Scrittura #7 I “mobili” sentimenti

divano

E poi cominciò a chiedersi che ne sarebbe stato di quel divano. […] Lo immaginò fuori, sulla strada serpeggiante, in attesa di qualcuno che lo volesse, sotto il sole cocente dell’isola che ne esaltava i segni d’usura. Immaginò i suoi nonni mentre lo compravano. Si figurò l’angusto negozio di mobili a Fira […] sua nonna che indugiava sui colori e suo nonno con l’espressione dolce e niente da dire“.
(Ann Brashares, Quattro amiche per sempre)

Gli oggetti recano impressi i segni del ricordo, se ne impregnano… semplicemente, come un odore che resta persistente nella trama di un tessuto.

Il ricordo impigliato finisce per far parte dell’oggetto, ne diventa un tratto distintivo e osservarlo o toccarlo ci consente di fare un tuffo nella memoria.

Questi oggetti, vere e proprie macchine del tempo, recano tracce profonde e i loro caratteri così noti e cari ci procurano nell’atto dell’abbandono lo stesso dolore e la vaga nostalgia di quando un amico si allontana.

Sedeva al tavolo di cucina del loft. A casa di sua madre il tavolo in cucina era fatto di pino o ciliegio o un altro legno. Aveva mille nodi e scalfitture, ma era caldo. Questo tavolo, come il resto nella loro cucina, era di acciaio inossidabile. Si poteva ripulirlo da ogni macchia, ma era duro sotto le sue braccia, duro e freddo“.
(Ann Brashares, Quattro amiche per sempre)

Si possono esprimere emozioni attraverso gli oggetti: due tavoli da cucina messi a confronto possono, ad esempio, essere la chiave di lettura di due scelte di vita molto diverse.

“Torino Sognante”: personale di Andrea Agostini

Dettaglio locandina Mostra Andrea Agostini

Dal 23 novembre al 23 dicembre 2013

“Torino Sognante”

personale di Andrea Agostini

Inaugurazione sabato 23 novembre ore 17.00 (l’Artista sarà presente)

Quest’anno il Cuore Errante si ferma a Torino per renderle omaggio, e come sempre, ha attinto i colori dalla tavolozza dei sentimenti, tratteggiando la vita, colorando i sogni e sfumando la fantasia.

presso la Galleria “La Rocca”

Locandina Mostra Andrea Agostini a Torino

Scrittura #6 Le scene di Simenon

Pipa con ombraSi incamminò verso il Café de la Marine, e quando ne varcò la soglia le voci tacquero di colpo. I battellieri erano tutti in cerchio attorno alla stufa di ghisa. Il guardiano della chiusa stava appoggiato al banco, vicino alla figlia del padrone, una ragazza alta, con i capelli rossi e gli zoccoli ai piedi.
I tavoli ricoperti di tela cerata erano ingombri di bottiglie e bicchieri e cosparsi di chiazze.
‘Allora è proprio sua moglie?’ finì col chiedere il padrone facendosi coraggio.
‘Sì! Mi dia una birra! Anzi, no! Qualcosa di caldo… Un grog’.
A poco a poco i battellieri avevano ripreso a discorrere. La ragazza, nel portare a Maigret la bevanda bollente, gli sfiorò la spalla col grembiule“.
(Georges Simenon)

Appena entra Maigret, la scena si congela.

Simenon descrive le rispettive posizioni dei personaggi che si trovano all’interno del locale e grazie a una rapida occhiata che va dall’alto dei capelli rossi della figlia del padrone al basso dei suoi zoccoli, ci fornisce una pennellata rapida di colore e al contempo, ci consente di seguire lo sguardo del commissario che ha percorso la stanza e osservato tutti i presenti, soffermandosi su alcuni dettagli e tralasciando, ad esempio, di descrivere i battellieri: una massa indistinta che fa cerchio attorno alla stufa.
Il lettore può così ricostruire mentalmente il “Café”, gli uomini e le donne presenti e anche il mobilio della stanza.

L’autore fornisce tutti gli elementi affinché chi legge possa entrare fisicamente nella scena e al tempo stesso ci dice che l’entrata del commissario ha provocato un’interruzione.

I personaggi devono assorbire la nuova presenza nella stanza, ma è sufficiente il tempo di una rapida descrizione e un breve scambio di battute tra Maigret e il padrone del locale perché il flusso vitale della scena riprenda il suo normale corso: i battellieri proseguono i loro discorsi interrotti e la ragazza dai capelli rossi sfiora con il grembiule la spalla del commissario.

La contemporaneità è un’altra caratteristica delle scene di Simenon.

Maigret si accese la prima pipa della giornata e andò ad aprire alla ragazza che portava il caffè. Poi diede un’occhiata dalla finestra al Southern Cross, su cui non si scorgeva ancora alcun segno di vita. In quel momento stava passando una chiatta, e il battelliere, appoggiato al timone, guardava lo yacht con ammirazione mista a invidia“.

‘E così è venuta fuori una bella storia… Vuole che l’aiuti, capo?…’
In effetti Maigret stava facendo sforzi disperati per afferrare le bretelle che gli pendevano lungo le gambe
“.

Attraversarono la banchina ed entrarono nel locale, dove c’era soltanto la cameriera che stava pulendo i tavoli.
‘Aspetti!… Che cosa prende?… È giusto l’ora dell’aperitivo!… […] Julie, va’ pure in cucina, resto qui io…’
Poi, con un’occhiata d’intesa al commissario:
‘Alla sua salute!… L’ho vista da lontano e, siccome avevo qualcosa da dirle…’.
Andò ad accertarsi che la ragazza non stesse origliando dietro la porta. Poi, con un’aria sempre più enigmatica […] tirò fuori di tasca qualcosa“.

Mentre un personaggio racconta alcuni fatti, l’altro è occupato in altre faccende: osservare fuori dalla finestra, dove sta accadendo qualcos’altro; vestirsi o coinvolgere altre persone nella situazione.

Tutto allo scopo di interrompere il racconto e far lievitare la curiosità.

Il lettore, per conoscere gli sviluppi della storia, sarà costretto ad attendere. Inoltre, l’autore, in questo modo, ha creato anche un effetto prospettico: la scena si allarga, acquisisce realismo e profondità, consentendo a chi legge di ampliare nella sua immaginazione la visione del quadro narrativo.

Scrittura #5 Dialoghi: “L’idiota” di Dostoevskij, una scena teatrale

Dostoevskij ritratto

Tutto quello che succede in scena deve avere uno scopo […] Sulla scena bisogna agire. Azione, attività. Ecco su che cosa si basa l’arte drammatica, l’arte dell’attore. La stessa parola «dramma», in greco significa «azione che si compie». […] Così il dramma sulla scena è un’azione che si compie sotto i nostri occhi e l’attore che sale sulla scena diventa «una persona che agisce»” (K. S. Stanislavskij).

Leggendo “L’idiota” di Fëdor Dostoevskij ho ripensato al libro di Stanislavskij “Il lavoro dell’attore su se stesso“.

Il parallelo è nato immediato e spontaneo: sin dall’inizio Dostoevskij ci catapulta su un palcoscenico insieme ai suoi personaggi che ci coinvolgono immediatamente nei loro dialoghi serrati e vivaci.

Siamo davanti ad una scena teatrale e i personaggi sono gli attori.

Dopo una breve presentazione iniziano i dialoghi con una banale osservazione fatta da uno degli ‘attori’ “Avete freddo?” Da questa semplice battuta si intavola una lunga conversazione alla quale prenderà parte con naturalezza un altro interlocutore.
Un dialogo vivace che occuperà tutto il tempo del viaggio.

Un altro spunto che rimanda ai suggerimenti teatrali di Stanislavskij si presenta al capitolo IX (la scena si prolunga nei capitoli successivi), nel momento in cui giunge, inattesa, Nastas’ja Filippovna.
In realtà, di situazioni simili ve ne sono diverse, ma questa è una delle più vivaci e interessanti perché presenta finalmente il personaggio di Nastas’ja che ancor prima di entrare in scena è già stata nominata svariate volte e descritta in molti modi diversi da tutti quelli che hanno occupato la scena prima di lei.

In questo frangente: l’arrivo di questa ‘prima donna’, si assiste a quello che Stanislavskij chiama il ‘se’, cioè le cosiddette ‘circostanze date’.

Un evento singolare o la consapevolezza di un fatto nuovo può cambiare o stravolgere una situazione e condurre a un profondo cambiamento nell’atteggiamento: una mutazione della ‘mira interiore’ degli attori sulla scena.

Ma immaginate che in questo appartamento in cui oggi festeggiate la nuova abitazione della Maloletkova vivesse prima un uomo, diventato pazzo furioso. Lo hanno chiuso in una clinica psichiatrica… Se per caso fosse scappato e stesse lì dietro la porta, che cosa fareste?” (Stanislavskij).

Lo stesso corto circuito, che si verifica dopo questa ‘rivelazione’ sul palcoscenico di Stanislavskij, alla possibilità di un pazzo furioso alla porta, si manifesta sulla scena di Dostoevskij all’arrivo di Nastas’ja.

Improvvisamente si fece silenzio. Tutti si volsero al principe, come se non avessero capito e non volessero capire. Ganja impietrì dallo spavento” (Dostoevskij).

Nastas’ja con la sua presenza fisica e i suoi interventi ambigui e provocatori diventa il fulcro della scena e tutto si svolge attorno a lei come attorno a un vortice, motivando gli altri personaggi e scandendo il ritmo dei discorsi.
Poi, la donna se ne va, come una folata di vento, lasciando sgomento e turbamento.

Immagino siano molti i paralleli da individuare.
Lascio alla vostra curiosità, la possibilità di scoprirne altri…

Scrittura #4 Descrizione di un ambiente: le “filastrocche” di Sciascia

girotondo parole

Descrivere un ambiente è un’operazione delicata, necessaria, ma pericolosa, pericolosa perché si rischia di diventare noiosi, fermando l’azione per collocare i personaggi o per definire una scena.

Sciascia è abilissimo: mantiene l’attenzione inalterata in chi legge grazie a uno stratagemma ritmico.

Le sue descrizioni lasciano senza fiato e non si può che seguirlo fino alla fine.

L’azione non viene interrotta, ma costituisce un unico corpo con la descrizione stessa: siamo nella casa e giriamo nelle stanze insieme al narratore e come lui vediamo tutti gli oggetti elencati.

Siamo lì, presenti, nel luogo dove si svolge la storia e non possiamo mica andarcene così su due piedi…

La casa era più vasta di quanto, guardandola da fuori, si poteva credere. C’era una grande sala da pranzo con un massiccio tavolo di rovere e quattro credenze, dello stesso legno, con dentro piatti, zuppiere, bicchieri e cuccume; ma anche vecchi giocattoli, carte, biancheria. Camere da letto, due con materassi e cuscini ammonticchiati sulle reti, una con un letto che pareva qualcuno ci avesse dormito la notte prima, ce n’erano tre; e forse altre dietro le porte che il brigadiere non aprì. La casa era stata abbandonata e anche dispogliata di arredi, libri, quadri e porcellane (si scorgeva qualche segno delle cose involate), ma non dava il senso di essere disabitata. Mozziconi di sigarette erano nei portacenere, e fondi di vino nei bicchieri, cinque, che erano stati portati in cucina certo con l’intenzione di sciacquarli. La cucina era spaziosa, con focolari a legna, forno, mattonelle valenziane murate intorno; pentole di rame e tegami appesi alle pareti: davano un certo splendore, nella poca luce, anche se verdicavano di solfato ormai. Dalla cucina, una porticina si apriva su una scala che saliva stretta e buia, e non si vedeva dove finiva“. (Una storia semplice, Leonardo Sciascia)

Per descrivere le stanze e gli arredi, Sciascia declama, come fosse una filastrocca, una lista di oggetti. Il ritmo dell’elenco è serrato e potrebbe essere indifferentemente scandito dai battiti di un metronomo o recitato da voci cantilenanti di bambini.

Gli ambienti sono ridotti a una carrellata che sopraffà la vista, ma è gradevole all’orecchio.
Una musicalità che incanta e avvolge il lettore, una sorta di formula magica che costringe a proseguire senza sosta.

Il ritmo fornisce alla storia vitalità espressa anche nei battibecchi tra la polizia e i carabinieri.

Poco meno di due ore dopo, arrivarono tutti quelli che dovevano arrivare: questore, procuratore della Repubblica, medico, fotografo, un giornalista prediletto dal questore e un nugolo di agenti tra i quali per sussiego spiccavano quelli della scientifica. Sei o sette automobili che anche dopo che erano arrivate continuarono a rombare, stridere e urlare, così come dal centro della città erano partite suscitando la curiosità dei cittadini e anche quella […] dei carabinieri: per cui il colonnello dei carabinieri, cupo in volto, arrabbiatissimo, pronto a litigare, col dovuto rispetto, col questore, arrivò una mezz’ora dopo, le porte tutte già aperte con quelle chiavi che stavano sulla scrivania, il rilevamento delle impronte già un po’ a casaccio cominciato, il morto fotografato da ogni parte“.

L’atmosfera da filastrocca prosegue con l’elenco di tutti i partecipanti al “gioco” e poi l’autore infila tre verbi “rombare, stridere e urlare” uno dietro l’altro riferiti alle automobili che introducono nell’atmosfera concitata presente sulla scena del delitto.

Nelle descrizioni frenetiche, quasi l’assolo di uno strumento impazzito, non mancano i numeri, come in qualsiasi filastrocca che si rispetti:

1 massiccio tavolo di rovere; 4 credenze; 3 camere da letto; 5 bicchieri; 6 o 7 automobili…

Scrittura #3 Clara Sánchez: la descrizione ‘emozionale’ dei personaggi

Penna e taccuino

Minuzioso, ed ‘emozionale’ il modo di descrivere di Clara Sánchez.

Il personaggio di Verònica ci giunge attraverso gli occhi e le sensazioni dell’altra co-protagonista: Laura ed è un vero e proprio racconto, dal ritmo incalzante.

Una ridda di particolari che si susseguono come se chi osserva e definisce la ragazza sia colto dalla sua forte vitalità che s’impone alla vista e fluisce nelle parole usate per descriverla.

Era una di quelle persone che ti rimangono in testa anche se le guardi appena. Con alcune devi fare uno sforzo sovrumano per ricordarne il viso o il nome, e invece altre ti sembra di averle conosciute in un’altra vita più intensa. Non era quello che si dice una bella ragazza, e neanche brutta, ma tutto quello che aveva era molto forte: la brillantezza dello sguardo, la lucentezza dei capelli, la forma del naso, le guance, il rosa della bocca, l’ombra marcata delle occhiaie, le spalle, le mani, le cosce tese sotto i jeans, la voce roca come quella di una cantante nera. L’energia che sprigionava era così densa che si poteva vedere e toccare“. (tratto da: ‘Entra nella mia vita‘)

In un evolversi di elementi sempre più incalzanti: i capelli, il naso, le guance, la bocca, ecc. arriviamo alla frase conclusiva, dopo una corsa tra sostantivi e aggettivi accumulati a bella posta per farci sentire tutta la carica vitale di Verònica.
La Sánchez chiude il suo miniracconto con una frase che interrompe il flusso ritmico precedente e ci porta di colpo all’interiorità del personaggio, come se ogni elemento esteriore di questa ragazza scaturisca dalla sua anima e da essa sia modellato e reso palese a chiunque la osservi.

Sì anche a te che leggi le sue pagine, soprattutto a te…

Scrittura #2 La descrizione dei personaggi: Agatha tu mi stupisci

Agatha Christie

Un’autrice che descrive con grande rapidità e precisione è Agatha Christie.

I suoi personaggi sono un insieme di indizi.

Quadri in miniatura: suggeriscono ai lettori fisionomia e tratti caratteriali dei soggetti della storia.

A voler definire in una sola parola il signor Jesmond, questa sarebbe stata “discrezione”. Tutto, in lui, era discreto. Gli abiti di ottimo taglio ma non vistosi, la voce garbata e ben educata che raramente si alzava in toni che si staccassero da una piacevole monotonia, i capelli castano chiaro che cominciavano a diradarsi alle tempie, la faccia pallida e grave“.

La signora Lacey era vicina alla settantina, dritta come un bastone, con i capelli candidi come la neve, le guance rosee, gli occhi azzurri, un nasino spiritoso e il mento risoluto“.

I signori Baker […] ci stavano aspettando. Erano una coppia simpatica. Lui tutto rattrappito e con le guance rosse, come una mela raggrinzita, e sua moglie una donna di vaste proporzioni e con la calma della gente del Devonshire“.

Niente è superfluo nelle sue descrizioni.

Come nelle sue storie, dove ogni cosa va al suo posto e ogni particolare trova la giusta collocazione e una successiva spiegazione, anche i protagonisti dei suoi gialli vengono definiti con la stessa logica ed essenzialità.

Scrittura #1 La descrizione dei personaggi: introduzione

typewriter

C’è chi si attarda e chi procede rapido, chi usa brevi stoccate, chi lievi pennellate.

Altri ancora rielaborano e descrivono con minuzia certosina, non limitandosi all’aspetto esteriore, ma indagando nell’animo con gli strumenti di un esperto analista.

Chi scrive necessita di un bagaglio di parole, ma anche di strumenti.

E dove attingere se non nella lettura?

Gli scrittori leggono i libri, o almeno dovrebbero, con la consapevolezza di cui parla Stephen King in “Misery“.

Con il passare degli anni Paul si era sempre più rassegnato al fatto che non sarebbe stato più capace di leggere come soleva da bambino: divenuto scrittore lui stesso, si era condannato a una vita di dissezioni“.

La lettura è ancora un piacere, ma per ‘lavorare’ sui libri è necessaria una lettura più profonda che vaglia con attenzione ogni aspetto della scrittura.

Un lavoro chirurgico che non trascura nulla, sezionando ogni cosa: lo stile in generale, le descrizioni di ambienti e dei personaggi, il modo di veicolare le emozioni, il ritmo nello snodarsi delle frasi; persino l’uso di singolari metafore, quelle meravigliose creatrici di immagini:

le più riuscite restano impresse nei ricordi di chi legge e creano stupore ogni volta che riaffiorano alla mente.

Scrittura: una lezione di lealtà

penna stilografica e foglio

Eh no, che non hai capito. Io non ho mai detto neanche lontanamente che non mi è piaciuto. Io ho detto che non va bene. È una truffa. Devi cambiarlo” (Stephen King).

Leggendo Misery di Stephen King sono rimasta colpita dalla lezione sulla lealtà della scrittura che Annie Wilkies impartisce allo scrittore famoso: Paul Sheldon, mentre lo tiene prigioniero in casa sua.

La scrittura è una cosa seria.

Non ci si improvvisa e non si vive di sola ispirazione: giammai, la tanto vagheggiata ispirazione è solo una minima parte del lavoro.

Intanto, non si può scrivere ciò che non si sa. Infatti, si dice che gli scrittori principianti facciano riferimento alla loro vita nelle loro prime produzioni.

Perché?

Ma perché è ciò che conoscono meglio.

E quindi riesce più facile rispettare la regola fondamentale delle storie raccontate, a qualunque genere appartengano: la coerenza.

Non si può far uscire il coniglio dal cappello come nei numeri di magia.
È necessario invece condurre il lettore per mano, prevenire le sue domande, a volte; lasciarlo trarre le sue conclusioni, per coinvolgerlo; stupirlo, per non annoiarlo, ma mai ingannarlo.

Le parole di Annie Wilkies sono una vera e propria lezione di scrittura e lo scrittore del libro non può che cedere alla stringente logica della sua Lettrice Assidua e se lo avete letto o magari lo leggerete, non potrete che trovarvi d’accordo con me e con la protagonista.