Narrare storie è anche questione di ritmo: prezioso alleato o nemico giurato

metronomo e spartito musicale

Narrare storie è indubbiamente una questione di ritmo.

Di sicuro avrete incontrato, e anche più di una volta, l’amico, il conoscente o il parente simpatico che vuole raccontarvi una barzelletta…

La barzelletta, c’è poco da prenderla sotto gamba, è una storia a tutti gli effetti.
Vi sarà capitato di farvi matte risate oppure di dover ridere a denti stretti, per non offendere il narratore di turno.
Perché non tutti riescono a far ridere?

A parte gli errori classici di chi inciampa, chi anticipa il finale o dimentica elementi essenziali della narrazione, esiste un problema di fondo.
La barzelletta, come qualsiasi storia, per funzionare ha bisogno di alcuni elementi: a volte di un antefatto; certamente, di una serie di eventi che si verificano; infine di una conclusione a effetto.

Però, quello che conta di più è il ritmo.
Credo che la barzelletta sia l’esempio più calzante per parlare di questo elemento fondamentale per la riuscita di una storia.
Ne sanno qualcosa i musicisti che vedono spartiti e partiture costellati di diciture sul ritmo: Allegro, Adagio, Grave, Largo, Presto con fuoco...

I compositori, grazie a questi termini specifici, indicano l’andamento di un brano, il suo umore.
Certo, alcuni Allegri sono più allegri di altri (a volte ci sono indicazioni di tempo con il metronomo). Più o meno precise, queste indicazioni descrivono il ritmo del brano che si va ad eseguire con la voce, con uno strumento o più strumenti insieme.

Pensando al ritmo, mi viene in mente una novella del Decameron di Boccaccio, dove una “madonna Oretta” si trova nelle condizioni di far tacere un cavaliere che sta rovinando una bella storia con il suo pessimo narrare.
La donna, sfruttando la metafora del viaggio, fa tacere con poche parole il molesto narratore: “Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè“.

Quindi, se vogliamo evitare che chi ci ascolta o ci legge sia trasportato in malo modo dalle nostre parole, dobbiamo considerare con attenzione il ritmo di una storia, rispettare le sue svolte, le sue variazioni in base agli eventi o persino agli umori mutevoli dei personaggi.

Il ritmo, torno a dire, è un elemento indispensabile per scrivere una storia che funzioni.
Pensate ad esempio, alla sensazione di tensione che si prova leggendo certe pagine di un thriller, dove gli eventi si incalzano l’un l’altro o all’opposto, la sensazione distensiva che proviamo leggendo la descrizione di un paesaggio.

Non bisogna mai sottovalutare il ritmo: prezioso alleato se usato in modo corretto, nemico giurato se non si dà ad esso la giusta importanza quando si costruisce una storia.

Finali: quanto sono importanti in una storia?

macchina da scrivere con foglio

Se è vero quello che diceva la mia insegnante di danza sui finali, allora, noi scrittori, e non solo noi, dobbiamo essere molto accorti.

Lei sosteneva che gli spettatori ricordano maggiormente le ultime cose viste, quindi, errori nel finale avrebbero compromesso tutto il lavoro precedente, insomma, l’intero saggio di danza.

Poche sere fa ho rivisto il finale di un film che mi era piaciuto e mi aveva divertito molto e mi sono resa conto che sì, la mia insegnante di danza aveva ragione.
Il film che ha contribuito a convincermi era “Mr. Crocodile Dundee“.

Il finale della divertente e avventurosa storia d’amore in questione ha la giusta dose di tensione.
Lui sta per andarsene, lei lo insegue: ha saputo che intende lasciare New York e non vuole perderlo.
Dopo l’inseguimento, lei lo raggiunge in un’affollatissima metropolitana, lo vede, ma sono separati da tutte le persone stipate in attesa dei treni.
Due provvidenziali estranei (la gentilezza degli estranei è sempre gradita nei film) consentono ai due di parlarsi, grazie a una specie di telefono senza fili, e lui, ovvio, non se ne va più. Immagino conosciate il resto.

Non intendo fermarmi qui nel resoconto di finali altrettanto memorabili.
Chi non ricorda il finale di “Dirty Dancing“?
Lui che dice: “Nessuno può mettere Baby in un angolo” e poi, dopo aver afferrato la sua ragazza e consumate le poche battute di rito, c’è l’accattivante ballo finale.

E “Il laureato“?
Che cosa mi dite della fuga dall’altare, la lotta con i genitori e i parenti inferociti, la corsa, il balzo sul provvidenziale autobus di passaggio e poi la risata liberatoria e lo sguardo scambiato tra i due fuggitivi e i passeggeri del mezzo pubblico sbalorditi?

Non credo di dover continuare per dimostrare che il finale, che si tratti di quello di una serie di numeri di danza o di un film o appunto di un libro (era qui che volevo arrivare), è fondamentale.
La chiusura è un sigillo magico, è ciò che resta per ultimo nel cuore di chi assiste a uno spettacolo o legge un libro e per questo deve essere della lunghezza giusta: non troppo breve, come se si avesse fretta di liquidare la storia, e neppure troppo lungo da far desiderare di anticipare l’ultima riga o l’ultima immagine.

Il finale deve avere la giusta lunghezza, ogni storia ha la sua.
Deve riassumere ciò che si è visto, spiegare ogni cosa se ce n’è bisogno e se poi, c’è anche il giusto crescendo e il tanto atteso climax è anche meglio.
Non importa se lo spettatore o il lettore si prefigura già come andrà a finire la storia: l’importante è come lo si conduce fino alla parola fine.

Daniela Carbini: insegnante, traduttrice e interprete

libri aperti e matite

Gli scrittori sono un po’ come gli investigatori: attenti ai dettagli e a ciò che succede attorno a loro.
In un certo modo, chi scrive si intrufola nella vita degli altri e molti scrittori ammettono di aver attinto per creare i loro personaggi e costruire delle storie dal generoso magazzino della vita.
Perciò, ho deciso di inaugurare una serie di interviste, una nuova rubrica in questo calderone di notizie, pensieri e riflessioni che ruotano attorno alla scrittura e alla cultura in genere.
Al momento, ho deciso di investigare nel giro stretto dei miei amici e conoscenti, e mi riservo di includere in futuro altre persone interessanti con cui entrerò in contatto in qualche modo.
Il mio è un progetto ambizioso e non so se riuscirò nel mio intento; vorrei poter mostrare lo scopo più profondo di chi scrive: l’unicità di ogni essere umano e di ogni storia.
Del resto, molte persone che si incontrano casualmente ogni giorno possono essere potenziali personaggi per un nuovo libro.
Io ho voluto, a modo mio, dar voce a queste persone comuni, ma per me speciali, che affrontano come tutti noi, difficoltà e scelte impegnative ogni giorno.

Daniela, come e perché hai iniziato a studiare per diventare una traduttrice e interprete?
Io ho sempre avuto una grande passione per le lingue e in particolare, mi è sempre piaciuto parlare in una lingua straniera, per cui ho intrapreso un percorso di studi che mi consentisse di padroneggiare appieno lingue diverse dalla mia.

Qual è secondo te la cosa più importante per un buon traduttore e interprete?
Eccellenti conoscenze in settori specifici, la capacità di distinguere contesti, tradurre e interpretare frasi e discorsi in modo chiaro, al fine di rispecchiare, il più possibile, il significato originale.

Perché è importante studiare una lingua straniera?
Io penso che conoscere una lingua straniera ci dia la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo che riguarda un’altra cultura e un altro modo di pensare. Inoltre, padroneggiare una lingua straniera ci aiuta a metterci in contatto con altre persone.

Quali sono i valori che cerchi di trasmettere come docente?
Per me, la modestia e l’impegno costante sono essenziali e bisogna sempre pensare che ogni volta che si fa una traduzione o un lavoro di interpretariato si è di fronte a qualcosa di nuovo.

Quali sono le tue aspirazioni future?
Vorrei continuare a lavorare nei settori in cui sto lavorando adesso: traduzioni e interpretariato, e avere sempre nuove possibilità per migliorare le mie capacità.

Finestre: fonte insolita di ispirazione per la scrittura

finestreIeri sera ho visto in TV “Il giovane favoloso“, film dedicato alla figura di Leopardi.
Il giovane poeta era spesso mostrato mentre studiava o scriveva affacciato alla finestra della sua stanza.

Quella finestra e lo scrutare fuori mi hanno fatto ripensare per analogia ad altre finestre famose: “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock e “La finestra di fronte” di Ferzan Özpetek.

Queste finestre diventano in tutti e tre i casi terreno fertile per l’immaginazione e spunto di ispirazione per costruire storie.
Leopardi ha scritto molte poesie guardando dalla sua finestra di Recanati; il protagonista del film di Hitchcock sospetta che un omicidio sia avvenuto nel palazzo di fronte al suo, mentre uno dei personaggi de “La finestra di fronte” immagina una vita tutta nuova, radicalmente diversa da quella che sta conducendo, semplicemente spiando ciò che avviene fuori dalla sua finestra.

Le persone affacciate alla finestra vera o a quella virtuale della finzione cinematografica hanno altri punti in comune: non solo passano molto tempo davanti a una finestra a osservare la vita degli altri, ma in tutti e tre gli esempi, coesiste la stessa angusta prospettiva.

Leopardi vorrebbe affrancarsi da Recanati e dalla sua ristrettezza, vorrebbe vedere il mondo, tuffarcisi dentro, vivere a pieno la sua appassionata vitalità.
La sua è un’angustia di tipo spirituale e logistica, mentre quella di Jeff, il fotoreporter de “La finestra sul cortile“, è rappresentata dalla sua condizione fisica: una frattura alla gamba sinistra che lo costringe a una forzata immobilità e lo pone davanti alla sua finestra, unico svago di una giornata noiosa: osservare le vite piuttosto variegate dei suoi dirimpettai.
L’angustia di Giovanna, protagonista del film di Özpetek, invece, è di tipo morale. La donna è insoddisfatta del lavoro come contabile in una polleria e anche della sua vita familiare con due figli da crescere e un marito che passa da un lavoro precario all’altro. La sua finestra si apre su quella di Lorenzo, suo dirimpettaio che le fa intravedere una vita migliore, una vita diversa.

Questo ricorrente “tema della finestra” è molto interessante da indagare anche rispetto alla scrittura, perché quando si scrive, il punto di vista o le prospettive da cui ci si pone non sono cosa trascurabile.

La finestra può essere un interessante espediente e una singolare fonte di ispirazione. È una porta sul mondo, anche se inquadra uno spazio ristretto. Questa apertura limitata consente di visionare uno spaccato, anche se angusto, della vita degli altri e può dare vita a storie con insoliti e interessanti risvolti.

Passeggiando con Raffaello, il principe delle arti

Raffaello Sanzio autoritrattoSono diventata una habitué degli appuntamenti con i film-documentario della NexoDigital. L’ultimo in ordine di visione: “Raffaello. Il principe delle arti“.

Colpisce di questi film non solo la spettacolarità delle immagini e la meticolosa esposizione dei dettagli e dei fatti rappresentati, ma anche la possibilità di immergersi in un’altra epoca, di cogliere le sfumature di relazioni umane diverse, di visitare luoghi sotto una luce differente, coperta dalla patina del tempo.

Ho trascorso 90 affascinanti minuti passeggiando con Raffaello per Urbino, Firenze e Roma, incontrando Leonardo, Bramante e Michelangelo.
Ho scoperto alcuni segreti della sua vita e ammirato la bellezza incomparabile dei suoi quadri, afferrando le minuzie dei volti, gli incredibili particolari dei panneggi e soprattutto la grazia e la delicatezza del suo tocco, nonché la lussureggiante meraviglia dei suoi colori.

Al termine di questo magnifico viaggio non si può che concordare con Pietro Bembo che scrisse l’epitaffio per il suo amico pittore (morto nel 1520 a soli 37 anni) inciso sulla tomba di Raffaello al Pantheon a Roma: “Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori” (Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire).

Jazz e passione: un concerto da ricordare

Manifesto concerti jazz 2017Provate a immaginare di avere tutti gli ingredienti per fare un piatto perfetto.
Bene, ora avete un’idea di come mi sono sentita ieri sera al concerto jazz a cui ho assistito.

Sin dall’inizio gli ingredienti c’erano tutti e si sono mescolati alla perfezione a mano a mano che l’esibizione procedeva.
Melodie che si muovevano da uno strumento all’altro acquistando differenti colori e sfumature, come uno stesso discorso pronunciato da voci diverse.
Echi e richiami dalla tromba alla chitarra, alle tastiere, mentre il ritmo della batteria era talmente incalzante, specie nel secondo brano, da attrarre tutti nella propria orbita ritmica.

Quello che però mi ha colpito di più di questo concerto è stata la passione, tangibile a ogni nota.
Ringrazio l’Associazione “Artemusica” che ci ha regalato questo frammento meraviglioso di musica a due passi da casa.

Leggere: un dono senza prezzo

Libro apertoOggi è la festa del papà e il mio dono per festeggiare questa ricorrenza sarà un ricordo.
Mio padre ha fatto, molti anni fa, un grande regalo a me e a mia sorella: la passione per la lettura.

C’è un ricordo in particolare che mi fa ancora sorridere.
Quando ancora andavo a scuola, spesso i miei libri di testo sparivano e io sapevo dove trovarli: sul comodino di mio padre.
Non riusciva a resistere alla tentazione di tuffarsi in una nuova lettura e “rubava” i nostri libri, per scoprire nuove storie, nuove invenzioni, nuove notizie.

Ha trasmesso a me a mia sorella lo stesso desiderio di aprire le pagine di un libro e cercare l’avventura, i viaggi, le scoperte.
Leggere è un dono prezioso, inestimabile, davvero senza prezzo.
“Chi legge vive molte vite”, questa frase come un tormentone compare spesso sui social e ogni volta mi fa riflettere.

Voi direte ma con tutte le possibilità che ci offre oggi la rete e la tecnologia in generale, ancora si parla di leggere?

E io rispondo sì, bisogna leggere, se si vuole ancora scoprire il mondo, se si vogliono vivere i sogni degli altri per entrare in empatia con loro o semplicemente se vogliamo dare corpo ai nostri sogni e alle nostre fantasie.

Leggere ci fa sorvolare mondi sconosciuti, mondi invisibili o addirittura inesistenti, ma ci consente anche di superare i pregiudizi, di ragionare con la nostra testa (e oggi ne abbiamo più bisogno che mai). Ci permette di sentirci meno soli con i nostri problemi e magari ci aiuta ad affrontarli.

Leggere ci restituisce dignità e libertà, ma soprattutto ci apre il cuore e ci fa sentire vivi.
Per cui, oggi, per la festa del papà vi consiglio caldamente: festeggiate regalando un libro.

Scrivere: un mestiere accurato

quaderno penna tazzina gialla

Scrivere è un mestiere complesso.
Si devono raccogliere più dati possibili dal mondo circostante e tenere in serbo ogni pensiero per un loro eventuale uso futuro.
Dettagli colti dalla natura e dalle persone sono valori inestimabili, terreno fertile da cui ricavare storie, ma c’è anche l’altro lato della medaglia: in questo vasto mare, bisogna saper scegliere.

Perché al di là della capacità di osservare, qualità indispensabile per chi scrive, è anche necessario saper filtrare quanto arriva dal mondo esterno per giungere all’accuratezza estrema, altro requisito indispensabile di una buona scrittura.

Prima di tutto, si screma il materiale quotidiano che ci arriva attraverso i sensi, poi si costruisce una storia, valutando i percorsi, le svolte e l’andamento generale. Poi si revisiona con cura il materiale, più e più volte, tagliando e affinando le frasi e vagliando con puntigliosità i termini con cui esprimersi, per lasciare alla fine, solo quelli esatti, quelli che possano comunicare con precisione il nostro messaggio al lettore, comprese le sfumature che ogni frase, parola e persino ogni segno di punteggiatura portano con sé.

Per un periodo ho studiato canto e ricordo ancora un consiglio che la mia insegnante mi ripeteva sulla posizione dei suoni.
Diceva che più si sale verso l’acuto e più la voce, idealmente, dovrebbe uscire da un punto posto sulla fronte, un punto piccolissimo: una punta di spillo, per intenderci, e più si riesce a indirizzare il suono verso questo “punto immaginario di sfogo”, più il suono sarà giusto, alto, in maschera.

La voce è essenzialmente un’entità invisibile all’interno del corpo e sono necessari punti di riferimento concreti per orientarsi e districarsi, anche se di concreto hanno solo il fatto di servire al cervello come spunto per controllare i suoni e veicolarli attraverso l’apparato vocale (corde vocali e tutto il resto) nel modo migliore possibile.

Perché questo esempio?
Perché oggi, pensando all’accuratezza indispensabile per scrivere in modo corretto, mi sono figurata come traguardo, quello stesso punto minuscolo e invisibile dal quale dovrebbero passare pensieri, sensazioni e dati per diventare una storia. Quello spazio ristretto non è altro che un filtro attraverso il quale andranno scremati anche i termini che utilizziamo per esprimerci, al fine di individuare la parola giusta, quella che definisce con estrema esattezza quello che vogliamo dire.
Riprendendo l’esempio del canto, è concentrare il suono in quel punto immaginario di spilla per ottenere il risultato perfetto o quasi.

Scrivere, a conti fatti, non è che l’estremo tentativo di far passare il cammello per la cruna dell’ago.

 

Punto di vista: anticamera della creatività

mani attorno agli occhi
Più leggo cose interessanti e mi imbatto in personaggi curiosi, più mi rendo conto che il punto di vista è fondamentale per creare una storia che funzioni.

Il punto di vista permette di dare omogeneità a una storia, consente di creare un microcosmo di persone e situazioni che si muovono come gli ingranaggi di un orologio: ognuno apportando il suo contributo unico e irripetibile affinché il meccanismo in toto possa svolgere il compito per cui è stato creato.

Personaggi relazionati tra loro si compensano dando vita a un equilibrio e spesso mettendo in moto la storia stessa.

Il lettore, immedesimandosi in uno di questi personaggi o nel narratore stesso, non fa che entrare in questo meccanismo che per funzionare necessita di un fruitore che valuterà gli eventi con gli occhi di chi ha scelto come suo interprete.

Il punto di vista è anche il punto di partenza.
Chi racconta la storia? C’è un narratore o è uno dei personaggi che si fa carico di metterci al corrente di quanto è accaduto?

La creatività può essere stimolata e introdotta da un punto di vista singolare.

Il punto di vista aiuta chi scrive, grazie a esso si può dare una certa struttura alla storia e ai personaggi e si imposta il tono di voce da assumere.
Il lettore verrà guidato e influenzato a seconda di chi racconta: una storia sarà molto diversa se a narrarla è un gatto o un oggetto inanimato oppure un uomo folle, cieco o sordo.

Il punto di vista scompone una storia come un prisma un raggio di luce: colori diversi a seconda di chi interpreta cosa.

Scrivere è come aprire una pista nella neve alta: si rischia di perdersi

Paesaggio con neve alta

In questi giorni, leggendo la cronaca quotidiana e ascoltando i bollettini meteorologici che parlano di freddo intenso, neve e gelo, ho ripensato a una frase che ho letto recentemente e che riguarda da vicino la lettura e la scrittura: le due passioni che mi legano a doppio nodo ai libri.

In un susseguirsi, un cerchio magico che crea una continuità fatta di pensieri, di parole assaporate, masticate e digerite e infine inserite in una nuova storia, in mezzo a nuovi concetti e sulla bocca di nuovi personaggi.

Magari un po’ diverse, più vissute, più tristi o più felici.

Mi sono distratta e mi sono fatta prendere la mano, parlavo di neve e al tempo stesso di lettura e di scrittura. Il tutto, come vedrete, riassunto in un’efficace metafora.
Il gesto di scrivere è come aprirsi la strada in mezzo alla neve alta, in una distesa bianca e immacolata.

Una distesa immensa di cui non si vede il confine.

Si rischia di perdersi e non è una strada per tutti: ci vuole molto coraggio, passione e determinazione e tanta pazienza per continuare a procedere, senza vedere bene dove si va. È un po’ la dannazione dei pionieri e dei profeti condita con l’ostinazione dei santi. La preghiera giornaliera di noi scrittori è questo avanzare in mezzo alla neve e ogni tanto è bello invertire le parti.

Tornare a essere lettori, viaggiando comodi, su una pista tracciata da altri, a cavallo o a bordo di un trattore, come dice Šalamov, per riprendere lo slancio e tornare nei giorni appresso al faticoso, ma irrinunciabile cammino, quando si tornerà ad avanzare immersi fino al busto nella neve, con le forze rinnovate e il cuore più leggero, mentre le dita volano rapide sui tasti.

Come viene aperta una strada nella neve vergine? Un uomo avanza per primo, sudando e imprecando, muove con difficoltà una gamba poi l’altra, e sprofonda ad ogni passo nello spesso manto cedevole. […] L’uomo sceglie da sé i punti di riferimento nell’infinità nevosa: una roccia, un albero alto. […] Se si camminasse, passo dopo passo, nella traccia del primo, si otterrebbe un cammino visibile ma stretto e a stento praticabile. […] Ognuno di quelli che seguono la traccia, […] deve posare il piede su di un lembo di neve vergine e non nella traccia di un altro. Quanto ai trattori e ai cavalli, non sono per gli scrittori, ma per i lettori“. (“I racconti di Kolyma” di Varlam Tichonovič Šalamov; citato in L’arte di leggere di Guido Conti).