo o gratificazioni in poco tempo. Un’altra espressione particolarmente significativa è “Rein in die Kartoffeln, raus aus den Kartoffeln”. Viene utilizzata per indicare che qualcuno prende delle decisioni contrastanti, tende a cambiare spesso idea. Questa espressione ha un’origine precisa: infatti durante la guerra spesso venivano dati ordini contrastanti alle truppe. Dapprima veniva loro ordinato di entrare in un campo di patate per mimetizzarsi meglio e poco dopo di lasciare il campo per evitare danni alle colture.

Un altro elemento importante nella cultura tedesca è il pane, con le sue tante varietà.

Ritroviamo un modo di dire molto utilizzato “gehen weg wie warme Semmeln” (vengono comprati come i panini caldi) per indicare che dei prodotti vanno molto a ruba tra la clientela. Infatti i “Semmeln” sono panini e viene utilizzata proprio questa parola perché i panini sono un alimento molto amato da tutti.
C’è poi un altro modo di dire con “Brot”: “ein halbes Brot ist besser als gar keins”. Questa ha un corrispondente in altre lingue, tra cui l’italiano e si può tradurre con “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Anche in inglese ritroviamo la stessa metafora “better an egg today than a hen tomorrow”. In tedesco questo sottolinea la grande importanza del pane nella cultura germanica.

Nei modi di dire tedeschi non può mancare la “Wurst” che nei paesi di lingua tedesca si produce in tantissimi modi diversi.

Un modo dire che risale al Medioevo è: “Alles hat ein Ende, nur die Wurst hat zwei”. Letteralmente significa: tutto ha una fine, soltanto la salsiccia ne ha due. Infatti a prescindere da dove si inizia una cosa, questa poi avrà una fine. L’unica cosa che non avrà mai fine sono le salsicce. Possiamo ben capire perché!
Che cosa intendiamo con “das ist mir wurscht” o “das ist mir Wurst”? In italiano diremmo che qualcosa ci fa un baffo, non ci tange assolutamente. E se diciamo a qualcuno “armes Würstchen”? Gli o le stiamo dicendo: poverino/a! Questa persona si trova in una situazione difficile e vogliamo esprimerle la nostra comprensione. Perché proprio “Würstchen”? Perché pensiamo alla fine che farà essendo appesa al gancio prima di essere acquistata.
In senso positivo viene utilizzato anche questo modo di dire “eine Extrawurst kriegen” ovvero ricevere qualcosa in più degli altri, ricevere un trattamento preferenziale. Si può riferire a qualsiasi situazione in cui qualcuno ottiene qualcosa in più (tempo libero, soldi o qualcosa da mangiare nel vero senso della parola).
Possiamo anche qui ritrovare la grande importanza che questo piatto ha nella cultura culinaria dei paesi germanofoni.

I modi di dire e le espressioni che abbiamo spiegato sono molto significativi perché hanno delle origini antiche e allo stesso tempo rispecchiano pienamente la cultura e la storia da cui hanno origine.

Non esiste una traduzione assolutamente identica dei modi di dire da una lingua all’altra, a volte ci possono essere delle espressioni corrispondenti ma nella maggior parte dei casi si possono soltanto fare delle parafrasi o trovare un modo di dire che rispecchia il significato di quello della lingua di partenza. In ogni caso, quello di cui bisogna sempre tener conto è che i modi di dire sono talmente tanti che rappresentano una lingua nella lingua in continua evoluzione ma che mantengono sempre le proprie radici nel tempo.

Riflessioni e sogni, mentre il Natale si avvicina

Natale fiocco di neveQuesto periodo che conduce dritto al Natale e a un nuovo anno è per me un periodo di riflessione. Si tirano alcuni conti e si fanno progetti.

Quest’anno è addirittura speciale: è il mio primo Natale come scrittrice.
Dopo 16 anni dedicati alla grafica, e in seguito al mio licenziamento, ho deciso che l’hobby che porto avanti da anni: la scrittura, debba essere il mio nuovo e soddisfacente lavoro.

La vita ci stupisce con le sue svolte improvvise. Ci si sente spaesati a causa di cambiamenti repentini, ma l’importante è non arrendersi e ri-organizzarsi.

A volte certi cambiamenti ci aiutano a capire chi siamo veramente.

Al momento lavoro al progetto di riuscire a mantenermi con la scrittura, un progetto ambizioso, ma ho deciso di investire su me stessa e sulle mie possibilità.

Scrivere racchiude tutto quello che frammentariamente ho fatto finora: studiare, fare ricerche, leggere e infine mettere nero su bianco le immagini e le intuizioni che lentamente prendono forma e diventano un racconto.

Spero di riuscire nel mio intento e al momento auguro a tutti voi delle magnifiche feste e di poter raggiungere lungo la vostra strada i sogni che vi aspettano…

L’arte e i suoi termini: effimero ed eterno

effetto liquido immagine astrattaEffimero ed eterno, due termini in antitesi che ho colto durante un’intervista a Roberto Bolle.

Termini che mi hanno colpito per come riescono a descrivere la realtà complessa di un’opera d’arte.

Effimero è il gesto del pittore o sono i passi improvvisati di un ballerino.

Sono i suoni scaturiti in un momento di intimità tra il musicista e il suo strumento o le parole dello scrittore che fluttuano tra i suoi pensieri e restano impigliate nelle reti della memoria.

Ma sono anche le emozioni particolari che può provare il pubblico assistendo a un determinato spettacolo, in un dato momento, sotto l’effetto di un particolare umore.

Eterno può essere un quadro che travalica i secoli, accumulando con il passare degli anni significati e simboli in un’addizione infinita o un monumento che resiste alle intemperie, alle guerre e alle calamità.

Anche le partiture musicali e le parole contenute nei libri hanno visto scorrere anni e secoli e resisteranno ancora, affacciandosi sul futuro, se le persone saranno educate a comprendere e apprezzare il patrimonio culturale e soprattutto, a rispettarlo e conservarlo per chi verrà in seguito.