“La lettrice” di Fragonard e il fascino della bellezza femminile

"La lettrice" di Fragonard e il fascino della bellezza femminile

“La lettrice” è un dipinto di Jean-Honoré Fragonard, risalente al 1776. Questo ritratto rappresenta una sorta di meditazione sulla bellezza e sugli effetti della lettura sull’animo femminile.

Jean-Honoré Fragonard (Grasse, 5 aprile 1732 – Parigi, 22 agosto 1806) è stato un pittore francese, un importante esponente del rococò e uno dei più importanti artisti francesi del Settecento.

Fragonard sapeva sfruttare al meglio le sue doti pittoriche. Faceva un uso particolare della luce e si avvaleva di una singolare rarefazione di specifiche parti, un valido artificio che gli consentiva di rappresentare con efficacia la leggerezza di alcuni elementi, come i panneggi o le bianche acconciature femminili.

Lavorò a Versailles fino alla rivoluzione, dopo la quale il suo stile fu rimpiazzato da quello neoclassico, caratterizzato da severità e tetraggine; l’opposto di quello di Fragonard che era assolutamente incapace di dipingere temi seri. Infatti, impossibilitato a gareggiare con i suoi pari aulici, aveva scelto di primeggiare tra i pittori di moda e i suoi dipinti più famosi raffigurano scene leggere e frivole, spesso erotiche.

Non disdegnò neppure i soggetti storici, i paesaggi e le opere di genere, ma la sua grande eleganza fu chiaramente impiegata nella pittura di carattere frivolo e malizioso.

Affascinato dalla bellezza femminile, Fragonard dipinse un nutrito gruppo di dipinti in cui sono raffigurate giovani donne in momenti di quieta solitudine.
Questi dipinti sono una specie di evocazione; le fanciulle che l’artista amava dipingere sono una sorta di personificazione della musica e della poesia.

Uno di questi dipinti “al femminile” è “La lettrice”. Nel quadro è raffigurata una ragazza con uno sgargiante vestito giallo; ha il capo inclinato ed è appoggiata a un grande cuscino rosa, piacevolmente assorta nella lettura di un libro che sorregge con delicatezza con la mano destra; l’altra mano è appoggiata a una poltrona.
Non sappiamo chi sia questa giovane concentrata a leggere, invece sappiamo, grazie ai raggi x, che sotto questo dipinto, l’artista aveva tracciato un disegno differente.
L’opera è datata 1776 ed è stata utilizzata in svariate edizioni del romanzo “Madame Bovary” di Gustave Flaubert.

Rispetto alle altre opere di Fragonard, questo dipinto è certamente più tranquillo. Si tratta di una scena di erudizione di una giovane donna e potrebbe essere definito un ritratto, anche se la donna non ci guarda. Da notare la postura delle mani e della schiena (molto dritta nonostante il grande cuscino) che denotano che la ragazza ha ricevuto un’educazione in materia di decoro ed etichetta.

La tecnica utilizzata da Fragonard è l’olio su tela. Notevole per la varietà dei tocchi, il dipinto è un buon esempio della pennellata rapida e vigorosa sviluppata dall’artista, e a volte definita “escrime” (scherma) dai suoi contemporanei.

Fragonard ha concepito questo dipinto, affinché fosse gradito agli occhi di chiunque, evitando gli interessi intellettuali e con l’intento di arrecare gioia e calore allo spettatore che l’artista coinvolge, inducendolo a porsi delle domande sulle conseguenze della lettura nel pensiero e nelle emozioni della fanciulla ritratta.
In questo modo, “La lettrice” diventa una meditazione sulla bellezza, ma anche sulle implicazioni della lettura nell’animo femminile.

Attualmente, “La lettrice” è conservata alla National Gallery of Art di Washington. Fu donata al museo nel 1961, dalla signora Mellon Bruce, in memoria di suo padre, Andrew W. Mellon. In precedenza, era appartenuta al dottor Tuffier.

In copertina: “La lettrice”, olio su tela (dimensioni 81,1×64,8 cm) di Jean-Honoré Fragonard, conservato alla National Gallery of Art, Washington

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #2

Giallo storia di un genere letterario di grande successo 2

A inizio Novecento soffiano venti di cambiamento per il giallo. Tra gli anni venti e trenta, il genere prenderà le distanze dal modello instaurato dai gialli di Conan Doyle e si creeranno correnti diverse in Europa e in America.

Agli inizi del Novecento il genere giallo incontra sempre più consensi, innanzitutto da parte dei lettori, successivamente, anche da parte della critica.

Molti autori si dedicano alla scrittura di gialli e un certo numero di essi ha anche raggiunto una fama mondiale, tra questi: Raymond Chandler (1888-1959), Rex Stout (1886-1975) e Agatha Christie (1890-1976).

Compaiono anche dei tentativi di dare forma a un detective diverso, più umano, meno freddo, altrettanto si cerca di fare con le storie.

Un esempio di tali iniziative si rilevano nei libri di Gilbert Keith Chesterton (1874 – 1936; scrittore e giornalista britannico, molto prolifico e versatile), creatore del prete detective, Padre Brown.

Il vero cambiamento, però si avrà solo verso la metà degli anni trenta, quando gli autori di questo genere inizieranno ad affrancarsi dagli schemi del giallo classico. Ed è proprio in questa fase che iniziano a definirsi due strade che, parallelamente, e in modo molto diverso, in Europa e in America, prenderanno le distanze dal modello creato da Conan Doyle (1859 – 1930) con “Sherlock Holmes”.

Negli anni venti e trenta, negli Stati Uniti si afferma un genere di giallo che sarà poi definito hard boiled. Le storie di questo tipo sono descritte con toni oscuri e negativi; lo stile è tagliente, il linguaggio crudo si spinge ai limiti del volgare.

Il delitto è uno degli elementi della narrazione, mentre le ambientazioni e la descrizione psicologica dei personaggi assurgono a parte di rilievo nella storia.

Gli scenari degradati delle metropoli americane fanno da sfondo a una società in cui contano solo potere e denaro, mentre i buoni e i deboli sono – ahimé – destinati a soccombere.

I detective di queste storie sono figli dell’America spietata e disincantata degli anni successivi alla terribile crisi del 1929. Sono dei solitari, avventurieri, dei duri, traditi dalla vita e per questo, spesso alcolizzati o comunque forti bevitori, che non hanno più nulla in cui credere.

In Europa, invece, dai primi anni trenta i cambiamenti nel genere giallo assumono toni meno duri di quelli usati dagli scrittori che vivono dall’altra parte dell’oceano.

In Italia, Augusto De Angelis (1888 – 1944; scrittore e giornalista, attivo in particolare durante gli anni del fascismo) diede vita al suo commissario De Vincenzi, una sorta di Maigret italiano che, purtroppo, non incontrò grande favore di pubblico. Forse, anche a causa della chiusura culturale dovuta al fascismo e anche per lo scarso apprezzamento del genere poliziesco da parte del regime.

Nel 1943, fu imposto il sequestro in Italia di “tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita“. Fu anche chiusa la famosa collana di gialli di Arnoldo Mondadori Editore.

Il regime fascista, per motivi propagandistici e di ordine pubblico, mirava a nascondere sotto il tappeto qualsiasi cosa potesse incrinare la facciata positiva e integra della società italiana, che era mostrata agli italiani e al mondo. Per questo motivo, il crimine fu fatto scomparire sia dalla cronaca sia dalla letteratura. I gialli, anche se trattavano di atti criminali immaginari, erano comunque visti con sospetto, come un mezzo per istigare e sovvertire l’ordine costituito.

In Europa, invece, il genere continuava la sua inarrestabile evoluzione.
A metà degli anni trenta, George Simenon (1903 – 1989) creò il personaggio di Maigret e sovvertì in maniera definitiva l’idea di indagine e persino il concetto di romanzo poliziesco. Grazie a lui, non mutò solo la figura del detective, ma anche gli ambienti, le situazioni e i personaggi in generale, diversissimi da quelli cui si era abituati a “frequentare” con il giallo classico.

Ora, sotto la lente dell’investigatore non c’è più il mondo aristocratico, ma l’uomo comune, il piccolo borghese, e le trame dei nuovi libri gialli tengono sempre più conto delle tematiche esistenziali, filosofiche e psicologiche.

Lasciando al passato le ambientazioni rarefatte e mondane, si scende nelle strade, ad affrontare le inquietudini della gente comune. Il romanzo poliziesco a questo punto non è più strettamente letteratura di genere, ma accresce il suo spessore sia a livello contenutistico sia stilistico e finisce per mescolarsi con una letteratura dotata di un più ampio respiro.

Simenon, a braccetto con il suo Maigret, ha fatto e tuttora fa “visitare” ai suoi lettori una Parigi fatta di brasserie e quartieri popolari, spingendosi fin nella provincia francese.

Il commissario di Simenon non è un eroe, è un uomo ordinario e vulnerabile, un poliziotto e un borghese, che però è dotato di una profonda umanità.

Le sue indagini, condotte in modo molto diverso da quelle dei suoi predecessori, danno quasi l’idea che non stia per niente indagando, e arrivano a rivelare il più delle volte una verità amara.

Anche gli assassini di Maigret non hanno niente a che vedere con i loro predecessori del genere: sono persone comuni che uccidono, perché un imprevisto ha sconvolto le loro vite e le ha costrette ad agire di conseguenza.

Nelle storie di Simenon, non c’è il gioco della deduzione, al fine di individuare l’assassino. Il colpevole, infatti, è spesso individuato o comunque sospettato abbastanza presto, ma quello che conta in questo percorso non è capire chi, piuttosto perché, cioè ricostruire la verità umana, arrivare al motivo che ha fatto scatenare il dramma e ovviamente, ottenere le prove per inchiodare il colpevole.

Quello che conta, insomma, per Maigret e per Simenon è la vicenda umana dietro al crimine che si è consumato.
(prosegue)

I supereroi della letteratura: “La Primula Rossa”

I supereroi della letteratura La Primula Rossa

La figura del supereroe ha calcato nel tempo le scene letterarie prima di passare al fumetto e al cinema. Sono diverse le figure di uomini audaci e coraggiosi, anche se privi di superpoteri, che hanno sfidato le autorità e il male in genere. Andando a ritroso, possiamo individuare queste caratteristiche ne “La Primula Rossa” che combatteva per tutelare i nobili ai tempi di Robespierre.

La letteratura ha sempre avuto i suoi supereroi, ben prima che comparissero le ormai consuete figure in calzamaglia, dotate di superpoteri che popolano da diversi anni le strisce dei moderni fumetti.
E anche questi supereroi ante litteram avevano un’identità segreta, portavano una maschera e combattevano per un bene supremo, per la giustizia, per la verità. Tentavano anche essi di proteggere le persone inermi, di difendere i buoni dai cattivi e di far trionfare il bene sul male.
Uno di questi supereroi dei secoli scorsi, che non si avvale di superpoteri, ma solo del suo coraggio e della sua determinazione, è “The Scarlet Pimpernel” (La Primula Rossa).

Le sue gesta sono raccontate in un ciclo di romanzi, scritti dalla baronessa Emma Orczy (1865 – 1947; scrittrice britannica di origine ungherese) e stampati in fascicoli, agli inizi del Novecento. Il primo romanzo in volume apparve nel 1905, con il titolo “La Primula Rossa”.

La Orczy ha ambientato le vicende del suo eroico personaggio all’epoca della rivoluzione francese, nel periodo in cui Maximilien de Robespierre (1758 – 1794; politico, avvocato e rivoluzionario francese) e i membri del Comitato di salute pubblica (Comité de salut public) seminavano il Terrore.
Mentre la ghigliottina faceva gli straordinari, giungeva in Francia il primo eroe con identità segreta nella storia della narrativa: La Primula Rossa, fantomatica figura a capo di una lega che lottava a favore dei nobili e si opponeva alla tirannia, diretta conseguenza della rivoluzione.

La Primula Rossa è ovviamente acclamata dai nobili decaduti e da quelli che in questo particolare momento storico sono considerati i nemici della repubblica, e il suo nome, così singolare, deriva dal fiore scarlatto (Anagallis arvensis) che lascia quale firma alle sue impavide imprese.

Dietro la maschera si celava il volto di un nobile inglese, sir Percy Blakeney, “damerino incipriato”, fedele amico del Principe di Galles. La Primula rappresenta il classico uomo coraggioso, raro esempio di eroe reazionario che lotta con fierezza contro le barbarie rivoluzionarie.

Le avventure del La Primula Rossa non si sono fermate alle pagine di un libro, ma grazie alla fortuna incontrata dal personaggio e dalle sue vicende, sono approdate anche al cinema, prima quello in bianco e nero e più recentemente, il coraggioso e avventuroso eroe è stato riproposto in un ciclo di film; l’attore che recita la sua parte è Richard E. Grant.

Nel mondo anglosassone, La Primula Rossa è ancora molto popolare, in Italia, invece, non ha avuto la stessa notorietà: l’ultima stampa integrale risale alla fine degli anni Sessanta.

Che cosa succede però se i supereroi abusano dei loro poteri, se sono cattivi, egoisti, ipocriti e bramosi di potere?
A questo interrogativo tenta di rispondere una serie televisiva statunitense del 2019, “The Boys”, ideata da Eric Kripke per conto di Amazon.
La serie si basa sull’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson.
Alla luce di questa nuova generazione di super, ma al contempo antieroi, possiamo pensare di aver raggiunto una nuova frontiera di questo particolare genere, dove l’aggettivo “super” si addice più alla gente comune che ai classici eroi in calzamaglia.

“La liseuse”, l’assorta lettrice di Pierre-Auguste Renoir

“La liseuse”, l’assorta lettrice di Pierre-Auguste Renoir

Renoir è uno dei tanti artisti che ha raffigurato soggetti immersi nella nobile arte della lettura.
Nei suoi quadri, a leggere sono sia uomini sia donne, ma anche molti bambini e adolescenti, tutti accomunati dalla stessa “devota” concentrazione.
Una di queste attente figure è “La liseuse”, dipinta tra il 1875 e il 1876, in pieno periodo impressionista.

Il pittore Pierre-Auguste Renoir (Limoges, 25 febbraio 1841 – Cagnes-sur-Mer, 3 dicembre 1919) è ritenuto uno tra i massimi esponenti dell’Impressionismo e uno degli interpreti più spontanei di questo particolare movimento.

L’artista francese ha lasciato una messe davvero nutrita di opere: ben cinquemila tele e un numero altrettanto elevato tra disegni e acquerelli. Si è anche distinto per la sua poliedricità, attraversando nella sua carriera artistica diversi periodi.

In un suo scritto disse che “l’opera d’arte deve afferrarti, avvolgerti, trasportarti”. Secondo me, queste parole, calzano perfettamente anche per l’arte della lettura.
In uno dei tanti soggetti che Renoir ha raffigurato intento a leggere, possiamo ravvisare quel rapimento che l’artista ritiene si debba provare davanti a un’opera d’arte. Sto parlando del dipinto “La liseuse” (La lettrice) realizzato tra il 1875 e il 1876.

Nel dipinto, come afferma il titolo stesso, è raffigurata una donna immersa nella lettura di un libro.
A fare da modella a Renoir fu Marguerite Legrand, detta Margot, una giovane graziosa di Montmartre che morì di febbre tifoidea nel febbraio del 1879.
L’artista, che rimase molto colpito dalla sua morte, di lei disse che “aveva una pelle che rifletteva la luce”, e in questo ritratto, in effetti, il pittore è riuscito a mettere in risalto l’incarnato della sua amica, grazie alla nuova tecnica pittorica impressionista.

Realizzata in studio, l’opera è caratterizzata da una freschezza e da una spontaneità del tratto tipica dei dipinti eseguiti di getto, en plein air.

Nel quadro sono presenti pochissimi dettagli e un solo oggetto: un libro; perché Renoir intendeva concentrare l’attenzione dello spettatore sull’intensità della lettura.
Lo sfondo è accennato, in quanto deve solo trasmettere l’idea della profondità, senza definire un ambiente preciso, mentre i colori, chiari e luminosi, sembrano ravvicinare il viso della giovane all’osservatore.
Inoltre, per accrescere la luminosità cromatica della tela, Renoir accosta larghe e disordinate pennellate di colore, seguendo la tecnica impressionista.

L’artista ha anche fissato sulla tela dei punti di colore, quali: le labbra di un rosso brillante, lo jabot rosa che la ragazza indossa come ornamento sopra una blusa scura.
Gli occhi della lettrice sono rivolti verso il basso: due semplici ed essenziali linee nere.
L’espressione del viso è serena e trasmette a chi guarda la concentrazione della “Liseuse”, nonché il piacere della lettura che la ragazza, con il libro aperto davanti a sé, sta provando.

Renoir insiste sui colori, non traccia un contorno; utilizza il chiaroscuro per ravvivare il volto della ragazza, mentre le tonalità sono alterate da effetti di luce. Per l’incarnato, l’artista ha aggiunto dei violenti tocchi di giallo, sicuramente ispirati dall’ambientazione – probabilmente l’interno del Caffè Guerbois o del Café de la Nouvelle Athènes, luoghi tra i più frequentati dagli Impressionisti – cioè dalle tonalità dorate della luce artificiale a gas.

In questo dipinto, la luce gioca con il soggetto e i suoi riflessi creano dei richiami in vari punti della tela. Il pittore voleva dare la sensazione di un sole accecante che accende a tratti i capelli rossi della ragazza, illumina le pagine del libro aperto e poi si riflette dalla carta bianca sul viso della giovane.

Renoir ha applicato pennellate rapide, studiando con cura l’abbinamento di toni caldi e freddi, ad esempio: il rossore sfumato del volto di Margot si bilancia perfettamente con la zona blu-verde sul lato destro del dipinto.
Inoltre, le zone caratterizzate da colori freddi contrastano con i colori caldi riservati in particolare al volto e ai capelli del soggetto, e persino con i contorni della cornice della finestra che si profilano dietro la testa della ragazza.
Un tocco di luce compare leggero su una spalla e dona un accenno di volume alla figura.

In questo dipinto il disegno non detiene un ruolo speciale perché il soggetto è modellato dal colore.
I contorni sono labili e incerti. Successivamente, le opere di Renoir cambieranno registro riguardo all’importanza del disegno. Ma in questa fase, esso ha un ruolo subordinato, al contrario della tendenza della pittura accademica di quegli anni in cui occupava un posto preminente.

Gustave Caillebotte (1848 – 1894; pittore francese) acquistò “La liseuse” nel 1876; nel 1893, il dipinto entrò nelle collezioni statali francesi e successivamente, fu esposto al museo parigino du Luxembourg e al Louvre. Ora, si trova al museo d’Orsay.

In copertina: “La liseuse” (La lettrice) di Auguste Renoir, olio su tela, 47×38 cm (1876) conservato al Museée d’Orsay, Parigi

Giallo: storia di un genere letterario di grande successo #1

Il genere letterario che va, almeno in Italia, sotto il nome di “giallo” ha avuto negli anni una grande fortuna. Negli anni ha visto mutare le ambientazioni, le figure degli investigatori, il suo contenuto e persino le sue finalità, ciò che è rimasto intatto è il fascino che ancora esercita sui lettori.

Il termine “giallo”, usato per definire un genere letterario, è valido solo nella lingua italiana e deriva dalla collana “I Libri Gialli”, concepita da Lorenzo Montano (pseudonimo di Danilo Lebrecht, 1893 – 1958; scrittore e poeta italiano) e pubblicata in Italia, dal 1929 in poi da Arnoldo Mondadori (1889 – 1971; editore italiano fondatore della omonima casa editrice).
Questa scelta editoriale ha influenzato il modo di riferirsi al genere poliziesco che, mentre nei paesi francofoni resta invariato (roman policier e polar), in Italia, mutuato dalle copertine gialle di Mondadori, sarà associato d’ora in poi a questo colore.

Parlare di storia del giallo significa fare riferimento alla storia del genere poliziesco, in quanto la nascita e lo sviluppo di nuove ramificazioni del genere si è verificata solo più avanti, con una produzione variegata che comprende: thriller, spy-story e giallo psicologico.

La nascita del genere giallo si fa risalire al mese di aprile del 1841, quando sulla rivista “The Graham’s Magazine di Filadelfia” fu pubblicato “The Murders in the Rue Morgue” (I delitti della Rue Morgue), un racconto di Edgar Allan Poe (1809 – 1849; scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense) in cui compare Auguste Dupin, investigatore che risolve i casi, senza neppure recarsi sulla scena del crimine, ma che trae indizi da resoconti giornalistici e sfruttando le sue incredibili capacità deduttive.

Sulla scia di Dupin, comparirà un altro infallibile detective, Sherlock Holmes dalla penna di Arthur Conan Doyle (1859 – 1930). La sua prima indagine sarà narrata nel romanzo “Uno studio in rosso”, del 1887.

Il panorama giallo italiano si anima dal 1852, con “Il mio cadavere”, di Francesco Mastriani (1819 – 1891; scrittore, drammaturgo, giornalista; autore di romanzi d’appendice di grande successo).
Il romanzo, inizialmente, apparve in appendice sul periodico napoletano di politica e cultura “L’Omnibus”. La prima puntata (‘’La famiglia dello stradiere’’) uscì in stampa il 13 dicembre 1851.
Nel 1888, Emilio De Marchi (1851 – 1901; scrittore, poeta e traduttore italiano; fra i più importanti narratori del secondo Ottocento italiano) pubblica “Il cappello del prete”, romanzo giallo fra i più interessanti dell’epoca.

In Italia, il genere giallo inizia a prendere campo nel dopo guerra e nelle pagine dei nuovi romanzi si inizia a sentire l’influenza dalla scuola americana “Hard boiled” della narrativa poliziesca.

A essere considerati, universalmente, come primi gialli sono comunque le avventure di Sherlock Holmes. Il personaggio creato da Conan Doyle ha proiettato una lunga ombra sul genere, che è giunta fino agli anni trenta del Novecento, e molti personaggi concepiti sotto questo ascendente da autori europei e americani derivano direttamente da Holmes.
Tra questi, appartenenti al periodo classico del giallo, citiamo i più famosi: Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie (1890 – 1976; scrittrice e drammaturga britannica); Philo Vance di S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright, 1887 – 1939; scrittore e critico d’arte statunitense); Lord Peter Wimsey di Dorothy L. Sayers (1893 – 1957; scrittrice, poetessa e drammaturga britannica) ed Ellery Queen, il più famoso degli pseudonimi di Frederick Dannay (1905 – 1982) e Manfred Bennington Lee (1905 – 1971), scrittori di letteratura poliziesca e inventori del detective che ha il nome del loro pseudonimo.

Questa messe di investigatori letterari non è, ovviamente, una pedissequa ripresa del modello, ma ogni detective citato presenta caratteristiche specifiche e ogni autore ha tentato a suo modo di proporre elementi nuovi, ad esempio, nello stile e nel contenuto.
Ma restano molti aspetti in comune con l’originale. Prima di tutto la capacità deduttiva, a seguire l’abilità di riconoscere l’importanza di indizi che agli altri sembrano trascurabili e infine, la dote di mettere insieme i pezzi e trovare la soluzione di casi intricati o quasi impossibili.

L’arma della deduzione che questi abili investigatori possiedono deriva dal positivismo ottocentesco. Questi personaggi hanno una fede incrollabile nei confronti della logica, della scienza e della ragione.
Ogni indagine conduce immancabilmente a una sola e unica soluzione che è possibile affermare grazie all’analisi delle tracce trovate sulla scena del crimine e attraverso tale analisi si può giungere alla verità, senza possibilità di errore.

Questo tipo di detective sono uniti anche perché appartengono a classi sociali assimilabili: spesso benestanti o di nobili origini e svolgono le loro indagini principalmente per vanità intellettuale oppure per curiosità o diletto, per il puro desidero di risolvere un mistero. Non rappresentano la legge e mirano essenzialmente a scoprire la verità.
Inoltre, gli ambienti in cui avvengono i crimini sono spesso altolocati ed eleganti, lontani dai luoghi quotidiani in cui avvengono di norma fatti criminali.

Gli investigatori del giallo classico sono sempre dilettanti. Il motivo è semplice: questi personaggi non sono vincolati da regole e possono indagare in piena libertà, mentre un poliziotto o un funzionario dello Stato devono attenersi ad esempio, alle norme e alle direttive dei superiori.

I gialli di questo periodo hanno una forte componente morale, anche se sono stati ritenuti per molto tempo una “letteratura di evasione”.
In queste storie, il colpevole, dopo essere stato individuato, subisce una punizione, la giustizia trionfa e torna l’ordine precostituito, che era stato sconvolto dalle azioni del criminale. Questo processo di ripristino delle regole rientrava nelle consuetudini sociali dell’epoca, ancora dipendente dalla visione moralistica di stampo vittoriano.
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Albert Anker: quando la lettura diventa arte

Albert Anker: quando la lettura diventa arte

Il pittore svizzero Anker ha realizzato molti dipinti che raffigurano lettori e lettrici, mostrando quanto fosse importante la lettura nell’Ottocento e rimarcandone la diffusione, e il ruolo da protagonista da essa assunto nella vita delle persone.

Albert Samuel Anker (1° aprile 1831 a Ins, Canton Berna, Svizzera – 16 luglio 1910 ibid), pittore e grafico, è famoso per aver ritratto scene di vita quotidiana con grande vivacità.
Dipinse anche paesaggi rurali, ritratti di bambini, nature morte, scene con personaggi religiosi e storici.
L’artista ha anche dedicato numerose opere al tema della lettura e al piacere di leggere.
Del resto, Anker era un uomo colto, che scriveva e leggeva in ben sei lingue.

Passando in rassegna i libri della sua biblioteca, conservati nella casa museo di Ins e prendendo in esame la sua corrispondenza, scopriamo che il pittore, oltre alle opere teologiche e filosofiche, leggeva anche gli autori greci e latini in originale, e la Bibbia in ebraico.
Non disdegnava neppure la storia, il genere biografico, le descrizioni di viaggi, la storia naturale e quella dell’arte. Tra i suoi scaffali c’era spazio anche per la letteratura francese, come Honoré de Balzac (1799 – 1850) ed Émile Zola (1840 – 1902), e per tutte le opere dello scrittore svizzero Albert Bitzius (pseudonimo di Jeremias Gotthelf, 1797 – 1854).

Oltre ai libri, Anker leggeva anche i giornali. Le sue testate preferite erano “Suisse libérale” e “Berner Volkszeitung”.
I quotidiani gli consentivano di assorbire il gusto e lo spirito dei suoi tempi, di aggiornarsi sui fatti del mondo e di sondare le problematiche sociali che lo interessavano in particolar modo.

I suoi dipinti rispecchiano le sue tendenze e quelle della società in cui viveva: in molti ritratti compaiono uomini, soprattutto contadini di Ins, che leggono giornali. Infatti, a partire dalla metà dell’Ottocento, in Svizzera, c’era una notevole diffusione di periodici, anche nel ceto popolare.

Nel 1860, esistevano ben 298 testate tra giornali e riviste, che dimostravano la volontà del ceto contadino di emanciparsi sia a livello culturale sia a livello politico.
Nei suoi quadri Anker afferma anche il suo orientamento politico, mettendo in mano ai suoi contadini il “Seeländer Bote”, un giornale di ispirazione liberale e conservatrice.

A leggere però non sono solo gli uomini, in molte opere del pittore svizzero, infatti, sono raffigurate giovani donne che si dedicano con fervore alla lettura.
Arken con i suoi dipinti ha immortalato i cambiamenti sociali in atto ai suoi tempi. Se nel Settecento e nel primo Ottocento la lettura era stata un mezzo per istruire le ragazze della borghesia, ora questa tendenza si estende alle donne del ceto popolare.

L’artista però, non ha raffigurato donne intente a leggere giornali: la politica era ancora un affare da uomini. Alle donne erano destinate letture come la Bibbia, la storia della Svizzera, i romanzi di Gotthelf, biografie, poesie, novelle.
All’epoca, procurarsi libri per letture individuali era semplice: c’erano molte biblioteche popolari un po’ ovunque nel Cantone di Berna. Nel 1866 erano attive ben 173 “Jugend- und Volks-bibliotheken” (biblioteche per la gioventù e per il popolo)

Oltre a uomini e donne, Anker ha raffigurato anche bambini e adolescenti, fissati sulla tela mentre ad esempio leggono ad alta voce a qualcuno.
I soggetti ritratti hanno atteggiamenti attenti e sono particolarmente concentrati nel loro compito; ad ascoltarli ci sono compagni, fratellini più piccoli, genitori che stanno svolgendo lavori domestici oppure vecchi nonni.

Nell’Ottocento, nel Cantone di Berna gran parte della popolazione sa leggere. E il gesto di qualcuno che legge per altri indica non solo l’intimità e la complicità che la lettura è in grado di creare tra le persone, ma anche il valore che riveste tale attività per la scuola bernese.
Inoltre, i dipinti che raffigurano soggetti che leggono ad alta voce mostrano un metodo di insegnamento che mirava a far apprendere giusto tono e ritmo, e ad esprimere le emozioni, affinché gli ascoltatori fossero affascinati e conquistati, e mantenessero desta la loro attenzione.

Arken era un intellettuale a trecentosessanta gradi e la sua pittura mostra tutta la ricchezza della sua conoscenza.
Nell’esplorare la lettura e il mondo dei libri, l’artista ha assunto anche il ruolo di illustratore: nel 1890, ha realizzato duecento disegni per i nove volumi di opere scelte di Gotthelf.

Il pittore svizzero nei suoi dipinti ha riassunto la funzione della lettura, passando attraverso varie generazioni e includendo una larga tipologia di supporti: dal libro al giornale, dal documento alla lettera.
Ha raffigurato vari tipi umani: scolari; ragazze intente a pettinarsi o a lavorare a maglia che intanto leggono; bambini che osservano incuriositi dei fogli stampati; segretari comunali che confrontano documenti ufficiali; anziani che leggono la Bibbia o il giornale.

Dalla Bibbia ai romanzi, dall’apprendimento al consumo, la lettura è analizzata in tutte le sue forme; valutata per gli umori e le differenti reazioni che suscita. Inoltre, il pittore rappresenta i suoi lettori in varie ambientazioni: en plein air; seduti in poltrona; a letto durante una convalescenza.

Inoltre, ci sono momenti e momenti. C’è la lettura domenicale della Bibbia con la famiglia o la lettura delle missive di coloro che sono in guerra; c’è la lettura del giornale che tiene aggiornati sulle questioni del mondo oppure la lettura d’evasione, tipicamente femminile.

In pratica, i dipinti di Arken mostrano in un’efficace carrellata le varie declinazioni dell’affascinante mondo della lettura, dei lettori e del leggere in generale, evidenziando come questa attività nell’Ottocento accompagnasse in sordina ogni istante della vita delle persone.

In copertina: Albert Anker, particolare del dipinto “Eine Gotthelf-Leserin” (una lettrice di Gotthelf) – olio su tela 59 × 42 cm1884

Hard boiled: il genere letterario e i suoi “eroi”

Hard boiled il genere letterario e i suoi eroi

L’hard boiled è un genere letterario che si sviluppa negli Stati Uniti e darà il via a una vera e propria rivoluzione del genere poliziesco.

Pistola in pugno e bionda al fianco può essere una descrizione spiccia ma adeguata del detective del genere letterario hard boiled.
Il termine deriva da un’espressione colloquiale riferita alle uova. Per un uovo essere “hard boiled” significa “essere sodo”, “duro”.

Questo genere letterario risale agli anni venti, prende forma nei romanzi di Dashiell Hammett ed è messo a punto negli anni trenta da Raymond Chandler.
L’hard boiled fa parte della detective fiction e del genere poliziesco, come la variante francese del noir, ma in questo tipo di romanzi il crimine è rappresentato in modo realistico, così come il sesso e la violenza, lasciando ben poco spazio alla deduzione dei gialli classici.

Sin dai suoi esordi, questo particolare genere era saldamente connesso all’esistenza di certe riviste “pulp”, come “Black Mask”. Il termine “pulp”, cioè polpa, trae origine dalla carta con cui erano stampate questo tipo di riviste. Essa si otteneva dalla polpa dell’albero ed era di una qualità più scadente rispetto a quella proveniente dal resto del tronco. Era più ruvida e spessa e ingialliva in poco tempo.
Queste riviste sono ricordate in particolare per le storie che contenevano: sfacciate, violente e a volte addirittura oscene. A colpire i lettori erano anche le copertine, generalmente sexy o raccapriccianti.

Dopo essere apparsi sulle riviste, i romanzi hard boiled finiscono negli scaffali delle librerie, pubblicati dalle case editrici specializzate. Si tratta di edizioni in brossura, note come “pulps”.

Gli eroi di questo genere letterario sono detective come Sam Spade di Hammett o Philip Marlowe di Chandler. Questo tipo di investigatori, oltre a risolvere i casi, fronteggiano ogni sorta di pericolo e spesso sono coinvolti in scontri violenti.

Il detective hard boiled è un “duro”, un solitario, sfrontato, freddo e irriverente. È un investigatore privato che lavora da solo; la sua età oscilla tra i trentacinque e i quarantacinque anni.
Non è quello che si potrebbe definire un buon padre di famiglia; non ha molti amici e in genere, incontra le sue conoscenze nei luoghi che abitualmente frequenta, in particolare, locali notturni, dove mostra la sua natura di incallito bevitore. Ma si tratta di un vizio che non gli annebbia la mente e neppure i riflessi, sempre pronti, se necessario.

La dieta dell’eroe targato hard boiled è improntata a favorire l’infarto o gravi malattie cardiovascolari, costituita com’è da uova fritte, pancetta e caffè nero, cui si aggiungono sigarette e whiskey, tanto per accelerare la dipartita, se il piombo di coloro contro i quali incoccia non facessero prima il loro dovere.

Il linguaggio che utilizza il detective hard boiled è fortemente gergale e come la sua vita, spesso fuori dai binari della legalità, passa dai vocaboli malavitosi ai termini delle forze dell’ordine.
In effetti, è un uomo di poche parole, ha una netta preferenza per i monosillabi, ma quando esprime un concetto è capace di allestire metafore colorite. È anche sarcastico, ma con scarso senso dell’umorismo.

Il protagonista del genere hard boiled non abbandona mai la sua pistola che non esita a usare contro i criminali.
Le sue donne ideali sono bellissime e bionde. Tendenzialmente, sono delle clienti piombate nel suo ufficio per offrirgli l’incarico di seguire il marito infedele, e il più delle volte rivelano un lato oscuro.

In ogni caso, i suoi rapporti con il genere femminile sono difficili, conflittuali. Spesso il detective hard boiled deve fare i conti con una storia d’amore fallita, che gli ha lasciato delle ferite e una profonda amarezza e disillusione. All’apparenza sembra un misogino.

Non ha mai il becco di un quattrino, eppure è generoso: quando prende un caso il più delle volte si accontenta di una paga simbolica.
Le vicende in cui si trova invischiato sembrano facili da risolvere, all’inizio, ma poi si rivelano complesse e ingarbugliate e lo costringono ad affrontare mille peripezie e disavventure.
Spesso, seguendo le sue piste, si scontra con la malavita organizzata ed è costretto a muoversi per le strade più malfamate di città come New York, Los Angeles o Chicago.

I guai lo cercano e lui non può farne a meno. Spesso è un ex poliziotto e nelle sue nuove vesti di investigatore ha un rapporto ambiguo con le autorità, anche se a volte, intuisce che come lui sono dalla parte del bene, però la disillusione, specie se si trova a contrastare la corruzione, lo portano ad agire da solo, anche se questo significa infrangere le regole.

Vincent van Gogh: un artista e un lettore appassionato

Vincent van Gogh un artista e un lettore appassionato

Van Gogh era un lettore accanito. La lettura per il pittore olandese fu una consolazione, un rifugio, una compagnia, un’ispirazione e una passione profonda in tutto l’arco della sua vita.

Vincent van Gogh amava la lettura. In particolare, nel 1879, in un periodo oltremodo difficile per lui, leggeva senza sosta per tutto il giorno.

In questo periodo oscuro, l’artista interruppe anche la sua corrispondenza, con tutti, anche con il fratello Theo; leggere era il suo unico conforto, e in questa fase, quasi la sua unica ragione di vita: “Se non studio, se non cerco più, allora sono perduto”.

Al “Van Gogh Museum di Amsterdam” sono conservati solo tre i libri che per certo gli appartenevano. Due recano il nome Vincent sulla pagina dell’occhiello: “Chérie” di Edmond de Goncourt e “Histoire d’un paysan” di Èmile Erckmann e Alexandre Chatrian; il terzo, “Recueil de psaumes à l’usage des églises réformées” mostra tracce della sua inconfondibile scrittura. Se ne aggiunse un quarto, esposto l’ultima volta a Parigi nel 1972, poi andato disperso, “L’Amour” di Jules Michelet, un autore dall’artista molto amato, insieme a Dickens, Balzac, Zola, i fratelli Goncourt, Loti e vari critici d’arte come Charles Blanc o Sensier, Shakespeare.

È lo stesso Vincent a dichiarare il suo amore per la lettura: “Ho una passione pressoché irresistibile per i libri e sento continuamente il bisogno di istruirmi, così come ho bisogno di mangiare il pane”.

Van Gogh non è in ogni caso un collezionista di libri, non ha una biblioteca, perlomeno non fisica. Lui i libri li usa non li possiede e li fa suoi interiorizzandoli. Una volta che li aveva “digeriti”, li condivideva con gli amici, li regalava. La sua biblioteca era nella sua testa.

L’impossibilità di collezionare libri da parte dell’artista era dovuta anche alla sua vita errabonda: cambiò 37 indirizzi in 37 anni di vita e fu anche un uomo con poche risorse economiche. Questi due fattori non gli consentirono di accumulare molti volumi.

Conosciamo le sue preferenze in termini di lettura attraverso la sua corposa corrispondenza (ben 903 lettere!) e grazie a questa, sappiamo anche quali dei libri che l’artista ha letto nel corso della sua esistenza lo hanno maggiormente influenzato, quelli che hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua arte e nella sua vita.

Per Vincent, leggere insegnava a vivere e a vedere, perché, secondo lui, letteratura, arte e vita erano intrecciate indissolubilmente.

L’artista olandese cercava nei libri la stessa libertà che cercava in pittura. E per lui, pittura e scrittura erano legate alla passione per i libri e per la natura. Inoltre, l’una completava l’altra e insieme facevano esistere il mondo.

La pittura poi, era per van Gogh una sorta di scrittura. Adoperare i colori giusti e tracciare una linea sulla tela per lui aveva la stessa valenza di uno scrittore che trova la parola giusta. Nelle sue lettere sono indicate centinaia di opere letterarie, di numerosi autori e in lingue diverse.

Van Gogh non aveva molti amici, la sua grande compagna era la sua arte pittorica, ma il suo genio artistico necessitava di ispirazione e sentiva anche il bisogno di staccare. Nei libri, l’artista trovava ciò che gli mancava, oltre a stimoli e suggerimenti per la sua creatività.

L’aspetto letterario fu fondamentale per la sua opera pittorica, basti pensare alle sue letture e ai temi che compaiono nei suoi quadri. Infatti, nelle sue opere, l’autore olandese mostra un particolare interesse per i poveri, i diseredati e le ingiustizie. Altresì, troviamo: la semplicità, il duro lavoro, l’umiltà, la terra, la natura, come pure, l’indagine dell’animo umano, la verità delle cose.

Van Gogh espresse il suo amore per i libri e la lettura in genere in venticinque opere pittoriche: cinque lavori su carta, diciotto dipinti, due schizzi sulle lettere. Tra queste, quella più affascinante ed enigmatica è la “Lettrice di romanzi”.

In questo dipinto l’artista ha raffigurato una donna che sta leggendo un libro. La figura ha colori scuri e netti ed è di profilo; le tinte sono marcate e definite. Il soggetto si staglia in primo piano, balzando dallo sfondo chiaro e luminoso.

Dal dipinto emerge la solitudine della donna, e la lettura cui è intenta è chiaramente un momento di evasione dalla realtà quotidiana.

In copertina: “La lettrice di romanzi” (1888) di Vincent Van Gogh

Noir: un genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #2

Noir genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #2

Il noir si distingue come genere letterario per vari aspetti, come: la figura del protagonista, le ambientazioni e le finalità delle vicende narrate.

Nel XX secolo, il termine “noir” subì una svolta: storici e critici letterari francesi ripresero il termine per identificare un importante genere narrativo: l’hard boiled, nato negli Stati Uniti, nei primi anni ’20 e che vede negli autori, Dashiell Hammett, John Carroll, John Daly, Raymond Chandler, Mickey Spillane, James Hadley Chase e gli scrittori della rivista “Black Mask” i principali esponenti del genere.

Questa sovrapposizione del termine, però, resta una convinzione tutta francese: negli Stati Uniti, il noir era ritenuto, e tuttora è così, un sottogenere narrativo distinto dall’hard boiled.

In America il termine noir è stato usato ufficialmente dal 1968, parlando però di opere cinematografiche, e solo dal 1984 si fa riferimento anche a opere narrative di autori, come: David Goodis; Jim Thompson; Cornell Woolrich.

Il genere hard boiled e quello noir presentano notevoli differenze che li distinguono nettamente l’uno dall’altro. Ad esempio, nel genere hard boiled, le storie per la maggior parte sono scritte in prima persona e la figura del detective è preponderante: protagonista della storia, conduce la linea narrativa principale, svolge le indagini e tenta di risolvere il caso.
Nel noir classico invece non si svolgono attività investigative di rilievo. La narrazione si sviluppa e gira intorno ai fatti criminosi compiuti dal personaggio o dai personaggi principali e raramente si assiste a un lieto fine.

Inoltre, nel noir il protagonista non è un investigatore, bensì una vittima oppure un sospettato o ancora, un esecutore. In ogni caso, si tratta di un soggetto auto-distruttivo che si trova ad affrontare sia un persecutore sia il sistema legale e politico, solitamente corrotti, oppure deve perseguitare altri soggetti; in ogni caso, per lui non ci sarà alcuna possibilità di vittoria.

Spesso poi, il protagonista di un noir è un individuo comune che in apparenza vive una vita ordinaria e che a un certo punto della sua vita si trova a dover commettere un crimine. In altri casi, il personaggio principale è un criminale. È comunque sempre un antieroe, un soggetto che agisce tra ambiguità morale, avidità, cinismo e alienazione.

La storia di un noir si snoda intorno a uno o più crimini che avvengono in ambienti diversi, a volte anche familiari o malavitosi. L’atmosfera è cupa, densa di intrighi, violenza, rapine, tradimenti, corruzione, omicidi e ricatti.

L’ambientazione del noir è fondamentale per la nascita e l’evoluzione della storia. La città e la metropoli in queste storie non costituiscono un semplice sfondo, ma sono delle protagoniste a loro volta, tanto quanto la violenza, la criminalità, il degrado morale e ambientale.
L’ambientazione nelle metropoli consente anche un certo grado di azione: inseguimenti, scontri fisici e sparatorie.

Nei romanzi noir la risoluzione del crimine non rappresenta l’obiettivo della storia, bensì narrare gli aspetti cupi e violenti della società, trasferendo al lettore l’immagine di una realtà negativa e drammatica.

È presente anche il sesso, privo solitamente dell’aspetto sentimentale. I personaggi femminili delle storie rispondono allo stereotipo della “femme fatale”, donna seducente e manipolatrice, spesso avida e interessata soltanto al denaro.

Il linguaggio del noir, soprattutto i dialoghi tra i personaggi, è crudo, realistico ed essenziale, e fa largo impiego del gergo metropolitano.

I più noti scrittori di noir metropolitano sono: Ed McBain (per New York), James Ellroy (per Los Angeles), Jean-Claude Izzo (per Marsiglia), Lawrence Block, Jim Thompson, Shane Stevens, James Mallahan Cain, David Goodis, Henry Kane, Jean Patrick Manchette, Giorgio Scerbanenco, Ruth Rendell, Derek Raymond, Horace McCoy, William Riley Burnett.

Noir: un genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #1

Noir genere letterario sospeso tra crudeltà e mistero #1

Noir, cioè nero, rimanda al concetto di cupo, malinconico e marcatamente pessimista, caratteristiche fondamentali delle storie noir, dove un protagonista, antieroe per eccellenza, si muove in metropoli violente tra intrighi, omicidi e corruzione.

In questi giorni di caldo intenso, leggere, sotto l’ombra provvidenziale di un ombrellone, sdraiati su un comodo lettino, può essere uno svago piacevole.
In genere, durante le vacanze, specie quelle estive, i lettori apprezzano tuffarsi tra le pagine di un giallo, di un thriller o comunque, di un buon poliziesco o magari di un noir.
Tutte queste definizioni non sono altro che delle sotto tracce di un genere molto amato, e chi gradisce questo tipo di letture ha davvero solo l’imbarazzo della scelta tra tante sfumature narrative, tutte ugualmente coinvolgenti.

Una di queste varianti di successo è appunto il noir o “romanzo nero”, che deriva dal sottogenere hard boiled nato alla fine degli anni venti del Novecento, negli Stati Uniti.
L’aggettivo “nero” fa riferimento alle caratteristiche fondamentali di questo genere, cioè storie contraddistinte da tematiche e atmosfere cupe, tetre, malinconiche e pessimiste.

Il termine noir proviene dal mondo anglosassone e fu un genere particolarmente sfruttato in Francia, sulla traccia delle novelle tragiche (“Les Histoires tragiques de nostre temps”) di François de Rosset (1571-1619; traduttore e scrittore francese di successo) e le storie cupe e violente, ispirate alla tradizione dei racconti orrorifici, di Jean-Pierre Camus (1584 – 1652; scrittore e prelato francese).

Nel Settecento, gli stessi argomenti prendono una piega lacrimosa-sentimentale, in particolare in certe parti dei “Mémoires du comte de Comminges” (1735) di M.me de Tencin (1682 – 1749; baronessa de Saint-Martin-de-Ré, scrittrice francese, madre di D’Alembert), nei romanzi dell’abate Antoine-François Prévost (1697 – 1763; scrittore francese) e in alcune opere di Denis Diderot (1713 – 1784; filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d’arte francese).

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, dopo Horace Walpole (1717 – 1797; quarto Conte di Orford, scrittore inglese, autore de “Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico propriamente detto) e Clara Reeve (1729 – 1807; scrittrice inglese, autrice del romanzo gotico “Il vecchio barone inglese”) il romanzo gotico fu denominato “romanzo nero” (romain noir) o del terrore.

Con Ann Ward (nota come Ann Radcliff, 1764 – 1823; popolare scrittrice inglese, pioniera della letteratura dell’orrore e in particolare del romanzo gotico) poi, il genere del romanzo nero subisce un’evoluzione narrativa.
La nuova tipologia contrappone tematiche all’estremo (innocenza virtuosa-crudeltà fisica e morale, religione-satanismo), come in “Han d’Islande” di Victor Hugo (1802 – 1885; scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia) e ne “La morte amoureuse” di Pierre Jules Théophile Gautier (1811 – 1872; scrittore, poeta, giornalista e critico letterario francese), fino a giungere ai testi eccessivi di Pierre Mac Orlan (pseudonimo di Pierre Dumarchais, 1882 – 1970; artista e scrittore francese) e a quelli de “Les Mystères de la Morgue ou les Fiancés du IV arrondissement. Roman gai” (1918) di Francis Carco (pseudonimo di François Carcopino-Tusoli, 1886 – 1958; scrittore francese, ambientò le sue opere tra i bassifondi parigini e la vita bohèmienne di inizio Novecento).

Successivamente il filone noir fu assimilato al romanzo giallo, guadagnando un notevole successo, in particolare con Leo Malet (1909 – 1996; scrittore francese che con Georges Simenon e André Héléna è stato uno dei maggiori rappresentanti del romanzo poliziesco in lingua francese), Pierre Siniac (1928 – 2002), Tito Topin (1932) e A.D.G. (pseudonimo di Alain Fournier, detto Camille, 1947 – 2004; giornalista e scrittore francese).

Nel XX secolo, il termine noir subì una svolta… (prosegue nel prossimo post)