I Buddenbrook: la saga di una famiglia e non solo
Ho letto I Buddenbrook di Thomas Mann diversi anni fa e già allora i passi dedicati alla musica mi avevano colpito, uno in particolare: quello in cui Hanno Buddenbrook improvvisa al pianoforte.
Non è la prima volta che Mann si lascia sedurre dalla musica e la rende un elemento essenziale delle sue narrazioni: anche nel Doctor Faustus il protagonista, Adrian Leverkùn, è un compositore ed è chiaramente ispirato alla figura di Arnold Schoenberg (1874-1951), il famoso musicista padre della dodecafonia.
Non stupisce, quindi, trovare nei Buddenbrook una coinvolgente descrizione musicale, dove è immediatamente rilevabile che chi scrive è un fine intenditore di musica, visto l’utilizzo di un lessico esperto per descrivere l’improvvisazione del ragazzo al pianoforte. Inoltre, lo scrittore attraverso la sua narrazione ci fornisce la precisa sensazione di assistere a questa singolare esibizione.
“Il motivo era semplicissimo, un nulla, il frammento di una melodia inesistente, un tema di una battuta e mezzo; e quando, con una forza di cui non lo si sarebbe ritenuto capace, lo fece risuonare per la prima volta nel basso, come voce singola, quasi dovesse essere annunciato da trombe unanimi e imperiose come primo elemento e origine di tutto ciò che verrà, non si poteva ancora capirne il senso profondo. Ma quando lo ripeté armonizzato in chiave di violino, con un timbro di pallido argento, fu palese che consisteva essenzialmente in un’unica risoluzione, un appassionato doloroso trapasso da una tonalità all’altra… era un’invenzione modesta, di poco respiro, ma la risolutezza preziosa e solenne con cui era formulata e presentata le conferiva un raro valore, denso di mistero e di significato. Seguirono poi passaggi agitati, un affannoso andare e venire di sincopi, erranti, cercanti, lacerata da gridi, come se un’anima fosse angosciata da ciò che aveva udito, e che non voleva tacere, ma si ripeteva in armonie sempre diverse, interrogando, gemendo, smorendo, voglioso e promettente. E le sincopi diventeranno sempre più forti, sospinte e incalzate da terzine impetuose; ma le grida di terrore che vi eran frammiste presero forma, si fusero, divennero melodia, finché, come un canto implorante e fervido di strumenti a fiato, prevalsero umili e forti insieme ed ebbero il dominio. Vinto, ammutolito era l’incalzare instabile, l’ondeggiare vagabondo e sfuggente; e il ritmo semplice e risoluto del corale s’alzò in una preghiera contrita e infantile… E terminò come un canto liturgico” (Thomas Mann, I Buddenbrook, parte XI, capitolo II).
Thomas Mann in questo brano mette a confronto due arti: quella letteraria e quella musicale che si fronteggiano, in un incessante gioco di rimandi il cui unico limite è il potere definitorio della parola e l’ineffabilità della musica.