Hieronymus Bosch fu un artista immaginifico. Le sue visioni dipinte lasciano tuttora stupefatti gli spettatori. “Il Giardino delle delizie”, il suo capolavoro, è ancora un mistero a livello interpretativo, e forse anche questo contribuisce al singolare fascino che lo contraddistingue.
“… vi sono dei pannelli sui quali sono stati dipinti oggetti stravaganti. Rappresentano mari, cieli, foreste, prati, e molte altre cose, come individui che strisciano fuori da una conchiglia, altri che producono uccelli, uomini e donne, bianchi e neri mentre fanno ogni sorta di differente attività e gesto” (“Diario di viaggio” di Antonio de Beatis – descrizione del dipinto di Bosch).
Hieronymus Bosch, pseudonimo di Jeroen Anthoniszoon van Aken (‘s-Hertogenbosch, 2 ottobre 1453 – ‘s-Hertogenbosch, 9 agosto 1516), è stato un pittore olandese.
Le sue opere sono il prodotto di una mente contraddistinta da una fervida creatività e hanno l’aspetto di visioni, al punto da richiamare la psicoanalisi, per poterne dare un’interpretazione.
Bosch, come avviene per tutti gli artisti, era un prodotto del suo tempo e del suo ambiente, e le sue opere furono realizzate seguendo le dottrine religiose e intellettuali dell’Europa centro-settentrionale, dottrine che negavano la supremazia dell’intelletto e sostenevano, invece, la trascendenza e l’irrazionalità.
Le opere di questo straordinario artista contengono un’infinità di particolari e situazioni, sono una sorta di teatro, popolato da una miriade di attori, immersi in un’esplosione di colori e concepiti seguendo simbolismi, ancora non del tutto decifrati.
Lungo il percorso artistico di Bosch, sono molti i dipinti che attirano l’attenzione, ma il capolavoro, e al tempo stesso l’opera più ambiziosa di questo geniale pittore, è considerato “Il Giardino delle delizie”, un trittico a olio su tavola, conservato al Museo del Prado (Madrid), datato, anche se con qualche incertezza, nel periodo che intercorre tra il 1480 il 1490 ca.
Questo lavoro di Bosch, più di altri, è di grande complessità sia per i simboli presenti nell’opera sia per la creatività che qui, l’artista ha espresso all’ennesima potenza.
Analizzando la struttura del trittico, vediamo che è composto da un pannello centrale, cui sono affiancate due ali rettangolari, richiudibili su di esso. Completamente chiusa, l’opera mostra la raffigurazione della Terra durante la Creazione.
Il pannello aperto, invece, mostra: nella parte a sinistra, Dio, fulcro dell’incontro tra Adamo ed Eva; nel pannello centrale, una veduta di fantasia con figure nude, animali veri e immaginari, frutti di tutte le dimensioni, strane costruzioni, alberi, laghi e corsi d’acqua, e uno sfumato profilo di montagne sul fondo; pannello di destra, una visione dell’Inferno e i tormenti inflitti ai dannati.
Questo capolavoro di Bosch ha avuto molte interpretazioni: c’è chi ha visto in queste tre scene un avvertimento indirizzato agli uomini, sui pericoli delle tentazioni della vita terrena; altri, al contrario, ritengono contenga un insegnamento morale e soprattutto, il pannello centrale è stato considerato come una rappresentazione del paradiso perduto.
La prima fonte storica che nomina questo trittico è del 1517: il canonico Antonio de Beatis (segretario del cardinale Luigi d’Aragona) ce ne fornisce una descrizione; all’epoca, l’opera era parte della decorazione del palazzo dei conti della Casa di Nassau (Bruxelles).
Si ritiene che il committente del Giardino fosse Enrico III di Nassau-Breda (1483-1538), Statolder (carica esistente tra la metà del XV secolo fino al 1795, nella regione dei Paesi Bassi; designava il luogotenente civile del sovrano) d’Olanda e Zelanda, dal 1515 al 1521, Barone di Breda e Conte della Casa Nassau.
Enrico aveva raccolto nei suoi possedimenti una vasta collezione di opere d’arte e curiosità esotiche. Questa sua passione irriducibile per l’arte era condivisa con Filippo il Bello (Filippo IV di Francia, 1268-1314, re di Francia dal 1285 fino alla morte) suo amico e forse, anche avversario: nella corsa a conquistare le opere di Bosch che entrambi ammiravano.
La notorietà del Giardino delle delizie fu davvero grande e si può toccare con mano: fu oggetto di un elevato numero di copie.
Morto Enrico III, il trittico passò al nipote Guglielmo I d’Orange (1533-1584, capo degli olandesi durante la Guerra degli ottant’anni); nel 1568, fu confiscato dal Duca d’Alba (1507-1582, generale spagnolo, governatore del Ducato di Milano; viceré del Regno di Napoli e governatore dei Paesi Bassi spagnoli) che lo portò in Spagna, qui passò nelle mani di Don Fernando di Toledo, figlio naturale del Duca.
Nel 1591, fu acquistato da Filippo II di Spagna (1527-1598, re di Spagna, dal 1556 fino alla morte) che nel 1593 lo trasferì all’Escorial. L’ultima tappa del Giardino di Bosch fu il Museo del Prado, dove giunse nel 1939, qui sono custoditi diversi altri lavori dell’artista fiammingo.
Il Giardino delle delizie fu realizzato in un periodo vivacizzato da molte scoperte e avventure, quando i ritrovamenti del Nuovo Mondo affascinarono tutti: poeti, scrittori e, ovviamente, anche i pittori. Ma non basta questo a spiegare la presenza nel trittico di Bosch di creature fantastiche e singolari, l’opera fa riferimento anche ad altre iconografie.
I viaggi esotici e le relative scoperte a essi associati hanno però sicuramente influenzato il pannello di sinistra, dove troviamo animali come giraffe e leoni.
Nel pannello centrale, nell’ampio giardino rappresentato, sono raffigurate un’infinità di figure maschili e femminili nude, circondate da tanti animali (asini, cervi, leopardi, pantere, leoni, liocorni, orsi, grifoni, pavoni, corvi, unicorni, cammelli, ecc., tratti dal repertorio dei bestiari medievali), fiori, frutti e piante di ogni tipo.
Proprio questa particolare porzione del dipinto, posta al centro del pannello, rappresenta il grande Giardino “delle delizie” da cui il trittico prende il nome.
Bosch, qui, ha mescolato creature d’invenzione con elementi reali e raffigurato frutti dalle dimensioni esagerate. Le figure umane si intrattengono in liberi scambi amorosi e in molte altre attività, svolte a coppie o in gruppo. Tutto in questa parte del dipinto sembra immerso in un’atmosfera giocosa, pervasa da una sorta di innocenza primordiale.
Nella parte in primo piano, con il fiume al centro, le figure nude sono divise in gruppi e sono attorniate da strani vegetali, conchiglie e oggetti curiosi.
A volte, i personaggi sono colti mentre mangiano frutti o in qualche modo occupati con volatili di varie specie raffigurati con dimensioni esagerate, specie sul lato sinistro del pannello.
Le dimensioni e la prospettiva non sono rispettate in modo rigido: ci sono figure minuscole appoggiate ad anatre di dimensioni enormi o ad altri volatili ugualmente giganteschi.
Altrettanto sovradimensionati sono i frutti e i fiori. Ci sono anche pesci che si muovono sul terreno; personaggi intrappolati in strane bolle o dentro fragole e lamponi.
Lo stile generale del dipinto è di carattere concitato; le figure sono ritratte in pose dinamiche; inoltre, la grande luminosità e i contrasti di colore, insieme alla grande varietà di soggetti ritratti, rimandano allo spettatore una scena vivace e animata, dove è possibile scoprire qualcosa di nuovo a ogni occhiata, ma bisogna avere pazienza e un occhio allenato ai dettagli.
L’interpretazione del Giardino di Bosch è una sfida che tuttora impegna gli studiosi. I singoli temi possono essere in qualche modo spiegati, ma le relazioni che legano i vari elementi tra loro sono ancora indefinite e le interpretazioni risultano contraddittorie. Per le analisi, non si è lasciato nulla di intentato: si è fatto ricorso al folklore, all’astrologia e persino all’alchimia, ma il mistero è ancora fitto.
Bosch ha lasciato un’eredità in alcuni artisti, anche se, considerata l’unicità delle sue opere, la sua influenza è stata di minor impatto rispetto ad altre figure artistiche. Ritroviamo, però, citazioni al suo Giardino in autori quali, Pieter Bruegel il Vecchio (1525/1530 ca. – 1569), Giuseppe Arcimboldo (1527-1593) e David Teniers il Giovane (1610-1690).
Nel XX secolo, l’opera di Bosch ha investito le fantasie dei primi surrealisti: Joan Miró (1893-1983) e Salvador Dalí (1904-1989), ma è stata anche fonte di ispirazione per altri artisti, come René Magritte (1898-1967) e Max Ernst (1891-1976).
In copertina: particolare dal pannello centrale del trittico “Giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch