Scrittore indipendente: una vita spericolata e piena di dilemmi

scrittura scrivere

La vita di uno scrittore indipendente potrebbe essere benissimo la trama di un romanzo di spionaggio o di cappa e spada.

Amazon sì, amazon no… Quale piattaforma usare per pubblicare gli ebook?
Royalties: gioie e dolori a fine mese. Pubblicità sì, ma dove? Ebook o cartaceo?

Questi sono solo alcuni dei dilemmi che deve affrontare uno scrittore indipendente, oltre all’ovvio lavoro sul libro: stesura, correzione e preparazione prima della scrittura che prevede lunghe sessioni di lettura.

Scrivere è davvero un mestiere complicato, ma quando ci si deve occupare di ogni dettaglio: dal lavoro puro e semplice dello scrittore (scrivere un testo, appunto), a tutto quello che ruota attorno a un libro che intendiamo vendere e che si spera sia comprato e letto da qualcuno, si tratta di una vera e propria battaglia.

Se poi vi occupate anche della grafica, delle illustrazioni e dell’impaginazione o della creazione dei formati supportati per gli ebook, parliamo di un lavoro a tempo pieno che comporterà l’impegno di passare molte ore davanti al computer.

E poi c’è la pagina di Facebook che serve anche per pubblicizzare i libri, ma deve essere corredata di altri post, mentre la pubblicità va saggiamente diluita, inserendo notizie trovate sondando il magma ribollente di internet che possano coinvolgere i propri likers.

E non ultimo c’è il sito che deve essere rimpolpato con articoli che possano essere utili o interessanti e non deve essere trascurato, altrimenti google vi relegherà nel girone degli oziosi e noiosi e la vostra visibilità diventerà pari a zero.

Questo in sunto la lista dei compiti di un povero scrittore che si toglie le castagne dal fuoco da solo. Uno sfogo breve e indolore con un tocco divertente per parlare con leggerezza delle acrobazie che affronto ogni giorno, come i miei colleghi e colleghe, che dopo aver cercato diligentemente di produrre un libro interessante, devono poi rincorrere fama e gloria con grande fatica in mezzo alla spietata concorrenza di titoli e nomi.

Posso dire però, nonostante i fisiologici scoraggiamenti, di amare questo lavoro e tutte le sue asperità e vi dico che dietro un successo o un insuccesso c’è sempre un grande impegno, un impegno quotidiano e chiunque decida di fare lo scrittore indipendente come mestiere deve abituarsi all’idea di condurre una vita spericolata.

Parole come metafore di vita: Das Stehaufmännchen

Giocattolo bambini misirizzi

Amo le parole in genere e se non ne conosco il significato corro a consultare un dizionario, operazione davvero semplice, oggi come oggi, disponendo di internet: con pochi click il problema è rapidamente risolto.
Amo anche lo studio di altre lingue e mi affascinano le similitudini e le differenze tra le parole, la loro origine e anche le storie e i significati che ruotano attorno a loro.

Al momento sto affrontando lo studio del tedesco e questo mi garantisce un appuntamento fisso il mattino presto con la Deutsche Welle, una rivista online che spazia tra argomenti di vario genere: notizie di politica, arte, musica, storia, ecc.

Scandagliando il sito della rivista online, alla ricerca di articoli comprensibili al mio livello di studio, mi imbatto spesso in argomenti curiosi e interessanti.
Una rubrica che non delude mai di questa rivista è: “Wort der Woche” (La parola della settimana) che tratta curiose parole composte (una magia prettamente tedesca) o parole che sono legate a detti e modi di dire curiosi.

Questa settimana ho scoperto questa parola: Das Stehaufmännchen (giocattolo dalla base tondeggiante, fortemente appesantita) che definisce quegli oggetti per bambini, pupazzi con sembianze umane un po’ bizzarre o animalesche che hanno la caratteristica di non cadere mai, bilanciati come sono per tornare sempre al “punto di partenza” e cioè in equilibrio sulla loro sfera su cui sono stabilmente poggiati.

Questo articolo mi ha colpito perché il curioso oggetto in questione, almeno secondo la lingua tedesca, è usato come metafora per definire le persone che nonostante grandi difficoltà incontrate nella vita o gravi crisi da superare riescono comunque a rialzarsi e a riprendere la propria vita.

Mi è sembrata una bella metafora di vita per cui auguro a tutti di: „Hinfallen, Aufstehen, Krone richten, weitergehen“. (Cadere, alzarsi, raddrizzare la corona e andare avanti).

Letture pressappochiste: oggi chi legge non presta molta attenzione

Leggere parole social

La lettura pressappochista è ormai un fenomeno convalidato e, frequentando i social, rispondendo alle mail e osservando la svariata gamma di comportamenti online e offline delle persone, ho riscontrato una cronica mancanza di attenzione per la lettura.

I lettori forti non hanno bisogno di incoraggiamento, ma in pratica vivono su un binario parallelo rispetto alla gente comune, quella che ad esempio, legge un titolo di un post e trae le sue conclusioni, senza approfondire, senza, a volte, capire neppure il contenuto di un articolo.

Questa lettura pressappochista spesso conduce a conclusioni errate su un argomento e oggi, il passaparola, specie su internet, può diventare virale e produrre una valanga di notizie false che a loro volta scatenano reazioni a catena e sono difficili da emendare.

Leggere con attenzione e capire quanto si legge è essenziale e non solo per chi è del mestiere, come gli scrittori, è importante per tutti, perché ogni messaggio che ci arriva dal mondo può aiutarci a: relazionarci con gli altri nel modo giusto; comprendere quello che ci circonda; valutare il futuro che ci attende.

Inoltre, capire è essenziale per fare scelte giuste e consapevoli e tutta la tecnologia del mondo non ci salverà dal pressappochismo.

Musica e Scrittura: analogie tra strutture poetiche e musicali #2

Libro con note musicali e lettere

Come le lettere dell’alfabeto sono le parti elementari e indivisibili della voce articolata, da cui sono composte le sillabe, le quali a loro volta compongono i verbi e i sostantivi con cui si forma il testo di un discorso compiuto, così le note sono gli elementi primi della voce cantata, dalla loro combinazione sorgono gli intervalli e dalla combinazione di questi i sistemi musicali (dal “Musica enchiriadis” [dal greco: Manuale di musica] di autore anonimo).

Nella trattatistica della seconda metà del IX secolo emergono già chiare analogie tra funzionamento del sistema linguistico e quello musicale.
Dalle lettere dell’alfabeto che non possono essere mescolate casualmente tra loro, si passa alle note che altrettanto devono essere scelte per produrre un effetto armonioso.

L’armonia, quindi, si genera attraverso elementi in accordo tra loro.

Componimenti poetici e composizioni musicali vengono costruiti utilizzando strutture regolari, tali strutture migrano dalle forme poetiche nella musica in maniera diretta: brani musicali così realizzati sono costituiti di sezioni omogenee per ampiezza e numero di elementi, seguendo le norme metriche della poesia.

Molti trattatisti teorizzano riguardo alle corrispondenze tra linguaggio e musica, un altro interessante parallelo è tra la struttura del discorso in retorica e quello in musica, quindi, anche le melodie finiscono per avere un principio uno svolgimento e una fine, proprio come un ben congegnato discorso fatto di parole.

Le analogie possono essere davvero tante.

le frasi musicali hanno un incipit, proprio come un qualsiasi testo letterario; possono contenere domande e risposte; si sviluppano in certi casi con un crescendo, come una conversazione che cerchi di essere convincente e piena di pathos; possono simulare il senso delle parole (come una scala ascendente che tratteggi la parola “salire” o una scala o un accordo discendente che simuli la parola “inferno”); addirittura possono riprodurre il canto degli uccelli, con dovizia di espedienti, o i rumori prodotti da una battaglia.

Il discorso delle analogie non finisce qui, ovviamente, questa è solo l’esile punta di un iceberg. Le possibilità di associare testi e musica sono davvero infiniti e presentano mille sfumature: dalla percezione in un testo letterario di ritmo e musicalità, al tono di conversazione o dialogo di un brano musicale.

Il mestiere della scrittura inizia da una “buona” lettura

Lettore LetturaUno scrittore, di cui non ricordo il nome, sosteneva che una volta che si inizia a scrivere per mestiere, il modo di leggere gli altri autori cambia profondamente. Secondo la sua tesi, uno scrittore non può limitarsi a leggere un libro solo e semplicemente godendosi la storia, ma la sua lettura sarà un’indagine vera e propria, uno studio approfondito del testo.

Aveva ragione.
Intrapreso il mestiere della scrittura, anche leggere non può essere più soltanto un piacere per chi scrive. Non ci si può limitare ad apprezzare in modo superficiale una storia, ma è necessario entrarci dentro, scomporre il testo, le frasi, passare al vaglio gli aggettivi, saggiare l’uso e l’efficacia della punteggiatura.

In una sorta di autopsia del contenuto si procede in certi casi come farebbe un patologo con un corpo sul tavolo dell’obitorio: si ricerca la causa della perfezione nascosta dietro una storia, dietro espressioni prive di sfilacciature, ci si sofferma su metafore e modi di dire.

Si tenta di comprendere come una serie di frasi concatenate possano creare quel senso di ansietà, quel brivido di accelerazione dato dall’azione che fa salire l’adrenalina e spinge a cercare la frase successiva, il nuovo paragrafo e la pagina ancora a seguire.
Oppure si indaga all’opposto su quel senso di quiete, di pausa a effetto che ci costringe a fermarci, a riflettere, magari a sognare a occhi aperti…

Leggere diventa studiare, con attenzione, con cura e poi, quanto appreso va rielaborato, spesso in modo inconscio, e ci si accorge che scrivendo una nuova storia c’è stata una maturazione, una crescita, uno sviluppo inatteso.
Nuove cose prendono forma: nuovi concetti, nuove parole, nuove strutture con cui fare nuove costruzioni, più complesse, più intense, spesso più vicine alla realtà.

Musica e Scrittura: le pause, elementi pieni di significato #1

musica notazione musicale

Oggi, mentre giravo le pagine di uno spartito musicale a un mio amico organista, mi sono ritrovata a riflettere sull’importanza delle pause.

Una pausa consente di prendere un respiro sia che si parli di note sia di parole. E questo fatto non è per niente trascurabile.

Una pausa, inoltre, consente all’ascoltatore di riflettere, di ripensare a quanto ha udito e poi di proseguire.
Le pause musicali sono piuttosto semplici: sono contraddistinte da segni ben precisi che le indicano con chiarezza e ne stabiliscono la durata.
Una pausa può essere più o meno lunga e, a volte, la durata è a discrezione del musicista.

In alcuni casi, ho osservato che una pausa è seguita da una ripresa di un tema che diventa più significativo dopo quell’interruzione ad hoc; è come se il tema che ritorna, che spesso è introdotto in una tonalità diversa, apparisse indossando un abito con lo stesso taglio di prima, ma con un colore differente. In pratica, il tema riemerge rinnovato, rinfrancato e inquadrato sotto una luce diversa.

Quando poi, dopo molte vicissitudini e magari dopo un’opportuna pausa, il tema torna, riproposto nella stesse veste dell’originale, l’orecchio non lo percepirà più, comunque, uguale al primo ascolto.
L’ascoltatore sarà felice di risentirlo, come se rivedesse un vecchio amico venirgli incontro dopo tanti anni di assenza, e le note pur essendo le stesse (o quasi del tutto) saranno diverse, come se nel frattempo, nel trascorrere dello spartito, fossero maturate, cresciute, avessero un’esperienza alle spalle che le rende più attraenti, più appetibili all’orecchio e di solito, a questo punto, il brano si chiude, un po’ come il vecchio e trito, ma pur sempre efficace “E vissero felici e contenti”…

Come produrre nella scrittura simili opportunità?

Ci sto riflettendo, indagheremo insieme nei prossimi post…

L’influenza di Martin Lutero nell’evoluzione della lingua tedesca

Lutherbibel Bibbia tradotta da Lutero

In occasione dell’anniversario dell’affissione delle 95 tesi alle porte della chiesa di Wittenberg, che hanno dato inizio alla Riforma protestante, è importante sottolineare il ruolo avuto dal monaco Martin Lutero (1483 – 1546) nell’evoluzione della lingua tedesca.

Di fatto, Lutero ha cambiato per sempre l’approccio alle traduzioni da altre lingue, cogliendone l’aspetto fondamentale che non sono pure e semplici trasposizioni, ma opere complesse che hanno come obiettivo primario il destinatario del testo nella lingua di arrivo.
Lutero attuò la sua “riforma linguistica” mettendo mano alla traduzione della Bibbia. Fu l’unico a utilizzare, oltre al testo latino, anche quelli originali ebraici e greci, per pervenire, poi, a “una lingua sintatticamente semplice, foneticamente chiara e semanticamente trasparente, quella utilizzata dalla cancelleria della Sassonia, badando però anche al tedesco comunemente parlato dalla gente al lavoro“.

Il suo obiettivo era offrire una lettura quotidiana e personale al popolo e, per far questo, c’era la necessità di conoscerse la “sua” lingua.
Il suo lavoro non si limitò a rendere comprensibile a tutti un testo sacro, ma tenendo in considerazione i lettori più che la sacralità del testo e privilegiando il senso rispetto alle parole, consentì al popolo di comprendere con più chiarezza ciò che leggeva, tanto che la sua opera di traduzione offrì a molti di imparare a leggere e a scrivere e ad assimilare indirettamente un nuovo modo di parlare, con espressioni e termini nuovi.

L’enorme influenza che la traduzione della Bibbia da parte di Lutero ha avuto sulla lingua tedesca è l’eredità più importante che ha lasciato ai posteri.
Nella lingua contemporanea, parole e locuzioni coniate da Lutero sono ancora perfettamente comprensibili e di uso corrente, anche se la maggior parte delle persone non ne conosce la provenienza.

Il Latinista: una nuova indagine per il commissario Lambert

Cover Il Latinista

Il commissario Lambert è alle prese con una nuova complicata indagine.

Parigi. In una ex casa di cura abbandonata viene ritrovato il corpo di uno sconosciuto ucciso a pugnalate.
Una scritta in latino campeggia su una parete della scena del crimine: è un motto, usato da Cesare Borgia e da molti altri prima di lui.
L’assassino non ha lasciato altre tracce dietro di sé, neppure l’arma del delitto, e la frase misteriosa sarà il punto di partenza e il filo conduttore di uno strano gioco di rimandi con cui il commissario Lambert e i suoi collaboratori dovranno fare i conti.
Mentre il Latinista, questo il nome che si è guadagnato l’assassino, continua a uccidere, il commissario e i suoi consulenti vedranno spiazzate le loro supposizioni e per risolvere il caso dovranno seguire l’istinto più che le prove…

Sullo sfondo di una Parigi accennata, eppure presente, A.J. Evans, al suo quinto appuntamento con il giallo, ci conduce attraverso inquietanti scene del crimine all’inseguimento di un spietato assassino.
Supposizioni, dubbi, una scritta misteriosa e tracce di un passato che sembra esigere vendetta, mettono  a dura prova la perspicacia e l’intuizione del commissario Lambert e dei suoi capaci collaboratori che faranno di tutto per assicurare il colpevole alla giustizia.

Personaggi in cerca di autore o Autore in cerca di personaggi?

Principe ranocchioPersonaggi e autore hanno un rapporto complicato che non si limita alla penna e al foglio di carta. I personaggi di un libro sono per il suo autore degli amici, dei compagni di viaggio e spesso i rapporti con loro non sono semplici.

In realtà, lo scrittore intraprende con i suoi personaggi delle vere relazioni, a volte di amicizia, a volte di amore e odio.

Quando alcuni autori sostenevano di litigare a volte con i loro personaggi o di essere costretti a determinate scelte per “soddisfarli”, non volevo crederci.
Continuando a scrivere, devo riconoscere che ho dovuto ricredermi, e non poco…

Negli ultimi racconti “gialli” scritti, ho affrontato situazioni simili: un personaggio a cui pensavo di assegnare un ruolo secondario, per fare risaltare un altro del quale credevo di avere in testa una perfetta caratterizzazione, sorprendentemente si è preso a forza una quantità di spazio che io non avevo immaginato in alcun modo di dargli.
Con rassegnazione, ho dovuto lasciarlo fare.

Il suo carattere si è definito a mano a mano che procedevo con la scrittura e, di storia in storia, la sua particolare personalità ha finito per lasciare in ombra il personaggio a cui avevo destinato un ruolo di primo piano.

La conferma di questa inversione di piani e parti rispetto a quanto avevo preventivato mi è giunta dalla recensione di un lettore che nell’occasione aveva trovato il personaggio che doveva essere, nei miei intenti, “secondario”: “più riuscito e interessante”.

Nell’ultimo racconto che sto ultimando, devo contrastare la veemenza di un altro similare personaggio che, nonostante i miei tentativi di soffocarne le ambizioni, di fatto mantiene in una certa subalternità tutti gli altri. Osservo con una certa preoccupazione che sono sempre più numerosi i personaggi che riescono ad imporsi, presentandosi con arroganza sulla scena, e mi impongono una revisione nella pianificazione degli eventi e intrecci, tanto da cambiare la storia che avevo in testa.

Perciò, mi sono chiesta se in effetti non siano i personaggi a cercarci, mettendo a disposizione le loro vite, piuttosto che noi scrittori a crearli, illudendoci di aver inventato un personaggio e la sua storia.
Non mi stupirei, a questo punto, che un ranocchio diventasse un principe o viceversa…

Riflessioni sulla solitudine: una condizione con cui convivere

altalena vuota

Si rese conto che tutti gli uomini erano così: che ciascuno, ai propri occhi, era perduto e solo. Un’unità che insieme ad altre unità formava una città, ma che pur sempre rimaneva singola e spaurita. Come loro, sul bordo del crepaccio. Se Tom avesse urlato, se avesse chiamato aiuto, a pieni polmoni, sarebbe servito a qualcosa?
Le tenebre potevano inghiottirlo con grande rapidità: un’ondata nera e tutto sarebbe finito. Molto prima dell’alba […]
La constatazione fisica che la vita è solitudine schiacciò il suo corpo, che cominciava a tremare. Anche la mamma era sola, e in quel momento non poteva fare affidamento né sul sacramento del matrimonio né sulla protezione della famiglia, o sulla Costituzione degli Stati Uniti e la polizia della città; non poteva fare affidamento su nient’altro che il suo animo, e là non c’erano che invincibile ripugnanza e il desiderio di abbandonarsi alla paura. In momenti simili il problema è sempre individuale, ed esige soluzioni individuali. Tom doveva accettare di essere solo e procedere da quel punto (“L’estate incantata” di Ray Bradbury).

Oggi pensavo alla solitudine e nella memoria ho recuperato il ricordo di questo passo del libro di Bradbury.
L’autore riesce a farci provare un senso di inquietudine e ci avvolge in una spirale di disperazione di fronte all’ineluttabilità della morte e della solitudine, uniche certezze nella vita di ogni persona.
Anche se siamo circondati da amici, parenti e conoscenti, se ci fermiamo un istante a pensare, ci renderemo conto che siamo soli, che ognuno di noi può ridere, scherzare, prendere parte a conversazioni, ma né cene in compagnia né feste per quanto allegre e divertenti ci potranno allontanare da questa realtà.

Il fatto stesso di esistere, pur in mezzo agli altri, ma di essere un’entità a sé; gli stessi atti di nascere e morire sono compiuti da soli: un sasso lanciato in uno stagno buio, una corsa verso l’ignoto.

Spesso questo senso di solitudine ci schiaccia, ci coglie di sorpresa, alle spalle, come un subdolo assalitore. Ci tormenta e ci avvolge nelle sue spire, senza lasciarci scampo.
Ogni nostro atto vitale è in fondo, la ricerca di riempire questo vuoto, di sentirci meno soli dentro la nostra pelle.

Amare, provare passione per le cose che facciamo sono i nostri amuleti, la nostra redenzione da questo fardello, da questi lacci che a volte, tentiamo, invano, di allentare.